colore digitale blog

Il blog di Mauro Boscarol sulla gestione digitale del colore dal 1998

Nella serie Appunti di storia del colore

Helmholtz: esperimenti di base sulla visione del colore

  1. Il sistema visivo agisce per sintesi (e non per analisi come quello uditivo)
  2. La mescolanza di pigmenti è diversa dalla mescolanza di luci
  3. I colori primari
  4. I complementari mancanti e la linea dei viola
  5. Il diagramma dei colori spettrali
  6. La sensibilità dei coni
  7. Manuale di ottica fisiologica
  8. L’approccio interdisciplinare
  9. Lo spazio dei colori non è euclideo
  10. Sintesi, divulgazione e cultura popolare
  11. Helmholtz e Goethe

Sulla biografia e bibliografia di Helmholtz si veda il post precedente di questa serie Hermann von Helmholtz (1821-1894): biografia e bibliografia.

È a Königsberg, dove è nominato professore di fisiologia a 28 anni nel 1849, che Helmholtz comincia ad interessarsi a problemi di fisiologia della visione e percezione del colore, un campo allora poco praticato e con poche certezze. Nel 1852 pubblica quasi contemporaneamente i suoi primi due articoli su questo argomento, quando è già abbastanza conosciuto per il saggio sulla conservazione delle forze (1847), la misura della velocità della conduzione neurale (1850) e l’invenzione dell’oftalmoscopio (1851).

Pubblicherà il terzo e ultimo articolo sul colore nel 1855. Tutti e tre riguardano i primari e le mescolanze e si correggono e completano a vicenda. I risultati complessivi dei tre articoli sono riportati, in parte con le stesse parole e le stesse illustrazioni, nella seconda parte della prima edizione dell’Handbuch der physiologischen Optik (seconda parte, paragrafo 20) pubblicata nel 1860.


Il sistema visivo agisce per sintesi
(e non per analisi come quello uditivo)

Nel primo articolo (“Über die Theorie der zusammengesetzen Farben”) Helmholtz espone le sue ricerche sulle mescolanze di colori e chiarisce per la prima volta e definitivamente importanti concetti della nascente scienza del colore che fino a quel momento erano rimasti confusi e non ben definiti. L’articolo inizia così:

I raggi luminosi di diverse lunghezza d’onda e colore si distinguono, per quanto riguarda la loro azione fisiologica, dalle note [sonore] di diverse frequenze di vibrazione per il fatto che ogni coppia dei primi che agiscono simultaneamente sulla stessa fibra nervosa genera una sensazione semplice nella quale anche l’organo più esercitato non può più distinguere i singoli elementi componenti, mentre due note, sebbene eccitino con la loro azione unitaria la sensazione peculiare dell’armonia o della discordanza, possono tuttavia essere sempre singolarmente distinte dall’orecchio.

L’unione delle impressioni di due diversi colori in un singolo colore è evidentemente un fenomeno fisiologico, che dipende unicamente dalla peculiare reazione dei nervi visivi. Nel puro dominio fisico, tale unione non ha obiettivamente mai luogo. Raggi di colori diversi procedono fianco a fianco senza una qualunque azione reciproca e sebbene all’occhio possano apparire uniti, possono sempre essere separati uno dall’altro con mezzi fisici.
[“Ueber die Theorie der zusammengesetzen Farben” di H. Helmholtz, 1852]

Qui Helmholtz chiarisce una importante differenza tra la fisiologia del sistema visivo, che agisce per sintesi degli stimoli, e quella del sistema uditivo, che agisce per analisi degli stimoli. Il sistema visivo “fonde” in una unica sensazione due o più stimoli che arrivano contemporaneamente (o quasi) in un singolo punto della retina. L’osservatore non è in grado di riconoscere individualmente i contributi dei singoli stimoli. Una simile fusione non avviene invece nel sistema uditivo, in cui due o più stimoli generano una sensazione complessiva di armonia (o disarmonia), ma ogni singolo stimolo genera anche una sensazione individualmente riconoscibile.

