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Il blog di Mauro Boscarol sulla gestione digitale del colore dal 1998

Nella serie Storia della sensazione del colore

2.1.5 Le dottrine del colore di Aristotele

Mondo terrestre, mondo celeste, intelligenze divine
Sostanza e accidente, forma e materia, potenza e atto
La luce aristotelica
La natura del colore dei corpi e i primi colori (bianco e nero)
I media hanno un colore?
I colori dei corpi oltre il bianco e il nero
Psicologia della percezione secondo Aristotele
Le teorie della visione che Aristotele non approva
Visione e percezione del colore dei corpi
I colori dell’arcobaleno
Fenomeni di contrasto dei colori
Il trattato sui colori attribuito a Aristotele
In breve

Aristotele

Aristotele con l’Etica nella Scuola di Atene di Raffaello

Aristotele (384-322 a.C.) allievo di Platone e uno dei grandi padri della cultura occidentale, è un pensatore determinante per i successivi sviluppi della filosofia. Nasce a Stagira, antica città macedone nella penisola Calcidica (oggi ci sono solo le rovine, a pochi chilometri dal villaggio che porta lo stesso nome). Pare che il padre fosse il medico personale del re di Macedonia. All’età di 16 anni Aristotele si trasferisce ad Atene per frequentare l’Accademia fondata circa vent’anni prima da Platone, e dove rimarrà fino alla morte di Platone stesso, nel 347 a.C. Successivamente si dedica a ricerche di carattere biologico, prima di diventare educatore del futuro re macedone Alessandro Magno. Torna ad Atene nel 335 a.C. dove fonda la sua scuola, in un pubblico ginnasio posto su un colle sacro ad Apollo Liceo (likeyos, lupo). La scuola si chiama Peripato, che significa “passeggiata”, dall’uso istituito da Aristotele di insegnare passeggiando nel giardino che la circonda.

Dodici anni dopo la fondazione della scuola, nel 323 a.C., Alessandro Magno muore e Aristotele è costretto a lasciare Atene rifugiandosi con la famiglia a Calcide, la città materna nell’isola di Eubea, dove muore l’anno dopo. Gli succede come scolarca (cioè capo della scuola) il discepolo Teofrasto (372-287 a.C.) e successivamente, alla morte di Teofrasto, Stratone di Lampsaco (335-269 a.C.).

La scuola di Aristotele viene saccheggiata e distrutta nell’86 a.C dal generale romano Lucio Cornelio Silla che trasferisce a Roma tutti i papiri che ancora oggi formano la base del corpus aristotelicum. La scuola venne successivamente ricostruita, ma la collocazione del sito è rimasta sconosciuta per secoli, fino alla riscoperta nel 1996 durante gli scavi per la costruzione del Nuovo Museo di Arte Moderna di Atene.

Il ritratto di Aristotele scolpito nel 325 a.C. quando il filosofo era ancora in vita. Conservato nel Kunsthistorisches Museum di Vienna.

Di Aristotele possediamo gli scritti esoterici, destinati agli studenti della sua scuola, probabilmente gli appunti che venivano poi sviluppati a lezione. Gli scritti essoterici, preparati per l’esterno, ci sono pervenuti solo in piccola parte.

Tra il pensiero atomistico di Democrito e quello idealistico di Platone, Aristotele sceglie una via intermedia. Ma mentre il materialismo di Democrito verrà rifiutato dalla cristianità medievale e accettato solo in tempi moderni, le idee di Aristotele si confronteranno ripetutamente con quelle di Platone nei duemila anni successivi. Nel neoplatonismo ellenistico, nel pensiero agostiniano e plotiniano e nel neoplatonismo umanistico fiorentino prevarrà il pensiero platonico, mentre quello aristotelico sarà predominante nella scienza araba, ed entrambi avranno un ruolo importante nella nascita e nello sviluppo della filosofia Scolastica. A partire dall’XI secolo, il pensiero di Aristotele, opportunamente adattato e cristianizzato diverrà il fondamento dell’istruzione superiore nell’Occidente. In particolare, le sue teorie sulla visione, la luce e il colore saranno storicamente molto influenti e resteranno dominanti per venti secoli, fino alla nascita della scienza moderna nel XVII secolo.

Contrariamente a Platone che è un matematico ed evita l’osservazione e la registrazione dei fenomeni, Aristotele è poco incline alla matematica e più interessato alla biologia e alle scienze della natura (la “filosofia naturale” che oggi si chiama “fisica”). L’insegnamento di Aristotele è naturalistico, volto alla osservazione, descrizione e classificazione dei fenomeni, i cui principi vanno cercati nella realtà che si percepisce attraverso i sensi (la “realtà sensibile”) la quale è l’oggetto della conoscenza.

Mondo terrestre, mondo celeste, intelligenze divine

Aristotele divide la realtà sensibile in due mondi: il mondo terrestre o sublunare e il mondo celeste o sopralunare. La materia del mondo terreste sono i quattro elementi fondamentali, così che il mondo terrestre è idealmente fatto di quattro sfere, una per ogni elemento fondamentale: la sfera della terra al centro, avvolta da una sfera d’acqua, a sua volta avvolta da una sfera d’aria, il tutto chiuso in una sfera di fuoco. Nel mondo terrestre non c’è ordine ma caos, movimento, generazione, corruzione, alterazione, irregolarità. Gli elementi fondamentali sono mescolati e quindi non stanno ognuno nel proprio luogo naturale, però tendono ad andarci: terra e acqua tendono verso il basso, aria e fuoco verso l’alto.

La terra è immobile al centro dell’universo, circondata da otto sfere concentriche, i cieli: quello della Luna, di Mercurio, di Venere, del Sole, di Marte, di Giove, di Saturno e infine il cielo delle stelle fisse, il firmamento. Le otto sfere di Aristotele costituiscono il mondo celeste eterno, immutabile, incorruttibile, senza peso e trasparente, dove nulla nasce, nulla muore, nulla diviene, il moto è regolare e perfetto, cioè circolare. La materia del mondo celeste è un quinto elemento non meglio precisato, l’etere, né pesante né leggero.

