colore digitale blog

Il blog di Mauro Boscarol sulla gestione digitale del colore dal 1998

Nella serie Colore in fotografia digitale

Differenza tra sensore digitale e pellicola analogica

La principale differenza tra il sensore digitale e la pellicola sta nel fatto che il sensore digitale cattura la radiazione (il nome fisico della luce) in modo digitale, mentre la pellicola non cattura la radiazione, ma ciò che noi vediamo della radiazione (cioè la luce), e non in digitale ma in analogico.

La relazione tra  il fattore di luminanza (che riguarda la radiazione riflessa) e la chiarezza (attributo percettivo legato alla radiazione) è indicata in questo post. Il diagramma fondamentale è questo:

Relazione tra fattore di luminanza e chiarezza

Sulla ascisse c’è la radiazione che parte dalla scena e viene catturata dal sensore e sulle ordinate c’è la nostra percezione di questa luce, cioè la risposta percettiva del sistema visivo umano.

Ora, fatto sta che il sensore digitale cattura i valori del fattore di luminanza, cioè i valori in ascissa, mentre la pellicola analogica e il sistema visivo umano catturano la chiarezza o tonalità, cioè i valori in ordinata.

Il sensore si comporta diversamente dalla pellicola e dall’occhio e dobbiamo tenerne conto quando si cambia esposizione.

Il fatto che il sensore cattura il fattore di luminanza e non chiarezza o tonalità ha una serie di conseguenze, la prima delle quali è che un sensore digitale cattura più dettagli chiari di quanto noi possiamo vedere.

Per esempio i fattori di luminanza che stanno tra 0.8 e 1 sono il 20% dei valori digitali catturati dalla fotocamera. Questo intervallo corrisponde per l’occhio e per la pellicola ai valori in ordinata da 92 a 100, che sono solo l’8% di tutte le chiarezze o tonalità.

Analogamente  un sensore digitale cattura meno dettagli scuri di quanti ne possiamo vedere. Quindi, tra i dati catturati dal sensore ci sono molti dati per le tonalità chiare (con luminanza < 0.18) e pochi dati per le tonalità scure (con luminanza > 0.18).

Detto in modo equivalente, nel passaggio da luce a chiarezza, le luci sono compresse mentre le ombre sono espanse. Quindi sarebbe una buona cosa espandere le luci per recuperare tutti i dettagli, comprimendo le mezze luci e le ombre con una curva di contrasto a S, che molti Raw converter applicano di default.

La seconda conseguenza è che lo stop più luminoso riduce la luminanza della metà (cioè diminuisce di 1 il numero di bit disponibili) e la chiarezza o tonalità di circa il 24%.

Il secondo stop riduce la luminanza di un’altra metà (quindi ancora riduce di 1 il numero di bit disponibili) e la chiarezza o tonalità di un altro 19% circa.

Il terzo stop riduce la luminanza di un’altra metà (un bit in meno) e la chiarezza o tonalità di un altro 15% circa.

La diminuzione sulle ascisse è geometrica: ogni stop riduce la luminanza di metà. La diminuzione sulle ordinate è quasi aritmetica: ogni stop riduce la chiarezza o tonalità di una quantità attorno, in modo molto approssimato, al 20%.

La conseguenza di tutto ciò, in fotografia digitale, è che se la scena ha un range dinamico contenuto nel range dinamico del sensore, l’istogramma (se è rappresentativo) è opportuno che sia appoggiato a destra senza che esca dal range. In inglese expose to the right, abbreviato in ETTR.

In pratica bisognerebbe misurare le alte luci ed esporre in modo che non vengano clippate. E in fase di sviluppo non usare mai l’esposizione per scurire l’immagine ma solo per schiarirla.

Se invece la scena ha un range dinamico maggiore del sensore bisogna decidere se tenere le ombre o le luci o nessuna delle due. Si può fare un bracket in multiexposure oppure un HDR.