Questa sintesi degli stimoli nel sistema visivo è un fenomeno fisiologico soggettivo, che deve essere distinto dai fenomeni oggettivi che avvengono nel dominio della fisica e per questo motivo lo studio del sistema visivo deve essere basato sulla sintesi degli stimoli e non sui fenomeni oggettivi della fisica.


La mescolanza di pigmenti è diversa dalla mescolanza di luci

Sulla base di queste osservazioni Helmholtz studia le mescolanze di pigmenti (Mischung der Farbstoffe) e le composizione di luci (Zusammensetzung des gefärbten Lichtes) e sottolinea che si tratta di due fenomeni diversi. La mescolanza di pigmenti determina un unico stimolo di colore che arriva già formato all’occhio e alla retina. Così non è nella composizione di luci, perché in tal caso stimoli diversi giungono separati e invariati all’occhio ed è nel sistema visivo che avviene la loro fusione. Dunque si tratta di fenomeni che obbediscono a regole completamente diverse e addirittura appartengono a domini diversi: la mescolanza di pigmenti appartiene al dominio fisico mentre la composizione di luci appartiene al dominio fisiologico.

Con un apparato progettato per mescolare due colori spettrali senza altre interferenze, Helmholtz verifica sperimentalmente che il modello usato per le mescolanze di pigmenti non funziona per le composizioni di luci: una luce gialla e una luce blu, se combinate in giusta proporzione, producono un colore acromatico mentre pigmenti gialli e pigmenti blu quando mescolati danno un colore verde.

Si osserverà che i miei risultati sull’azione combinata dei colori prismatici differiscono notevolmente da quelli ottenuti mescolando sostanze colorate [pigmenti o polveri]. In particolare che la combinazione di giallo e blu [colori spettrali] non fornisce verde ma al massimo un debole bianco verdastro, contraddicendo nella maniera più decisa l’esperienza di tutti i pittori negli ultimi mille anni.
[“Ueber die Theorie der zusammengesetzen Farben” di H. Helmholtz, 1852]

Questo, spiega Helmholtz, è dovuto al fatto che il pigmento è costituto da una serie di strati di particelle semitrasparenti che agiscono come filtri per la luce che viene riflessa dalla strato sottostante. Nella mescolanza di due pigmenti il primo assorbe una parte delle radiazioni spettrali e il secondo assorbe una parte delle radiazioni rimanenti. Solo le radiazioni non assorbite da nessuno dei due pigmenti vengono riflesse. Dunque si tratta di un fenomeno oggettivo, diverso dalla combinazione delle luci.

Le sostanze coloranti … sono trasparenti o almeno traslucide. … Cosa avviene quando mescoliamo polveri di diversi colori, per esempio giallo e blu? Le particelle blu che stanno sulla superficie riflettono luce blu, quelle gialle luce gialla, entrambe combinano tra di loro per formare bianco o bianco verdastro. È molto diverso invece con la luce che viene riflessa dagli strati più profondi.
[“Ueber die Theorie der zusammengesetzen Farben” di H. Helmholtz, 1852]

In questo modo Helmholtz può finalmente dissociare le composizioni di luci colorate dalle mescolanze di pigmenti, sfidando la secolare credenza che queste ultime  si comportino allo stesso modo delle prime, equivoco nel quale era caduto Newton stesso in uno dei suoi esperimenti, e più recentemente Goethe e Brewster.

Tuttavia, spiega Helmholtz, anche dai pigmenti è possibile ottenere lo stesso tipo di mescolanza ottenibile dalle luci, e lo si può fare con due metodi diversi.

Il primo metodo utilizza il cerchio ruotante con settori colorati diversamente, già molto noto ai tempi di Helmholtz, e di cui già si sapeva che dava risultati diversi dalla mescolanza di pigmenti. Il risultato dell’esperimento appare ancora più evidente se si dipinge il centro del cerchio con una mescolanza  di vernice gialla e di vernice blu il cui aspetto è verde, come tutti i pittori sanno. Invece nella parte esterna del cerchio si dipingono settori separati con le stesse vernici gialla e blu. Ruotando il cerchio, il centro (che è una mescolanza di pigmenti) assume un aspetto verde scuro, mentre la parte esterna (le cui parti si mescolano come si mescolano le luci) assume un aspetto grigio chiaro.