Tolomeo aggiungerà un nono cielo: il cielo cristallino, o primo motore, che trasmette il movimento agli altri. Le sostanze di questo nono cielo sono soprasensibili e sono le intelligenze divine. Per Aristotele Dio esiste, ma è immobile, contempla se stesso e non pensa al mondo e agli uomini. La nostra realtà trova in sé la propria giustificazione e il mondo non ha avuto principio nel tempo, bensì è una catena di processi che perennemente sviluppano azioni.

Sostanza e accidente, forma e materia, potenza e atto

La dottrina aristotelica su luce, visione e colore è basata su alcuni concetti fondamentali della metafisica aristotelica. Contrariamente a Platone che descrive un mondo di idee universali (“idealismo assoluto”), Aristotele descrive un mondo di esseri (“realismo moderato”). Secondo Aristotele arriviamo a conoscere le cose non sulla base delle idee innate platoniche ma con l’esperienza e il ragionamento, studiando le leggi della natura e organizzando la conoscenza in branche e discipline; aver immaginato un mondo di idee innate che le cose reali imitano imperfettamente è un parlare poetico che Aristotele non accetta.

Ogni essere dell’universo è o una sostanza (detta anche essenza) o la proprietà accidentale (anche accidente) di una sostanza. Una sostanza è un individuo, per esempio un determinato albero, mentre l’essere verde (o qualunque altro colore) è una proprietà accidentale di quella sostanza (quell’albero). Una sostanza non ha bisogno d’altro che di se stessa per esistere, mentre una proprietà accidentale per esistere ha bisogno di una sostanza. Così una determinata casa è una sostanza, il luogo in cui quella casa si trova è una proprietà accidentale della casa. Aristotele cita nove generi di proprietà accidentali: qualità (per esempio l’essere verde), quantità (essere una), relazione (essere mia), azione, passione, luogo (essere in un luogo), tempo (essere in un determinato momento). 1

Un secondo concetto della metafisica aristotelica è che ogni sostanza del mondo sensibile è materia unificata da una forma. La materia (nel mondo terrestre) è mescolanza dei quattro elementi fondamentali (acqua, terra, aria, fuoco) alla quale può essere data una forma. Per esempio una determinata casa (la sostanza) è costruita con mattoni (la materia) disposti in un determinato modo (la forma). Un determinato uomo è fatto di carne ed ossa (materia) e di un’anima (forma). I successori di Aristotele (come Tommaso) aggiungeranno che anche ogni proprietà accidentale di una sostanza è una forma determinata. Dunque si distinguere la forma della sostanza (“forma sostanziale”) dalla forma dell’accidente (“forma accidentale”) che è una specifica della proprietà accidentale.

Un terzo concetto fondamentale è quello di essere in potenza e essere in atto. Una certa quantità di mattoni è una casa solo in potenza. Quando i mattoni vengono disposti in un certo modo, cioè viene data loro una certa forma, la materia non è più una casa in potenza ma una casa in atto. La predisposizione della materia a lasciarsi unificare è la sua potenza. La forma in cui la materia è unificata è l’attuazione di questa potenza. Quindi si può dire che la materia è la “parte debole” della sostanza, è la parte indeterminata, potenziale, in opposizione alla forma che è l’attuazione. La natura stessa di una cosa, la sua nozione, la sua vera essenza, la sua idea platonica è nella forma della cosa (e non nell’iperuranio, come sosteneva Platone) e dunque la forma è più importante della materia. È alla forma che inseriscono le proprietà della sostanza mentre la materia è senza proprietà ed è solo il substrato della forma.

Infine bisogna ricordare che ogni sostanza del mondo sensibile è corporea, cioè è un corpo, occupa spazio, è una delle cose tridimensionali che popolano l’universo. La forma di una sostanza è ovviamente incorporea, e anche la materia, meno ovviamente per i moderni, è incorporea, non avendo proprietà, nemmeno quella della quantità. 2 “Corporeo” dunque si può dire solo di una sostanza del mondo sensibile, non di una materia né di una forma. 3 Esistono anche sostanze soprasensibili e incorporee, composte di sola forma senza materia, e sono le sostanze spirituali: Dio, il primo motore, le intelligenze che muovono l’universo. I successori di Aristotele per precisare questa idea svilupperanno la nozione di “materia spirituale” che può ricevere una “forma spirituale” dando origine ad una “sostanza spirituale” e dunque incorporea.

A questo punto abbiamo tutti gli elementi per trattare della luce, del colore e della visione. La dottrina di Aristotele su questi temi è esposta in tre libri: Dell’anima (libro II, capitolo 7) tratta della natura della luce e della visione del colore; Sul senso e sui sensibili (capitoli 2 e 3) tratta della natura del colore dei corpi; Meteorologia (libro III, capitolo 2 e 4) tratta della natura dei colori dell’arcobaleno.

Per Aristotele luce e visione sono temi collegati (si può vedere solo se c’è luce) mentre il colore è un tema che può essere trattato indipendente dalla visione cioè dal fatto che venga visto (il colore “muove” la luce ma non necessariamente ci deve essere un occhio che recepisca il movimento). Quindi il tema della natura del colore (trattato in Sul senso e sui sensibili) è separato dai temi della visione e della natura della luce (trattati in Dell’anima). Iniziamo da quest’ultimo tema: qual è la natura della luce?

La luce aristotelica

Nel pensiero aristotelico la luce non è una sostanza, ma una proprietà accidentale di una sostanza trasparente come l’aria o l’acqua. Tutto ruota attorno al termine to diaphanes (letteralmente “il diafano”) che indica un corpo attraverso il quale si vede distintamente, cioè attraverso il quale l’immagine di un oggetto è riconoscibile, distinguibile alla vista. Nel linguaggio tecnico moderno un corpo che ha questa proprietà si dice essere “trasparente”.