 

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Mauro Boscarol

20/8/2008 alle 23:45

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13 commenti

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  1. Verso la fine: “…in fase di sviluppo non usare mai l’esposizione per scurire l’immagine ma solo per schiarirla”.
    Mi sbaglio io o dovrebbe essere il contrario?
    Schiarendo l’immagine si decomprimono ulteriormente le ombre.
    O c’è un piccolo refuso oppure mi sono perso qualcosa io.
    a_

    andre_

    25/2/09 alle 14:44

  2. È un altro modo per dire che l’istogramma deve essere portato a destra, se non lo è già.

    L’esposizione non agisce sulla compressione o decompressione, perché lavora su dati lineari.

    Ciao.

    Mauro Boscarol

    25/2/09 alle 15:47

  3. Buongiorno,

    nel diagramma sopra si riporta in ascisse il fattore di luminanza che è una grandezza normalizzata. Di solito si vede sempre e solo tale diagramma e per la maggior parte degli scopi va bene, ma qual’è il range dinamico reale?
    Sarebbe interessante conoscerlo per confrontare ad esempio le curve di risposta dei sensori o di varie pellicole con dinamica differente (pellicole invertibili, negativi colore e bianco e nero) con la percezione umana, o almeno con il modello di percezione umana che risulta dagli esperimenti che hanno dato come risultato quel grafico.

    andrea

    alastri

    13/5/09 alle 09:33

  4. Il fattore di luminanza è il rapporto tra luce riflessa dalla superficie e luce riflessa da un diffusore ideale in una direzione fissata. Non c’è relazione con il range dinamico reale.

    Mauro Boscarol

    13/5/09 alle 13:22

  5. Ancora sulla domanda sopra. Lei ha scritto in questa pagina:

    “Ora, fatto sta che il sensore digitale cattura i valore di luce (o meglio di luminanza), cioè i valori in ascissa, mentre la pellicola analogica e il sistema visivo umano catturano la chiarezza o tonalità, cioè i valori in ordinata.”

    Quindi, se quello che sta in ascissa è correlato in qualche modo con i valori di luce che un sensore può catturare (che alla fin della fiera, è un valore per un flusso di fotoni), qualche relazione fisica con la dinamica dovrà pur averla. Quello che intendo dire è che all’atto dell’esperimento che ha determinato la sensazione fisiologica umana qualcuno avrà pur dovuto girare la manopola di un potenziometro e segnare su un foglio un numero che rappresenta una grandezza fisica misurabile. Secondo la definizione di range dinamico questo è determinato dal valore massimo della grandezza diviso il più piccolo valore “misurabile” (in questo caso, vista la natura della misura, il più piccolo valore di luce incidente sulla sua retina per cui l’osservatore possa dire di percepire un pur fievolissimo bagliore).

    Il fatto che nel grafico sopra l’unità di misura delle ascisse sia Y/Yn mi sembra puramente accidentale. Lindbloom riporta la stessa identica curva nel suo Companding Calculator e in altri grafici, opportunamente normalizzata ma con in ascisse la luminanza Y (“A companding function is, in general, a nonlinear transformation of luminance (Y). It is often used to redistribute luminance values in a manner that is more uniform to the eye, in preparation for quantizing to a fixed number of discrete levels (e.g. 256 levels using an unsigned, 8-bit integer). This calculator supports conversions among luminance, CIE L*, density and gamma functions….”)
    Citando la definizione di Luminanza dal suo pdf “Colorimetria”: “La luminanza… si misura in cd/m^2”. Quindi qualcuno l’avrà misurata per disegnare la curva, e ci sarà un valore massimo oltre il quale, in quelle condizioni, il povero osservatore vedeva solo un bianco puro, e il valore minimo di cui sopra….

