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Il blog di Mauro Boscarol sulla gestione digitale del colore dal 1998

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Storia della sensazione del colore

Qualità essenziali e qualità sensibili

Nei duemila anni che vanno dai pensatori dell’antica Grecia al Seicento, il colore viene percepito, cioè arriva al nostro sistema visivo e ne siamo consapevoli, ma non appartiene al nostro sistema sensoriale. Lui, il colore, rimane sull’oggetto. È solo una sua immagine ciò che si forma nella nostra mente. Lo conferma l’etimo della parola: in latino color deriva da celare, cioè nascondere; in greco χρώμα (croma) è la superficie delle cose.

Attorno al Mille Alhazen aveva descritto come il colore arriva a noi. Il mondo esterno viene raffigurato sul cristallino dell’occhio e viene poi trasferito al sistema dei sensi. Qualche secolo dopo il francescano inglese Roger Bacon aveva precisato che la raffigurazione del mondo esterno continuava nel nervo visivo e arrivava al cervello, dove dunque si formava una immagine colorata degli oggetti osservati. Ancora qualche secolo dopo Keplero aveva descritto per la prima volta in modo completo e ancor oggi accettato il funzionamento del sistema visivo.

Ma questo era il funzionamento del sistema visivo. Il colore continuava comunque ad appartenere agli oggetti e alle luci e nel sistema visivo dell’osservatore ne veniva creata una rappresentazione.

Solo gli atomisti avevano avanzato un’idea diversa che era stata anche riportata da Platone (nel Teeteto) da Galeno e da Lucrezio. Democrito distingueva le qualità primarie (che si riducevano alle proprietà degli atomi, ed erano oggettive e quantitative) dalle qualità secondarie ovvero le sensazioni soggettive (come i sapori e i colori) che emergevano quando gli atomi dei corpi entravano in contatto con quelli dell’anima. Queste ultime non erano considerate da Leucippo e Democrito come intrinseche alla natura ma determinate dalla posizione e dall’ordine in cui gli atomi si dispongono nell’anima.

In tempi moderni è Galileo Galilei (1564-1642) nel Saggiatore pubblicato nel 1623  a sottolineare che bisogna distinguere tra  qualità “essenziali” e qualità “sensibili” dei corpi. In questo celebre brano Galileo indica che per interpretare la natura sono necessarie considerazioni matematiche ed esperienze:

Per tanto io dico che ben sento tirarmi dalla necessità, subito che concepisco una materia o sostanza corporea, a concepire insieme ch’ella è terminata e figurata di questa o di quella figura, ch’ella in relazione ad altre è grande o piccola, ch’ella è in questo o quel luogo, in questo o quel tempo, ch’ella si muove o sta ferma, ch’ella tocca o non tocca un altro corpo, ch’ella è una, poche o molte, nè per veruna imaginazione posso separarla da queste condizioni; ma ch’ella debba essere bianca o rossa, amara o dolce, sonora o muta, di grato o ingrato odore, non sento farmi forza alla mente di doverla apprendere da cotali condizioni necessariamente accompagnata: anzi, se i sensi non ci fussero scorta, forse il discorso o l’imaginazione in se stessa non v’arriverebbe già mai.
Per lo che vo io, pensando che questi sapori, odori, colori etc., per la parte del suggetto nel quale ci par che riseggano, non sieno altro che puri nomi, ma tengano solamente la residenza nel corpo sensitivo, si che rimosso l’animale, sieno levate e annichilite tutte questa qualità.
—Galileo Galilei Il Saggiatore 1623

I corpi dunque hanno poche qualità essenziali: grandezza, forma, posizione, movimento. Tutte le altre sono qualità sensibili ossia soggettive. Le qualità primarie dei corpi interagiscono con i nostri organi di senso e la conseguenza di questa interazione sono le qualità sensibili.

La distinzione galileiana fu immediatamente accolta, nell’ambito del paradigma meccanicistico. La novità della concezione galileiana non sta tuttavia nella matematizzazione della natura, giacché ci sono precedenti nell’antichità (Timeo di Platone) e nel medioevo (gli scolastici parigini, la scuola baconiana di Oxford). Sta invece nella conclusione che esiste un ordine precostituito dell’universo afferrabile a priori o con l’uso della ragione e con cui essenzialmente si identifica la “scienza”.

Galileo ha stabilito la struttura matematica dell’universo perché ha deciso in anticipo di considerare irrilevanti gli aspetti qualitativi dell’esperienza quotidiana. La ragione di questa scelta risiede nel fatto che solo isolando gli aspetti quantitativi da quelli qualitativi che l’esperienza ci presenta intrecciati, è possibile dominare la natura per fini o scopi umani.

L’idea di Galileo verrà approfondita circa 70 anni dopo dal filosofo inglese John Locke (1632-1704) nel suo manifesto dell’illuminismo Saggio sull’intelletto umano pubblicato nel 1690. Secondo Locke tutta la conoscenza umana deriva dai sensi mediante un processo che astrae dalle sensazioni  i concetti generali. È dunque necessario distinguere le qualità appartenenti ai corpi da quelle che invece non appartengono anche se percepite dai sensi.

Locke distingue allora tra le qualità che i corpi veramente hanno e che chiama qualità “primarie”, e sono le qualità meccaniche e geometriche come la forma, il movimento e la disposizione delle particelle che li compongono, e le qualità “secondarie” che sono invece il potere di produrre varie sensazioni in noi come il suono, il colore, il gusto. Queste qualità secondarie dipendono in qualche modo dalle qualità primarie.

Oggi i filosofi chiamano qualia le qualità sensibili di Galileo o le qualità secondarie di Locke.

In particolare i filosofi meccanicisti che si occupano di colore si oppongono alla distinzione tra colori reali e colori apparenti. Il colore è una qualità secondaria (una sensazione) a prescindere dalla fonte, cioè dallo stimolo fisico, che può essere un corpo, oppure la luce dell’arcobaleno o del prisma. Il colore è una risposta fisiologica ad uno stimolo fisico esterno (cioè la luce). Questa è la vera natura del colore.

Molti filosofi della natura respingevano con decisione la divisione dei colori tra reali e apparenti. Tra questi Descartes

Non so apprezzare la distinzione dei filosofi quando dicono che ci sono colori veri e altri che sono soltanto falsi e apparenti. Poiché infatti tutta la loro vera natura consiste nell’apparire, è una contraddizione, mi sembra, che siano falsi e apparenti.
Descartes Météores

ma anche Gassendi, Charleton, Boyle. Veniva anche rigettata la distinzione tra luce e colore, perché la luce stessa produce una sensazione di colore.

Tuttavia, pur rifiutando l’idea che i colori siano qualità intrinseche dei corpi, i meccanicisti assumono che l’origine dei colori sia dovuta a una qualche forma di modificazione o di alterazione della luce bianca, estendendo in questo modo la teoria scolastica dei colori apparenti a tutti i colori, vale a dire a quelli dei corpi così come a quelli della luce.
[Franco Giudice, Introduzione a Isaac Newton Scritti sulla luce e i colori, Rizzoli, 2006]

 

Mauro Boscarol

10/11/2012 alle 13:48