Aristotele distingue due tipi di corpi: un corpo è indeterminato se non ha bordi, come l’aria e l’acqua, e in tal caso può fare da medium (cioè da mezzo di propagazione); un corpo è determinato se è un corpo solido con bordi limitati e una superficie finita, come un pezzo di legno o di pietra. Ebbene, sono trasparenti tutti i corpi indeterminati e solo alcuni dei corpi determinati (per esempio il vetro e il ghiaccio):

Chiamo diafano ciò che è sì visibile, però, a parlare propriamente, non visibile per sé ma mediante un colore estraneo. Tali sono l’aria, l’acqua e molti dei [quindi non tutti i] corpi solidi: ma non in quanto acqua, né in quanto aria sono diafani, bensì perché vi è in essi una qualità naturale, la stessa che è in entrambi e nel corpo eterno in alto [l’etere o quintessenza].
[Aristotele Dell’anima] II, 7 418b4-9

Stabilito questo entrano i gioco i concetti di atto e di potenza. Un corpo indeterminato è trasparente, ma senza la presenza di un corpo autoluminoso (come il sole o il fuoco) è trasparente solo in potenza. Se invece nel corpo indeterminato è presente una sorgente luminosa, allora è trasparente in atto, cioè il corpo indeterminato è effettivamente trasparente. Nel primo caso lo stato del corpo indeterminato si chiama “buio”, nel secondo caso, lo stato del corpo indeterminato si chiama “luce”.

La definizione aristotelica della luce è dunque questa: la luce è uno dei due stati di un corpo indeterminato potenzialmente trasparente (un medium), e precisamente lo stato in cui la trasparenza è in atto, è effettiva. In breve, la luce è l’attualizzazione del medium; quando il medium rimane solo potenziale manca la luce, c’è il buio.

La luce è l’atto di questo e cioè del diafano in quanto diafano.
Dove il diafano non è se non in potenza ci sono le tenebre.
[Aristotele Dell’anima] II, 7, 418b9-11

Definita così, la luce aristotelica non ha una esistenza indipendente, è un accidente del medium, e da ciò derivano tre importanti caratteristiche. La prima caratteristica è che la luce non è una sostanza e non essendo una sostanza non è nemmeno corporea (due raggi di luce possono incontrarsi senza nessuna conseguenza, se fossero corpi non potrebbero farlo). L’incorporeità separa la concezione aristotelica della luce da quella di altre teorie formulate prima di Aristotele, che si basano invece sul concetto di emanazione e di corporeità (pitagorici, Empedocle, atomisti, Platone). Tuttavia, pur essendo non corporea, la luce partecipa in qualche modo della corporeità del medium e in questo senso ha una dimensionalità derivata da quella del medium attualizzato. Si può quindi dire che la luce è corporea “per partecipazione”. 4

La seconda caratteristica è il fatto che il passaggio del medium dallo stato di trasparenza potenziale a quello di trasparenza effettiva è istantaneo sia in senso diretto (dal buio alla luce) sia in senso inverso (dalla luce al buio). In termini di velocità, affermare che il passaggio dal buio alla luce è immediato equivale a dire che la luce è statica, non si propaga, oppure che la velocità di propagazione della luce è infinita. Che la luce abbia una velocità finita come sosteneva Empedocle

…è contro l’evidenza del ragionamento e contro quanto appare ai sensi, ché in un breve spazio quel movimento ci potrebbe sfuggire senz’altro, ma che ci passi inosservato dall’oriente all’occidente è una pretesa eccessiva.
[Aristotele Dell’anima] II, 7 418b24-26

Una terza caratteristica è che la luce non è oggetto di visione, al contrario del colore e del fosforescente, che lo sono. La luce non si può “vedere”, ma “consente di vedere” il colore degli oggetti che sono nel medium.

La dottrina aristotelica della luce è stata ampiamente commentata sia nel Medioevo che nei tempi moderni ed alcuni punti sono stati interpretati in sensi diversi e talora opposti, ma il concetto aristotelico di luce è stato generalmente accettato per circa due millenni, più o meno fino a Keplero e Galileo. 5

La natura del colore dei corpi e i primi colori (bianco e nero)

Fissato il concetto di luce, vediamo come Aristotele definisce il colore di un corpo (determinato o indeterminato). La definizione è sempre basata sul diafano, ma in questo caso il diafano è definito in un modo un po’ diverso rispetto alla precedente definizione, un modo che ne amplia il significato: 6

Quel che diciamo diafano [in senso ampio] non è proprio dell’aria o dell’acqua o d’un altro dei corpi così denominati [cioè diafani] ma è una certa natura e proprietà che non esiste separata ma è in questi corpi e si trova anche negli altri corpi, in quali di più, in quali di meno…
[Aristotele Del senso e dei sensibili] 3 439a21-25

In questa nuova definizione un corpo diafano non è più un corpo attraverso il quale si può vedere ma, più debolmente, un corpo attraverso il quale passa la luce. Nel linguaggio tecnico moderno un corpo che ha questa proprietà è detto “traslucido”.

Nel pensiero aristotelico tutti i corpi, sia quelli determinati sia quelli indeterminati, hanno il diafano (in senso ampio) in ogni parte del corpo, all’interno e all’esterno, ed è questo diafano che consente a tutti i corpi di essere colorati, sia all’interno che all’esterno:

Ricettacolo del colore è l’incolore … incolore è il diafano, l’invisibile e quel che si vede appena, come appunto sembra l’oscuro. E tale [oscuro] è il diafano, non certo quando è diafano in entelechia, ma quando è in potenza: la medesima natura è, a volte, oscurità, a volte luce.
[Aristotele Dell’anima] II, 7 418b28-419a1

Esaminiamo separatamente il caso dei corpi determinati da quello dei corpi indeterminati. In un corpo determinato il colore sta nel diafano e il diafano è presente in ogni parte del corpo, interna ed esterna, in maggiore o minor grado. Da cosa dipende il grado di diafanità di un corpo determinato? Ogni corpo è composto dai quattro elementi ognuno dei quali ha un proprio grado di diafanità. Il fuoco ha massima diafanità, mentre la terra ha minima diafanità. Aria e acqua sono diafani in grado diverso, sono intermedi, l’aria più vicina al fuoco, quindi usualmente di alta diafanità, l’acqua più vicina alla terra quindi usualmente di bassa diafanità. Ne segue che il grado di diafanità di un corpo dipende dal rapporto tra i differenti elementi che compongono il corpo. Se prevalgono fuoco e aria il grado è elevato, se prevalgono acqua e terra il grado è basso.