Il secondo metodo consiste nell’osservare un colore in trasmissione attraverso un vetro e contemporaneamente un secondo colore che viene riflesso dal vetro e che si sovrappone al primo.

Stranamente Helmholtz non cita un terzo metodo, quello che consiste nell’accostare piccolissime aree colorate, una tecnica che verrà usata in Francia dai pittori puntinisti e divisionisti a partire dal 1885 circa (Seurat, Signac) e che oggi è di applicazione comune nei televisori e nei monitor dei computer. Ai tempi in cui Helmholtz scriveva il suo Handbuch la tecnica era già nota attraverso gli scritti dello scopritore della stampa a colori mediante retino, Jacques-Christophe Le Blon.

Va notato a questo punto che nei suoi articoli Helmholz usa i termini Zusammensetzung (composizione) per le luci e Mischung (mescolanza) per i pigmenti, correttamente due termini diversi per due operazioni diverse che danno luogo a fenomeni diversi. Successivamente nell’Handbuch avvisa che utilizzerà il termine Mischung anche per le luci, termine che viene usato ancora oggi (talvolta invece di “mescolanza” viene usato “sintesi” che pare abbia maggior successo nella cultura popolare, e sono stati usati nel passato “miscuglio” e “miscela”).

Gli aggettivi “additiva” e “sottrattiva” (oggi comuni per qualificare la mescolanza) non vengono usati esplicitamente da Helmholtz ma nell’Handbuch scrive

… è chiaro che [nel caso di mescolanza di pigmenti] non si verifica una addizione della luce [Summation des Lichtes] ma al contrario un tipo di sottrazione.
[Handbuch der phisiologischen Optik di H. Helmholtz]

Implicitamente suggeriti da Helmholtz, i termini “mescolanza additiva” e “mescolanza sottrattiva” verranno ampiamente usati dopo la pubblicazione del suo libro e vengono usati ancora oggi. Si tratta tuttavia di una nomenclatura sfortunata perché i due termini suggeriscono vagamente l’idea che si tratti di varianti dello stesso fenomeno. Nella cultura popolare questa idea (a cui si aggiunge l’altra idea che la mescolanza additiva abbia a che fare esclusivamente con le emissioni di luci) è profondamente radicata ancora oggi, anche se proprio Helmholtz è stato il primo a dimostrare che si tratta di fenomeni del tutto diversi, e che anche i pigmenti, non solo le luci, si possono mescolare additivamente.


I colori primari

Chiarita la differenza tra mescolanza di luci e mescolanza di pigmenti, Helmholtz si rivolge al problema dei colori primari (Grundfarben). Partendo da Plinio, e passando per Leonardo, Newton e Young, traccia una breve storia della ricerca dei colori primari (presa quasi completamente da J.D. Forbes “Hints towards a Classification of Colours”), notando che i diversi ricercatori hanno dato al termine “colori primari” tre significati diversi:

  • primari fisici sono quei colori che corrispondono a tipi oggettivi di luci (come nella teoria di Brewster):
  • primari empirici sono quei colori che corrispondono a tipi di pigmenti, dai quali si possono generare per mescolanza tutti gli altri colori, come nella tradizione artistica;
  • primari fisiologici sono quei colori che corrispondono a particolari stati di attivazione delle fibre della retina (come nella teoria di Young).

Primari fisici

Nel 1802 William Hyde Wollaston scrive che aveva osservato quattro principali divisioni dello spettro solare (rosso, verde, blu e violetto) delimitati da quattro linee nere che egli osservò per primo e che verranno chiamate linee di Fraunhofer. Thomas Young, nel discutere questa osservazione di Wollaston, aggiunge che Wollaston aveva anche visto una parte di giallo dovuta al sovrapporsi di rosso e verde. [Kremer]

Brewster dimostrò che invece il giallo non era una mescolanza di rosso e verde, Perché rimaneva nello spettri anche se si cancellava il rosso o il verde. Quindi doveva essere un colore spettrale “indipendente”.

