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Calibrare e profilare un monitorPerché devo “calibrare” il monitor?
Copio e incollo da un forum di fotografia questa domanda che mi pare significativa nella sua confusione:
calibrare il monitor serve? ma anche non avendo calibrato il monitor non si può portare in stampa il profilo del monitor e caricarlo sulla stampante? aggiungo; si potrebbe invece caricare il profilo colore della stampante sul monitor?
Cerco allora di spiegare qui perché è necessario calibrare i propri monitor e qual è la differenza tra calibrazione e profilazione, partendo dall’inizio, cioè dalla gestione del colore.
Sappiamo tutti che se visualizziamo la stessa immagine su monitor diversi la vediamo con colori diversi; se la stampiamo verrà ancora diversa, se cambiamo carta o stampante o inchiostri verrà ancora diversa. Insomma, se non interveniamo in qualche modo, vedremo sempre colori diversi.
La gestione del colore è la tecnologia il cui obiettivo è ottenere gli stessi colori su tutti i nostri monitor, su tutte le nostre stampanti, e sui monitor e le stampanti dei nostri collaboratori, clienti o fornitori.
Io paragono la gestione del colore ad un puzzle. Avete presente un puzzle, cioè una di quelle immagini che si devono ricostruire a partire da piccoli pezzi che vanno incastrati assieme?
Il singolo pezzetto di un puzzle, da solo, non conta nulla. È l’insieme di tutti i pezzi, correttamente incastrati tra di loro, che consente di ricostruire l’immagine complessiva del puzzle. Con un solo pezzetto non ci fate nulla, e neanche con due o tre. Ci vogliono tutti.
Ecco, la gestione del colore è un puzzle, nel senso che è composta di vari pezzi che vanno incastrati assieme.
Per esempio, per visualizzare correttamente su monitor una immagine, occorre incastrare il profilo del monitor (ottenuto con la calibrazione) con lo spazio colore dell’immagine. Per stampare correttamente una immagine occorre incastrare lo spazio colore dell’immagine con quello della stampante. Per fare una soft proof occorre incastrare il profilo contenuto nell’immagine con quello del monitor (ottenuto dalla calibrazione) e della stampante da simulare. Eccetera eccetera.
La calibrazione del monitor è precisamente uno dei pezzi di questo grande puzzle che è la gestione del colore. Così come nel puzzle vero e proprio il singolo pezzetto da solo non serve a nulla, anche la calibrazione del monitor, da sola, non serve a nulla.
La calibrazione del monitor, da sola, non serve a visualizzare immagini migliori, o più fedeli all’originale. Non serve ad avere belle stampe. Non migliora un monitor di qualità scadente. Non rende il mio monitor uguale a quello del mio collega o del mio fornitore. Non serve a diminuire l’usura del monitor (l’ho sentito dire). Non serve a rendere una immagine “neutra” (non so cosa significhi, ma ho sentito anche questo).
Ma allora a cosa serve? Perché ci dicono che dobbiamo farla?
Perché è necessaria (ma non sufficiente) nello stesso modo del pezzetto di un puzzle, il quale è necessario (ma non sufficiente) per costruire il quadro completo.
Un singolo pezzo (la calibrazione del monitor, il profilo del monitor, il profilo della stampante, quello della fotocamera, ecc. ecc.) non serve a nulla. È l’incastro di tutti i pezzi che crea il risultato finale, cioè la corrispondenza dei colori.
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Entrando più nel dettaglio, in realtà quando noi diciamo di “calibrare” un monitor (non dite “tarare” per favore, il monitor non ha tara) con un software e uno strumento (un colorimetro o uno spettrofotometro, non chiamatelo “sonda” per favore, quelle sono spaziali e gastriche), il software non fa una singola operazione, ma ne fa tre di operazioni, una dopo l’altra, anche se forse non ce ne rendiamo conto. Le tre operazioni sono queste:
- la calibrazione;
- la caratterizzazione;
- la profilazione.
Lo scopo finale di questa serie di tre operazioni è la creazione del profilo del monitor. Le due fasi precedenti (calibrazione e caratterizzazione) sono molto importanti ma sono solo preparatorie per la fase finale di profilazione. Il profilo è il vero risultato della calibrazione.
Faccio una analogia con il banchetto di un matrimonio. In questo caso l’obiettivo finale è riunirsi attorno agli sposi e parlare, festeggiare, mangiare e bere tutti assieme.
Per arrivare a questo obiettivo è ovviamente necessario preparare e imbandire la tavola e si tratta di un lavoro molto importante: i bicchieri, le posate, le stoviglie devono essere pulitissime e splendenti, la tovaglia deve essere immacolata, gli ornamenti devono essere graziosi e invitanti, i cibi vanno disposti con una certa sontuosità.
Ma per importante che sia il lavoro di preparazione della tavola, si tratta pur sempre di un lavoro preparatorio per lo scopo finale: riunirsi e banchettare, festeggiare, parlare, mangiare e bere.
Così è anche per la cosiddetta “calibrazione” del monitor. È una fase certo importante ma non finalizzata a se stessa bensì preparatoria per quella successiva, la caratterizzazione, la quale è preparatoria per quella ultima e finale: la creazione del profilo del monitor. Anche qui torna l’analogia con il puzzle: la calibrazione deve incastrarsi con la caratterizzazione e questa deve incastrarsi con la profilazione.
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Negli altri post di questa serie entro nel dettaglio delle varie operazioni, ma ciò che ho voluto sottolineare in questo articolo è che l’operazione che viene chiamata genericamente “calibrazione” del monitor (a) rientra nel quadro generale della gestione del colore in cui tutto funziona per “incastro” e (b) è una operazione composta di tre fasi, di cui la calibrazione vera e propria è una fase certo importante ma solo preparatoria, non finale. Necessaria, ma non sufficiente.