Odio l'America, odio la gente tranne quando sono sul palco

Giuseppe Videtti
Repubblica 28 Aprile 2002

«Conosce Maria Callas? Io sono come Maria Callas». È l' unica bianca alla quale le piace somigliare. Maria Callas e Frank Sinatra. «Lui è grandissimo, è mai venuto a cantare in Italia? Mi piace molto l' opera. Una volta ho cantato anche Black Swan, dal Medium di Giancarlo Menotti». Poi Nina Simone entra nel pantheon dei neri e non ne esce più. «Marian Anderson, il grande contralto, una delle mie preferite, insieme a Stevie Wonder e Ray Charles. E Patti LaBelle: abbiamo duettato alla Carnegie Hall il 13 aprile. Al "Rainforest Concert" organizzato da Sting».

Ha cantato canzoni di Sting? «No. Non ne ha bisogno. È già così ricco. Case, castelli~ Vorrei avere io tutti quei soldi!». Cosa ha cantato? «Here comes the sun di George Harrison, My baby just cares for me e Ne me quitte pas di Jacques Brel. Poi sul finale quando Patti e io abbiamo intonato Oh happy day, tutti gli altri si sono uniti in coro, Sting, Elton John, James Taylor, Smokey Robinson. Una notte di stelle, mi hanno trattato come una regina».

Si è riappacificata con l' America, dopo la polemica fuga in Africa negli anni Settanta e la scelta definitiva di una nuova nazionalità, quella francese. «Sì, una volta tanto New York mi è piaciuta e mi sono divertita. Ho sempre odiato quella città. Ci sono tornata dopo dieci anni. Ma ora che sono qui a casa mia non ho alcuna voglia di tornarci».

La casa di Nina Simone, 69 anni compiuti il 21 febbraio, è a BoucBelAir, in Provenza, lontana dall' America che ha ripudiato da un quarto di secolo, con gli odori dell' amata Africa che le arrivano dal Mediterraneo. «Questo è un bel paese, mi allontano raramente ormai. Solo quando il mio manager riesce a organizzarmi una piccola tournée qui intorno». Il 5 maggio si esibirà all' Auditorium di Roma.

Che ricordi ha del nostro paese? «Cantai al Sistina, in sala c' era anche la Magnani. Quell' anno (il 1969) mi fecero anche incidere una canzone in italiano, Così ti amo. Imparai le parole in poche ore e a tarda sera avevamo completato la registrazione». Era una versione di To love somebody dei Bee Gees per la quale Gino Paoli scrisse un nuovo testo.

«È un' artista difficile, molto difficile» raccontava Ronnie Scott che la ospitò più volte nel suo jazz club londinese. «Ricordo una volta che dopo aver cantato due canzoni s' interruppe bruscamente e incominciò a scrutare il pubblico in sala senza dire una parola. Poi si alzò e scomparve dietro le quinte. Il concerto era finito». Nina Simone non è mai stata un' artista facile. Ora meno che mai. Quest' intervista è frutto di un anno di telefonate, email, inseguimenti, richieste ripetutamente respinte. «Dr. Simone non vuole parlare del suo passato, non faccia lo stesso errore degli altri giornalisti» ammonisce Clifton Henderson, il suo factotum.

L' anno scorso c' invitò al Palais de Congrès di Parigi: un concerto trionfale, ma alla fine era esausta, troppo stanca per un' intervista. «Non creda che Dr. Simone sia un' artista fragile come sembra» dice il suo manager Juan R. Yriart «è solo una donna che pretende attenzione e sa come ottenerla». E pretende anche di essere chiamata "doctor": sempre e da chiunque.

I fan italiani hanno perso le sue tracce. Le sue apparizioni sono sempre più rare. Per molti lei è diventata un culto. «Era quello che volevo quando mi sono stabilita in Francia. Volevo condurre una vita ritirata, lontana dai riflettori. Affacciarmi alla finestra e vedere il mare. E, in una bella giornata come questa, spalancare le persiane e far entrare il sole. Non ne potevo più dell' America, non ne potevo più della gente. L' unico momento in cui tollero la presenza del pubblico è quando sono sul palcoscenico. In quel momento vorrei conoscerli uno ad uno. Sapere chi sono e dove sono seduti. Diversamente, come si può cantare una canzone a qualcuno?». Come mantiene il contatto con i suoi ammiratori? «Mi scrivono lettere. Ne ricevo migliaia ogni giorno, dai milioni di fan che ho in tutto il mondo».

Ora sta lavorando a un nuovo disco, quando uscirà? «Ho già inciso alcune canzoni, ma ci vorrà ancora tempo. Ci saranno dodici brani, o forse dieci. Dovrebbe essere pronto per fine anno». Canterà anche qualcosa in francese? «Sì, una nuova versione di Ne me quitte pas». Come trascorre la sua giornata? «Da reclusa, come piace a me. Faccio passeggiate, trascorro ore sotto il porticato, poto le piante, raccolgo i fiori. E siccome sono anche una donna fortunata, a volte mi concedo un concerto nei paraggi». Ascolta musica in casa? «Mai. Tranne le canzoni che eseguirò in concerto. Le ascolto e le risuono infinite volte».

Come si è sentita quando New York è stata attaccata dai terroristi? «È stato un choc, come per tutti. Ma non è stata una sorpresa: quel che è accaduto non era del tutto imprevedibile». Avrebbe mai creduto, dopo le canzoni di protesta, le marce e i sitin cui anche lei ha partecipato negli anni Sessanta di ritrovarsi di nuovo in guerra? «Non me l' aspettavo, ma ora sono pronta». La maggior parte degli artisti americani si è stretta intorno a Bush quando il presidente ha annunciato l' attacco all' Afghanistan. «Non io. Io avrei votato per Gore».

Come giudica la scena musicale nera di oggi? Il suo nome è finito anche in una rima dei Fugees: "You Al Capone / I' m Nina Simone". «C' è molto rap in giro, ma niente di musicalmente valido. Il messaggio, in fondo, è lo stesso delle mie canzoni di trent' anni fa. Ma a loro manca un leader. Non hanno Martin Luther King, non hanno Malcolm X, e alla fine sbattono la testa contro il muro». Oggi si sente più francese o americana? «Io mi sento Nina Simone, mio caro».