Ma negli anni successivi, fino al 1931, Brewster sviluppò il fatto che l’assorbimento di alcuni colori alterava lo spettro (cioè altri colori scomparivano)  in una teoria antinewtoniana dello spettro solare. Egli poteva isolare tre colori, rosso, giallo e blu,  e questo lo convinse che lo spettro solare era costituito da tre spettri che si sovrapponevano in parte. La loro mescolanza generava bianco che il prisma non poteva decomporre.

La teoria del triplo spettro era inizialmente accettata ma alla fine degli anni 40 iniziò ad attirare critiche, tra le quali quelle del fisico sperimentale Macedonio Melloni (1798-1854) che aveva ripetuto alcuni esperimenti di Brewster.

Brewter aveva scritto, per esempio, che il rosso si può trovare ovunque nello spettro, ma il francese Françoise Moigno trovava illogico che un colore spettrale, quindi primitivo e non composto fosse contenuto, per esempio, nell’arancio.

Anche Helmholtz ripete gli esperimenti di Brewster e trova alcuni fatti che possono aver influito negativamente: il bianco che Brewster ha notato è prodotto dallo scattering della luce, la luce che entra nell’occhio induce il fenomeno del contrasto simultaneo e che l’alterazione delle tinte poteva essere dovuta al cambi di intensità della luce (fenomeno descritto per primo da Purkyně nel 1852 e oggi noto come effetto Bezold-Brücke). Separando i fatti dagli artefatti helmholtz poteva togliere ogni “forza argomentativa” alla tesi di Brewster.

Nel secondo lavoro del 1852 “Über Herrn D. Brewster’s neue Analyse des Sonnenlichts” Helmholtz attacca la teoria anti-newtoniana del fisico scozzese David Brewster (1781-1868) che era stato definito “il padre della moderna ottica sperimentale”. In questo articolo Helmholtz, chiude la questione sollevata da Brewster ripetendo e reinterpretando un noto esperimento.[11] A quel punto la teoria di Brewster non era più sostenuta da nessun ricercatore.

Primari fisiologici

Per quanto riguarda la teoria dei tre recettori di Young, Helmholtz ritiene inizialmente di poterla respingere, perché i suoi esperimenti indicano che non esistono tre colori spettrali che possano generare per mescolanza tutti gli altri colori spettrali senza eccezioni.

Se la sensazione di giallo provocata dai raggi gialli dello spettro fosse dovuta solo al fatto che [questi raggi] eccitano simultaneamente le sensazioni di rosso e verde dando assieme il giallo, allora la stessa sensazione [di giallo] sarebbe generata da una azione simultanea di raggi rossi e verdi. Tuttavia, questa non genera mai un giallo così vivo e brillante come quello dei raggi gialli.

Questa conclusione contiene un’assunzione implicita sulla teoria di Young, cioè che ognuno dei tre tipi di recettori nella retina sia “sintonizzato” su una particolare frequenza della luce, e che la luce di quella frequenza influisca solo su quel tipo di recettore.

Un ulteriore risultato degli esperimenti di Helmholtz riguarda il fatto che mescolando giallo e indaco si può formare un colore con le stesse caratteristiche percettive del bianco, cioè che giallo e indaco sono colori complementari. Helmholtz scrive che non era riuscito a trovare nessun’altra coppia di colori complementari, cioè la cui mescolanza desse il bianco, e ipotizzò che fossero in generale richiesti tre colori, uno da ognuna delle tre parti in cui lo spettro viene diviso da giallo e indaco.

Questi risultati erano conformi a quelli di Newton, il quale aveva scritto che non era mai riuscito a produrre un bianco perfetto mescolando colori spettrali. In definitiva Helmholtz, nei suoi primi due articoli sul colore, difende e conferma la posizione di Newton, stranamente senza mai farne esplicito riferimento. Probabilmente Helmholtz riteneva che la regola del baricentro di Newton fosse perfettamente valida nella mescolanza sottrattiva di pigmenti, ma forse non valida nella mescolanza di luci.


