Le note stanche della “stregona” Nina Simone

Alba Solaro
Kataweb Musica, May 2002

Tutto esaurito all'Auditorium di Roma per la "sacerdotessa del soul", ormai troppo anziana e provata per sostenere un concerto come quelli a cui deve la sua leggenda. Tanti gli applausi, più per lei che per la musica

Il carisma non le manca certo. Quanti altri potrebbero permettersi di arrivare sul palco con in mano uno "scopino" da stregone africano, e agitarlo in aria ottenendo in cambio scrosci entusiastici di applausi?
L'ironia, anche, non le fa difetto: a una spettatrice che dal fondo della sala le chiedeva a gran voce di cantare Lilac Wine, imperturbabile ha replicato: "What? Wine? Yeah, I like red wine. And I adore champagne".

Per lei, Nina Simone, "the High Priestess of Soul", il nuovo Auditorium di Roma era tutto esaurito domenica sera. Un pubblico da grandi occasioni (Nicola Piovani e Pietro Folena, tra i vari vip in plaeta), accorso per curiosità, passione, voglia di tributare omaggio a questa 70enne musicista di culto che non porta bene i suoi anni, che cammina a fatica e a fatica procede attraverso le poche canzoni di un concerto che appare come la pallida citazione della grandezza di un tempo. La bravura di Nina Simone, la sua forza, la sua intensità, la sua anima blues e la sua irriducibile voce "contro", sono documentate in numerose incisioni live (il cuore della sua produzione discografica). Chi fosse andato all'Auditorium con la speranza di rivivere quelle emozioni, si è dovuto accontentare di applaudire il personaggio, non la musicista.

E infatti, il "personaggio" Nina Simone c'è tutto, imprevedibile e inafferrabile come sempre. "Non sono mai scesa a compromessi per il successo, mai!", aveva ribadito venerdì pomeriggio, all'incontro coi giornalisti, con energia e un senso quasi di sfida. Il business musicale non la spaventa, il pubblico non la intimorisce, la musica per lei è anche fisicità, i tasti del pianoforte, il blues, la sua voce, quell'incredibile tonalità agrodolce che il tempo non è riuscito a corrrompere.

Non la preoccupa più di tanto la spalla dell'abito di strass blu e neri che le scende giù mentre suona, non si imbarazza per aver dimenticato il nome dei suoi musicisti proprio mentre li sta presentando, o per doversi voltare e chiedere al chitarrista la tonalità di un brano. Il gruppo, un quartetto non eccelso, probabilmente arruolato per l'occasione, è palesemente diviso tra l'orgoglio di doverla accompagnare e la disperazione di dover andare dietro ai suoi cambi repentini di scaletta.

"Black Is The Color of My True Love's Hair" lascia il passo ad uno spiritual tradizionale, quindi a sorpresa si lancia in "Here Comes The Sun" dei Beatles (di George Harrison, per essere più precisi), e infine, in piedi, incita il pubblico a cantare con lei "See-Line Woman". Esce sulle note di "So What" di Miles Davis per dar modo ai suoi musicisti di far (deludente) sfoggio delle loro capacità, quindi ritorna, sempre lentamente, sorretta dal suo assistente, per rimettersi al pianoforte e snocciolare alcune delle sue perle: "I Loves You Porgy", "Mississippi Goddam", "I Want a Little Sugar In My Bowl" e "Four Women". Al termine di ogni canzone agita il suo scopino da stregone, e il pubblico la innonda di applausi. A metà dello show, lei si gira verso le quinte: "Quanto manca? Ancora venti minuti? Oh, Gesù", esclama sorniona. E giù, altri applausi.

Ma non basta il carisma a dar senso ad una serata che appare più un tributo, che un vero e proprio concerto. E che lei chiude in fretta, cantando "My Baby Just Cares For Me" quasi di corsa, come per liberarsi di qualcosa che gli altri si aspettano ma che a lei non dice più molto.

E non dà soddisfazioni a nessuno: niente bis, nessuna delle canzoni chieste dal pubblico. "Continuate a comprare i miei dischi, e tornate a sentirmi la prossima volta", saluta, prima di scomparire dietro le quinte. E i fan vanno via, dopo l'ultimo applauso, con l'intima convinzione che sarebbe meglio non ci fosse una prossima volta, per il bene stesso della grande Nina Simone.

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