Ma anche in questo caso vanno applicate le categorie dell’atto e della potenza. Il diafano interno è sempre solo potenziale (non c’è una sorgente luminosa) mentre il diafano alla superficie del corpo può essere potenziale (senza sorgente luminosa) oppure attuale (con sorgente luminosa). Poiché il colore sta nel diafano, se questo è potenziale sarà colore potenziale, se questo è in atto sarà colore in atto. Così il colore (attuale o potenziale) sta in ogni parte del corpo, sia all’interno che alla superficie. Infatti

… i pitagorici chiamavano la superficie colore: il colore, in effetti, è al limite del corpo, ma non è il [cioè solo al] limite del corpo, perché bisogna pensare che la stessa natura che è colorata all’esterno, lo sia pure all’interno.
[Aristotele Del senso e dei sensibili] 3 439a31-33

Poiché il diafano in atto può essere solo alla superficie del corpo, anche il colore in atto può essere solo alla superficie del corpo. Dunque

Il colore [in atto] è il limite del diafano [in senso ampio] in un corpo determinato.
[Aristotele Del senso e dei sensibili] 3 439b11-12 7

Quali sono i colori principali dai quali si possono generare tutti gli altri colori? Per Aristotele il colore dipende dal grado di diafanità. Se il grado di diafanità è elevato, il colore tende al bianco, se è basso il colore tende al nero. Il fuoco ha massima diafanità ed è dunque bianco mentre la terra ha minima diafanità ed è nera. Aria e acqua essendo diafani in grado diverso, non hanno un loro colore intrinseco, sono intermedi, l’aria verso il bianco, l’acqua verso il nero.

È possibile dunque che ci sia nel diafano ciò che nell’aria produce la luce, è pure possibile che non ci sia e che il diafano ne sia privato. Quindi, come nell’aria in una condizione c’è luce, nell’altra buio, così si producono nei corpi il bianco e il nero.
[Aristotele Del senso e dei sensibili] 3 439b14-18

Questo è un punto in cui i due sensi della parola leukos si riferiscono allo stesso fenomeno. Così il fuoco produce il chiaro nel diafano di un corpo indeterminato, mentre produce il bianco nel diafano di un corpo determinato. L’assenza di fuoco lascia lo scuro nel diafano di un corpo indeterminato, ed il nero nel diafano di un corpo determinato. Sia per “chiaro” che per “bianco” Aristotele usa la parola leukos e sia per “scuro” che per “nero” usa melas. Questo è coerente con il fatto che per gli antichi Greci il colore ha più a che fare con la luminosità che con la tinta.

I media hanno un colore?

Si è visto cos’è il colore per i corpi determinati. Ora, se si cerca di estendere questa definizione ad un medium, cioè ad un corpo indeterminato potenzialmente trasparente come l’aria o l’acqua, si arriva alla conclusione che i media non hanno un colore perché il colore è un limite, e i media non hanno un limite (sono sempre limitati da qualcosa d’altro). Però i media sono messaggeri del colore di altri corpi, che appaiono attraverso loro e allora si può dire che, mentre i corpi determinati “trattengono” il colore, i media lo “prendono”, lo “ricevono” in modo derivato, senza risentirne. 8 Questo viene in qualche misura confermato dal fatto che il colore di un medium appare diverso visto da distanze diverse (mentre questo non succede per il colore di un corpo determinato):

…né l’aria né il mare hanno lo stesso colore quando ci si avvicina o ce se ne allontana. Al contrario, nei corpi determinati, se l’ambiente non li fa cambiare, anche il colore si presenta in maniera determinata.
[Aristotele Del senso e dei sensibili] 3 439b3-7

Quando il cielo è azzurro scuro al tramonto, quello non è realmente il suo colore. Semplicemente appare così a noi in quel momento e da una certa prospettiva. Il tramonto è un periodo di transizione tra la luce del giorno e il buio della notte ed è questa combinazione di luce e di buio che fa apparire azzurro il cielo.

Come il colore è la forma e l’atto del corpo determinato, la luce è la forma e l’atto del corpo indeterminato, con una differenza: il corpo determinato possiede in se stesso la causa del suo colore, e il colore rimane nel corpo determinato indipendentemente da tutto, mentre il corpo indeterminato non ha necessariamente la luce, e dunque la luce è il colore del medium trasparente per accidente. In una frase, i corpi indeterminati sono illuminati, i corpi determinati sono colorati.

Si vede che anche l’aria e l’acqua sono colorate: infatti il loro splendore è qualcosa di tale.
[Aristotele Del senso e dei sensibili] 3 439a32-b1

I colori dei corpi oltre il bianco e il nero

I primi colori di corpi sono il bianco e il nero, tutti gli altri colori sono compresi in un intervallo che ha come estremi il bianco e il nero e si formano dalla mescolanza, in vari rapporti, del bianco e del nero. Aristotele giunge quindi alle stesse conclusioni di Empedocle e Platone, cioè che ogni colore ha origine dalla mescolanza, in proporzioni diverse, di bianco e di nero, o di chiaro e di scuro, di luce e di buio. È una dottrina che appare ai moderni molto vaga ed oscura, ma era evidentemente ovvia per gli antichi.

Tre sono i possibili metodi di formazione del colore mediante mescolanza di bianco e di nero. Il primo metodo è la giustapposizione, cioè bianco e nero in quantità così piccole da essere invisibili ad una certa distanza; essendo le quantità molto piccole il bianco e il nero non si possono vedere e quindi si vedrà un altro colore. Si può anche supporre che il numero di parti bianche e nere sia in qualche proporzione, per esempio 3 a 2 o 3 a 4. Così Aristotele estende ai colori il trattamento matematico dei suoni, e avviene anche che

…i colori espressi in numerici semplici, come gli accordi in musica, par che siano i colori più gradevoli
[Aristotele Del senso e dei sensibili] 3 439b32-440a

Il secondo metodo di formazione del colore è la sovrapposizione cioè bianco e nero uno sopra l’altro, come avviene per esempio quando del fumo nero copre il sole bianco che allora appare rosso; Aristotele osserva che si tratta della mescolanza usata dai pittori. 9

La “vera” causa di formazione dei colori sta però in un terzo metodo che è la mescolanza completa (oggi diremmo mescolanza chimica), e questo è il metodo migliore perché

è evidente che quando si mescolano i corpi, si mescolano di necessità anche i colori e che questa è la vera causa determinante l’esistenza di una pluralità di colori e non la sovrapposizione o la giustapposizione. Quando i corpi sono mescolati in tal guisa offrono un colore che appare lo stesso da ogni punto, e non da lontano sì, da vicino no.
[Aristotele Del senso e dei sensibili] 3 440b16-19

Questa è la mescolanza dei quattro elementi fondamentali descritti in Della generazione e della corruzione. Essi si mescolano in modo da produrre una sostanza completamente nuova, nella quale le caratteristiche originali degli elementi sopravvivono ma solo in forma modificata.