    Non è che io mi stupisca se questa particolare informazione è tralasciata dai più oppure è sepolta all’interno della letteratura originale che in pochi si prendono la briga di compulsare. Ma il fatto è che si trovano parecchi numeri approssimati o semplicemente fantasiosi sul numero di stop (se vogliamo usare questa unita di misura fotografica) che la vista umana è in grado di sostenere “in un singolo sguardo” e mi sarebbe piaciuto trovare il numero esatto derivante dagli esperimenti, per poter realizzare un grafico che confrontasse le curve di risposta e la dinamica di occhio umano, pellicola e sensore digitale.
    Tenendo pur sempre conto del fatto che in ordinata abbiamo comunque pere e banane… Tensione (o corrente, o numero di elettroni) per un sensore, densità del negativo per una pellicola, “sensazione” per un essere umano. Ma queste diverse grandezze possono essere comunque normalizzate per fini esplicativi tra un valore minimo (non nullo nel caso di sensore e pellicola) e il valore di saturazione.

    alastri

    13/5/09 alle 14:51

  6. In ascissa c’è una quantità adimensionale che si chiama in generale “fattore di riflessione” e in questo caso “fattore di luminanza”.

    All’atto dell’esperimento sono stati mostrati ai soggetti dei cartoncini grigi o colorati dei quali è stato misurato il fattore di luminanza ed è stato chiesto al soggetto di posizionare i cartoncini in una scala di chiarezza.

    Comunque è vero, nel mio post ho qualche volta accorciato troppo e ho scritto “luminanza” invece di “fattore di luminanza”. Grazie per avermelo segnalato, correggo subito.

    Mauro Boscarol

    13/5/09 alle 18:07

  7. Forse ho capito. Mi è chiaro come viene realizzato l’esperimento, avevo erroneamente pensato che fosse simile a quello utilizzato per determinare i primari colore.

    Se ho ben capito la curva L* descrive come viene percettivamente “collegato” il cartoncino definito come “nero” a quello che viene definito come “bianco”. Quello che ha fattore di luminanza pari al 18% viene percepito come quello “a metà” e così via. Nel caso della carta il range dinamico effettivo è poco rilevante (100:1 nel migliore dei casi). Immagino che l’esperimento possa essere fatto anche utilizzando al posto dei cartoncini dei segnali inviati da un monitor con range dinamico molto più elevato, ma che il risultato sia sempre la medesima curva.

    alastri

    13/5/09 alle 18:42

  8. Esatto.

    Quando sono stati fatti questi esperimenti, cioè entro gli anni Venti del Novecento, usavano i cartoncini perché i computer non c’erano.

    Oggi si può fare anche con il computer. Io lo faccio spesso ai miei “allievi” con Photoshop.

    Mauro Boscarol

    13/5/09 alle 18:46

  9. Buongiorno,
    un’osservazione da fotografo, puramente empirica, e pertanto limitata alla mia esperienza. A me sembra che visivamente il digitale produca, con un inganno, una maggiore sensazione di nitidezza. Dico inganno perché questa senzione è causata da una ridotta sfumatura nelle ombre per cui i passaggi tonali (non so se la terminologia è corretta) risultano più netti. In questo senso mi pare si perda qualcosa rispetto alla pellicola che se da una parte è meno nitida, dall’altra appare molto più calda da un punto di vista sinestetico. Quello che vorrei chiedere è se ciò è una mia pura sensazione estetica (legata a fattori di gusto che mi influenzano) oppure è una cosa che effettivamente avviene a livello del sensore digitale?

    Luca Vecoli

    8/2/10 alle 15:26

  10. “le luminanze che stanno tra 0.8 e 0.9 sono il 20% dei valori digitali catturati”
    da dove si deduce che le luminanze tra 0.8 0.9 sono il 20%? sarebbe l’area sottostante l’intervallo di curva 0…

    nonchiedercilaparola

    5/6/11 alle 14:03

  11. Oops, hai ragione, c’è un errore. Non dovevo scrivere “tra 0.8 e 0.9” ma “tra 0.8 e 1”. Adesso ho corretto. Grazie.

    Mauro Boscarol

    5/6/11 alle 14:55

  12. “E in fase di sviluppo non usare mai l’esposizione per scurire l’immagine ma solo per schiarirla.”

    Xchè in tutti i corsi che ho fatto di photoshop (con vari adobe guru) dicono tutti il contrario?

    _danilo_

    7/12/11 alle 12:52

  13. Sui vari guru Adobe non so, ma la frase è un altro modo per dire che l’immagine va esposta verso destra per non perdere informazioni.

    Mauro Boscarol

    7/12/11 alle 13:28

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