Parallelamente ai sette oggetti del gusto (dolce, aspro, pungente, agro, acido, salato, amaro) e ai loro rapporti, Aristotele nomina in tutto sette colori “se si suppone, come è logico, che il grigio sia, in qualche modo, un nero”: 10

  • bianco (leukos)
  • giallo (xanthos)
  • rosso (phoinikous)
  • viola (alourgos)
  • verde (prasinos)
  • azzurro (kyanous)
  • nero e grigio (melas, phaion)

I sette colori di Aristotele

Giallo, rosso e verde vengono citati anche in Meteorologia come colori dell’arcobaleno e  come gli unici colori che i pittori non possono produrre mescolandone altri, frase che è stata lungamente discussa e lo è ancora.

Psicologia della percezione secondo Aristotele

Negli scritti pervenuti di Aristotele si trova una sistematica discussione della teoria della visione, contrapposta alle citazioni frammentarie dei filosofi precedenti. In particolare la dottrina di Aristotele sul colore è esposta in tre libri: Del senso e dei sensibili (un saggio compreso nella raccolta “Piccoli trattati di storia naturale”) tratta della natura del colore dei corpi, Dell’anima tratta della natura della luce e della percezione del colore dei corpi e Meteorologia tratta della natura dei colori dell’arcobaleno.

Per Aristotele la percezione è una capacità dell’anima (psychè) la quale a sua volta è la base della vita, ciò che distingue i corpi viventi da quelli non viventi. L’anima è la facoltà che rende vivo un corpo naturale che potenzialmente può vivere (quindi una pianta o un animale, essere umano compreso, non una pietra o un metallo). L’anima è ciò per cui noi percepiamo, avvertiamo, pensiamo, agiamo ma è anche ciò per cui noi cresciamo, ci nutriamo, digeriamo, respiriamo, ci muoviamo. Le capacità (o funzioni, attività) dell’anima sono tre. La capacità vegetativa (nutrimento, crescita, riproduzione) è comune alle piante e a tutti gli animali, sia non razionali (le bestie) che razionali (l’essere umano). La capacità sensitiva (sensazione, percezione) è comune a tutti gli animali. La capacità intellettiva (ragionamento, pensiero, comprensione, conoscenza, parola) è caratteristica dell’essere umano e risiede in quella parte di anima che si chiama “mente”.

Qui siamo interessati alla capacità sensitiva, che è affidata ai sensi, i quali risiedono negli organi di senso, e sono cinque: vista, udito, gusto, tatto, olfatto. L’oggetto dei sensi è indicato in generale come il “sensibile”. Nel caso del senso della vista, l’organo di senso è l’occhio, l’oggetto della vista è il “visibile” (ciò che è “capace di essere visto”). La vista ha un visibile proprio, il colore (e anche il fosforescente che si percepisce al buio).

Oggetto della vista è il visibile. Visibile è il colore e qualche altra cosa … [il fosforescente].
[Aristotele Dell’anima] II, 7 418a27-28

Visibile “proprio” significa ciò che è percepibile solo con il senso della vista e non con altri sensi. Altre cose sono visibili, ma queste cose non vengono percepite solo con la vista ma anche con altri sensi e sono quindi “visibili comuni”, come il moto, la figura e la grandezza dell’oggetto.

Lo sviluppo della conoscenza sensibile avviene secondo Aristotele in due fasi. Nella prima fase (“impressione dei sensi”) l’organo di senso “accoglie” passivamente la forma (senza la materia) di ciò che viene osservato e il senso “sente” il sensibile.

In generale, riguardo ad ogni sensazione bisogna ritenere che il senso è fatto per accogliere le forme sensibili senza la materia, come la cera accoglie l’impronta dell’anello senza il ferro o l’oro e riceve l’impronta d’oro o i bronzo.
[Aristotele Dell’anima] 2, 424a 18-19

Il colore fa parte della forma di un oggetto e quando l’oggetto viene osservato l’occhio “accoglie” la sua forma e la vista “sente” il colore (cioè il visibile proprio), la forma, la grandezza (cioè i visibili comuni) dell’oggetto.

Nella seconda fase dello sviluppo della conoscenza sensibile interviene il sensus communis che coordina i sensi e fornisce la consapevolezza della sensazione. 11 Se i cinque sensi fossero completamente indipendenti tra di loro, non coordinati e integrati, non saremmo in grado, per esempio, di percepire la scabrosità con la vista né di percepire un tessuto sia con la vista che con il tatto. Aristotele introduce allora il sensus communis che integra e unisce i cinque sensi e con l’aiuto dell’immaginazione (phantasia, cioè produzione di immagini), della memoria (conservazione di immagini), e dell’esperienza (accumularo di sensazioni), distingue, riconosce, giudica, compone le impressioni dei sensi in immagini. 12

Questa teoria psicologica della percezione sarà adottata da Avicenna e Alhacen, verrà ripresa da Alberto Magno nel commento a De anima e dagli studiosi medievali di ottica tra i quali Witelo e Roger Bacon, sarà lucidamente descritta da Dante nel Convivio e sarà applicata fino alla fine del XVI secolo.

Le teorie della visione che Aristotele non approva

Aristotele non approva nessuna delle teorie precedenti sulla visione. È in disaccordo con Empedocle e con Platone sul fatto che la vista sia emissione di fuoco:

Se la vista fosse fuoco, come dice Empedocle, e com’è scritto nel Timeo, e le capitasse di vedere quando la luce esce dall’occhio come da una lanterna, perché non vedrebbe anche al buio? Sostenere che quando esce al buio si spegne, come detto nel Timeo, è del tutto privo di significato: che significa tale spegnersi della luce? Si spegne, in effetti per l’umido o per il freddo quel che è caldo e secco, come sembra essere il fuoco del carbone e la fiamma, ma né il caldo né il secco pare siano attributi della luce. Se poi sono attributi e non ce ne accorgiamo per la loro impercettibilità, la luce dovrebbe spegnersi di giorno durante i temporali e il buio dovrebbe prevalere durante le gelate. Ora la fiamma e i corpi infuocati subiscono tale estinzione, ma alla luce non capita niente di questo.
[Aristotele Del senso e dei sensibili] 2, 437b10-23.

La pupilla e l’occhio sono invece d’acqua, in accordo con Democrito, e tuttavia per la vista non è tanto importante che l’occhio sia acqua, quanto che sia di una sostanza trasparente, come per esempio lo è, oltre all’acqua, l’aria. Aristotele non è d’accordo nemmeno sulla teoria emissionista pitagorica, neanche nella versione platonica:

Del tutto assurdo è dire che la vista vede per qualche cosa ch’esce da lei e che il raggio visuale si stende fino agli astri o che, uscita dall’occhio, si congiunge a una certa distanza con la luce esterna, come pretendono alcuni.
[Aristotele Del senso e dei sensibili] 2, 438a26-29

Quell’“alcuni” è appunto Platone che nel Timeo scrive di amalgama tra il raggio visuale e la luce esterna. Aristotele non considera credibile questa ipotesi ed è anche contrario all’affermazione atomistica che la luce sia una emanazione corpuscolare. Insomma Aristotele non accetta quasi nulla del pensiero del suo tempo sul tema della visione e allora, come scrive Vasco Ronchi

… dopo aver demolito le costruzioni sconnesse dei predecessori vi era bisogno di costruire. E la costruzione di Aristotele non è così cristallina come la critica.
[Vasco Ronchi Storia della luce] p. 15

Ecco dunque il pensiero positivo anche se non “cristallino” di Aristotele.

Visione e percezione del colore dei corpi

Aristotele è considerato il primo filosofo che introduce una teoria del colore realista, una teoria cioè secondo la quale il colore è qualcosa di fisico che appartiene alle cose e dunque la natura del colore (di cui abbiamo trattato nei paragrafi precedenti) è completamente indipendente dal meccanismo di percezione del colore (del quale trattiamo in questo paragrafo).

In altre parole, il colore c’è sempre, può essere alla luce (cioè in uno stato attuale) o può essere al buio (quindi in uno stato potenziale). Ma ciò è indipendente dal fatto che il colore venga visto o non venga visto (o meglio che la percezione del colore sia attuale o potenziale).

Ciascun sensibile si può considerare sotto uno di due aspetti, in atto o in potenza. Come il colore e il suono in atto siano lo stesso o altro dalle sensazioni in atto, e cioè dalla visione e dall’audizione, è stato detto nei libri Dell’anima; diciamo adesso quel che ciascuno dev’essere per produrre la sensazione e l’atto.
[Aristotele Del senso e dei sensibili] 3, 439a14-18

Per Aristotele la visione, cioè il contatto tra un oggetto osservato e un osservatore, viene stabilita mediante un corpo indeterminato diafano che fa da medium tra l’oggetto e l’osservatore. Il diafano del medium è ovviamente un diafano che va inteso in senso stretto, cioè trasparente.

Se nel medium diafano effettivo (cioè con presenza di luce) è presente anche un oggetto colorato, questo oggetto “trasmette” all’occhio dell’osservatore le sue qualità visibili (la figura e il colore) tramite il medium stesso, che è dunque strumento dell’oggetto, mentre l’osservatore svolge solo un ruolo passivo.

Aristotele afferma oscuramente che l’organo di senso “diventa come” la forma dell’oggetto percepito e nel caso della vista questo significa che l’occhio “diventa come” il colore percepito. Potrebbe voler dire che l’occhio si colora letteralmente di quel colore, oppure che l’occhio diventa come il colore percepito solo in senso simbolico.

Più in dettaglio, il medium diafano viene “modificato” dall’oggetto colorato e questa modifica viene istantaneamente comunicata agli umori trasparenti dell’occhio dell’osservatore.

Ogni colore ha il potere di muovere il diafano in atto ed è questa la sua natura. Perciò il colore non è visibile senza luce, ma il colore di qualsiasi cosa si vede nella luce.
[Aristotele Dell’anima] II, 7 418a31-b2

In effetti l’essenza propria del colore è questa: di muovere il diafano in atto.
[Aristotele Dell’anima] II, 7 419a9-11

Qui “muovere” non deve essere inteso nel senso di un movimento spaziale, il processo fisico di qualcosa che effettivamente si muove dall’oggetto colorato, ma piuttosto nel senso di “alterare” cioè una condizione statica che esprime solo il fatto che il colore, attraverso il diafano, appare all’osservatore. L’occhio del quale, a sua volta, è fatto di acqua, che è trasparente e alla quale si applicano le stesse considerazioni sul movimento e l’alterazione. Il colore ha il potere di produrre modifiche qualitative nel “trasparente effettivo” e in questo modo il trasparente diventa in un certo senso colorato, senza esserlo realmente e senza avere subito una reale alterazione.

Questo è il motivo per cui nulla è visibile senza luce, è solo nella luce che si vede l’oggetto, la sua forma e il suo colore, che è ciò che ne ricopre la superficie. Al buio l’oggetto continua ad avere forma e colore, ma l’oggetto stesso non è visibile e tanto meno lo sono la sua forma e il suo colore. È un’altra conferma che il colore appartiene all’oggetto, e in particolare gli oggetti non perdono il proprio colore nell’oscurità contrariamente a quanto si potrebbe concludere seguendo la teoria di Platone.

Quella di Aristotele non è dunque una teoria emissionista, ma nemmeno immissionista perché non prevede corpuscoli che entrano nell’occhio, ma è l’occhio stesso a percepire le “modificazioni” del medium quando c’è luce.

I colori dell’arcobaleno

Oltre ad avere una teoria per il colore dei corpi, Aristotele ha anche una diversa teoria per i colori dell’arcobaleno, esposta nel primo libro di Meteorologia, che è una dettagliata discussione sui diversi fenomeni atmosferici ed altri argomenti di geologia e astronomia.

Aristotele tratta i colori dell’arcobaleno (che i suoi successori chiameranno colori apparenti) in modo diverso da come tratta i colori dei corpi (colori reali). Per l’arcobaleno Aristotele presenta una trattazione del colore di tipo matematico e geometrico, non fisico, basata sul concetto di raggio visuale, concetto che ha respinto nella trattazione del colore dei corpi. I colori dell’arcobaleno sono appunto generati dalla riflessione dei raggi visuale.

Se consideriamo degli specchi, dice Aristotele, essi riflettono sia il disegno che il colore degli oggetti; ma se gli specchi sono molto piccoli, riflettono solo il colore. Nel caso dell’arcobaleno, quando sta per piovere l’intera nube è costituita da piccole goccioline ognuna delle quali funziona come un piccolo specchio e riflette solo il colore. Anzi riflette tre colori principali: rosso, verde e azzurro,

… e sono questi pressoché gli unici colori che i pittori non possono produrre: mentre infatti essi ottengono alcuni colori per mescolanza, il rosso, il verde e l’azzurro non si ottengono per mescolanza, mentre si trovano nell’arcobaleno. Il colore in mezzo tra il rosso e il verde appare spesso giallo.
[Aristotele Meteorologia] III, II, 5-10

L’opinione aristotelica sul numero dei colori dell’arcobaleno (tre o quattro, se si considera anche il giallo) è stata passivamente accettata fino a Teodorico di Freiberg, XIV secolo. Newton nei suoi studi sulla scomposizione della luce solare mediante un prisma, ne elencherà sette.

Da notare infine che Aristotele parla anche di un arcobaleno notturno creato dalla Luna precisando che “ci è capitato di vederlo solo due volte in più di cinquant’anni”.

Fenomeni di contrasto dei colori

In Meteorologia Aristotele cita per la prima volta il fenomeno che i moderni chiamano “contrasto simultaneo”: fili rossi su sfondo bianco appaiono diversi dagli stessi fili rossi su sfondo nero:

Come dunque per il fuoco su fuoco, il nero su nero fa apparire ciò che è lievemente chiaro completamente chiaro, e quindi anche il rosso. Questo fenomeno è evidente anche nelle tinture a colori brillanti: infatti nei tessuti e nei ricami è incredibile quanto appaiono differenti i colori quando si sovrappongono (come il porpora su lane bianche o nere) o in diverse condizioni di luce; perciò i ricamatori affermano di sbagliare spesso i colori quando lavorano vicino ad un lume, prendendone alcuni in luogo di altri.
[Aristotele Meteorologia] III, IV, 20-25

Il fenomeno, che verrà sistematicamente esaminato e spiegato nel XIX secolo dal chimico francese Michel Eugène Chevreul, è descritto anche nel trattato sui colori:

Il colore che chiamiamo bruno diventa più vivido sulla lana nera che sulla lana bianca, perché in questo modo la tinta appare più pura, mischiata com’è coi raggi del nero.
[Pseudo-Aristotele Sui colori] 4

Un altro fenomeno, che nel XIX secolo l’anatomista ceco Jan Evangelista Purki­nje chiamerà Nachbild (una parola tedesca dalla quale deriva afterimage per gli inglesi e “contrasto successivo” per gli italiani) viene citato da Aristotele in Dell’anima e in Dei Sogni non senza ambiguità. Il colore afterimage è lo stesso dello stimolo precedentemente fissato (i moderni chiamano questo fenomeno positive afterimage). È più evidente con il bianco e nero che con il colore.

… ogni sensorio è in grado di ricevere in sé il sensibile senza la materia ed è per questo che, anche quando i sensibili non sono più presenti, le sensazioni e le immagini rimagono nei sensori.
[Aristotele Dell’anima] 423b23

…quando abbiamo di una cosa una sensazione continua se mutiamo sensazione, l’antica impressione ci segue, come quando, ad esempio, si passa dal sole al buio: capita allora di non vedere niente, perché il movimento causato negli occhi dalla luce permane ancora. E se siamo stati a guardare molto tempo un colore, o bianco o giallo, lo stesso colore apparirà su qualunque cosa poseremo lo sguardo.
[Aristotele Dei sogni] 459b9-13

Questa è dunque la piattaforma sulla luce, sul colore (reale e apparente) e sulla loro visione che Aristotele e i suoi allievi hanno creato. Su questa piattaforma i filosofi ellenistici, arabi, cristiani e scolastici edificheranno gran parte delle diverse teorie della luce, del colore e della visione dei successivi duemila anni.

Il trattato sui colori attribuito a Aristotele

Sul colore degli oggetti esiste una breve opera antica, l’unica dedicata esclusivamente al colore, che si è conservata integralmente ed è stata letta dai pittori e saggisti medievali attirando anche l’attenzione di Goethe, che l’ha tradotta in tedesco nella sua Farbenlehre.

L’opera, il cui titolo è Sui colori (in latino De Coloribus) è stata per molto tempo attribuita ad Aristotele, ma in età moderna è stata avanzata l’ipotesi che l’autore sia uno dei successori di Aristotele alla guida del Peripato, Teofrasto o Stratone. Il testo greco è stato pubblicato per la prima volta dallo stampatore ed editore Aldo Manuzio nel 1497 a Venezia, ed è stato tradotto dal greco al latino nel Medioevo. L’opera è stata letta anche da Leonardo da Vinci che pare abbia basato la propria teoria del colore almeno in parte su di essa. 13

L’impostazione del trattato in sei capitoli non è sistematica ma prevalentemente espositiva e illustrativa di alcuni fenomeni osservati del colore degli oggetti. Goethe ha dato questi titoli ai sei capitoli: 14

  1. I colori elementari, bianco, giallo e nero
  2. I colori intermedi, ovvero i colori mescolati
  3. L’indeterminazione del colore
  4. I colori artificiali
  5. Il colore delle piante e le loro trasformazioni mediante cottura
  6. Il colore di peli, piume e pelli

Nel primo capitolo l’autore nomina i colori “semplici” bianco, giallo e nero e li associa ai quattro elementi fondamentali. Diversamente dai precedenti scritti aristotelici, il bianco è associato all’aria, all’acqua e alla terra non tinta, il giallo è associato al fuoco e al sole, il nero è associato al mutamento degli elementi.

Nel secondo capitolo sono citate le mescolanze di colori semplici, dai quali derivano tutti gli altri colori. In questo caso si tratta però di mescolanze di luci e non di mescolanze per giustapposizione, sovrapposizione e complete elencate in Del senso e dei sensibili. In questo caso i colori citati sono il rosso, il viola, il grigio, il bruno. Tratta poi del colore del piumaggio degli uccelli e del colore apparente del mare e del cielo, riprendendo implicitamente le idee di Aristotele sulla mutabilità del colore delle cose indefinite:

Si ha il viola livido e brillante quando i raggi del sole si mescolano, deboli, col bianco pallido e velato. È per questo stesso motivo che l’aria prende talora di purpureo a levante e a ponente, quando il sole sorge e tramonta: allora i suoi raggi, particolarmente deboli, colpiscono l’aria scura.
Anche il mare tende al purpureo, quando le onde si alzano e la parte dell’onda che si inarca è in ombra, perché i raggi del sole colpiscono debolmente questa parte inclinata, e fanno sì che appaia il colore viola.
[Pseudo-Aristotele Sui colori] 2

Il quarto capitolo tratta dei coloranti naturali: fiori, radici, cortecce, foglie, frutti. Il viola si ottiene coi succhi secreti dal murice e per alcuni coloranti occorre un mordente. Il quinto e sesto capitolo trattano della mutevolezza del colore con il passare del tempo e delle condizioni ambientali. La maturazione e la mancanza di acqua tendono a modificare il colore verso il bianco, l’umidità e l’acqua verso il nero.

In un altro punto ancora distingue tra mescolanza additiva e sottrattiva.

In un altro punto significativo l’autore osserva che ogni luce è qualitativamente diversa da ogni altra (sole, luna, fuoco, lanterne) ed è modificata cromaticamente dagli oggetti dai quali è riflessa.

In breve

Per Aristotele la visione di un oggetto avviene mediante un corpo trasparente (diafano) come l’aria o l’acqua che fa da mezzo tra l’oggetto e l’osservatore. Se in questo corpo c’è presenza di luce, l’oggetto trasmette all’occhio dell’osservatore la figura e il colore. Se non’è luce  (cioè al buio)  l’oggetto continua ad avere forma e colore, ma non è visibile e tanto meno lo sono la sua forma e il suo colore.

I colori si formano per mescolanza del bianco e del nero, e i primi colori sono appunto bianco, nero e grigio, giallo, verde, rosso, azzurro, viola.

Per i colori dell’arcobaleno (che non è un oggetto) Aristotele ha un’altra teoria. Il colore di un oggetto è “reale”, il colore dell’arcobaleno è “apparente”. L’arcobaleno è costituito di piccole gocce ognuna delle quali funziona come un piccolo specchio e riflette solo i colori che sono tre: rosso, verde e azzurro.


Note

1 La teoria aristotelica della sostanza è citata in un celebre passaggio dei Promessi Sposi, nel quale un personaggio secondario, Don Ferrante, viene ironicamente ritratto da Manzoni con i tipici caratteri dell’erudito seicentesco, comico nella sua serietà. Don Ferrante si esprime così sul possibile contagio della peste: “In rerum natura … non ci son che due generi di cose: sostanze e accidenti; e se io provo che il contagio non può esser né l’uno né l’altro, avrò provato che non esiste, che è una chimera.”

2 Che la materia non abbia quantità è esplicitamente stabilito da Aristotele in Metafisica 8.3, 1029a20-25.

3 Il concetto di “corporeità” in relazione a sostanza, forma e materia è efficacemente spiegato in maniera sintetica in D. C Lindberg “The Genesis of Kepler’s Theory of Light” Osiris, 2nd series, 1986 2, p. 7-8.

4 Lindberg “The Genesis of Kepler’s Theory of Light: Light Metaphysics from Plotinus to Kepler” Osiris 2, 1986 p. 9

5 Un commentatore che ha criticato la dottrina aristotelica della luce è il bizantino di lingua greca Giovanni Filopono (490-570). Vedi S. Sambursky “Philoponus’ interpretation of Aristotle’s theory of light” Osiris 13, 1958, p.114-126.

6 Per quanto riguarda la natura del colore seguo Katerina Ierodiakonou “Aristotle on Colours” in Aristotle and Contemporary Science, vol II, Demetra Sfendoni-Mentzou (ed) Peter Lang 2001.

7 A questa definizione aristotelica del colore allude James Joyce nell’episodio 3, Proteus dell’Ulysses: “Limits of the diaphane. But he adds: in bodies. Then he was aware of them bodies before of them coloured. How? By knocking his sconce against them, sure. Go easy. Bald he was and a millionaire, maestro di color che sanno. Limit of the diaphane in. Why in? Diaphane, adiaphane.

8 In “Aristotle on Colour, Light and Imperceptibles” Bulletin of the Institute of Classical Studies 47, 2004, Richard Sorabji osserva che “Aristotele è un po’ impreciso nel considerare la rigidità [dei corpi determinati] come segno di differenziazione tra corpi con colore ricevuto e corpi con colore proprio, poiché il latte ha un proprio colore bianco e i moderni diamanti e il vetro, se pur rigidi, hanno un colore ricevuto”.

9 Katerina Ierodiakonous in “Empedocles and the Ancient Painters” scrive “pare che questa fosse esattamente la pratica seguita dai pittori del V secolo a.C. Tracciavano un profilo, lo riempivano con un colore e quindi sovrapponevano mani di altri colori; diverse sfumature venivano prodotte sovrapponendo livelli di colori invece di mescolarli prima.”

10 Del senso e dei sensibili 3 442a19-25

11 Pavel Gregoric Aristotle on the Common Sense Oxford Unversity Press, 2007, Anna Marmadoro “The common sense in Aristotle theory of perception”

12 Anche se Aristotele non distingue esplicitamente tra sensazione e percezione, la prima fase è simile a quella che i moderni chiamano “sensazione” mentre la seconda fase è vagamente simile alla “percezione”.

13 Janis Bell “Aristotle as a Source for Leonardo’s Theory of Colour Perspective after 1500” Journal of the Warburg and Courtauld Institutes 56, (1993), pp. 100-118

14 La traduzione in italiano dei titoli dei capitoli è tratta da Goethe La storia dei colori a cura di Renato Troncon, Luni 1998

 

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Mauro Boscarol

11/4/2010 alle 16:08

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