I complementari mancanti e la linea dei viola

Nel suo primo articolo del 1852 Helmholtz scrive di aver trovato una sola coppia di colori che, mescolati, danno un colore acromatico, e precisamente giallo e blu. Questo articolo attira l’attenzione di un altro studioso prussiano, Hermann Günther Grassmann, professore di liceo a Stettino. Grassmann dimostra che secondo la teoria di Newton e secondo gli stessi precedenti esperimenti di Helmholtz, esistono infinite coppie complementari nello spettro, non solo una.

Helmholtz adotta immediatamente la interpretazione “continua” di Grassmann, perfeziona i propri strumenti (con tecniche usate per la prima volta dal fisico Léon Foucault), ripete gli esperimenti e annuncia nel suo terzo articolo del 1855 (“Über die Zusammensetzung von Spectralfarben”) che è stato in grado di trovare sette coppie complementari e di misurarne le lunghezze d’onda (sulla base delle linee di Fraunhofer).

I colori da rosso a giallo di lunghezza d’onda da 2425 a 2082 sono complementari ai colori da verde-blu a violetto di lunghezze da 1818 a 1600.

L’unità di lunghezza che usava Helmholtz era un milionesimo di 1/12 di pollice di Parigi (Pariser Zoll) cioè un milionesimo di 2.256 mm. Nei paesi di lingua tedesca, prima dell’adozione del sistema metrico nel 1875 (Convenzione del metro) si usavano numerose unità tradizionali che variavano da regione e regione. Probabilmente per questo motivo Helmholtz usava il pollice di Parigi, una unità tradizionale francese che era stata ufficialmente sostituita nel 1799, ai tempi della rivoluzione, con il metro decimale ma che in pratica ha continuato ad essere usata fino alla Convenzione del metro.

Grazie a queste misure Helmholtz scopre che, in contrasto con quanto esplicitamente o implicitamente affermato da Grassmann (e da Newton),  i colori compresi tra giallo e verde non hanno complementari spettrali. Riesce tuttavia a neutralizzare questi colori con mescolanze di rosso e violetto in diverse proporzioni (cioè con vari colori viola). Il luogo di questi colori (non spettrali) è un segmento rettilineo (la linea dei viola, purple line) che congiunge il violetto con il rosso.

Si tratta di una fondamentale scoperta che rompe la lunga tradizione del cerchio di Newton (e di Grassmann) che comprendeva anche il colore viola. Se ogni colore spettrale deve avere un complementare, come richiesto da Grassmann, allora bisogna inserire nel cerchio un segmento rettilineo tra rosso e viola. E i colori su questo segmento non sono colori spettrali, appunto perché sono ottenuti con mescolanze di rosso e blu in varie proporzioni.


Il diagramma dei colori spettrali

Una seconda scoperta è altrettanto importante per tracciare il diagramma dei colori spettrali: Helmholtz trova che nelle varie coppie di colori complementari, sono richieste quantità diverse dei due colori per produrre luce acromatica. Per esempio nella coppia giallo e blu-indaco, la quantità di blu-indaco è minore rispetto alla quantità di giallo. Se deve valere la regola del baricentro (sostenuta da Newton) ciò significa che i colori spettrali non sono  equidistanti dal punto bianco (e di conseguenza non possono essere considerati ugualmente saturi).

In sostanza ciò significa che il diagramma dei colori spettrali non è un cerchio nemmeno nella parte curva. Helmholtz disegna un diagramma, nel quale vale la legge del baricentro, che costituisce una prima importante revisione del diagramma dei colori spettrali di Newton e Grassmann. In questo diagramma i colori dello spettro non sono disposti sulla circonferenza di un cerchio ma su una curva di forma particolare che Helmholtz stesso definisce “provvisoria” perché i suoi esperimenti non gli forniscono dati completi.

Correggere l’errore segnalato da Grassmann ha dunque dato a Helmholtz la possibilità di avviare la revisione del cerchio cromatico di Newton, pur senza introdurre alcune tecnica sistematica per la precisa determinazione della curva. Il suo diagramma è ancora qualitativo, ma Maxwell sta già facendo delle misure oggettive che pubblicherà lo stesso anno, il 1855, in cui è apparso l’articolo di Helmholtz. Avviene così che nell’arco di due anni Grassmann traccia la teoria, Helmholtz la precisa con importanti esperimenti, Maxwell la trasforma in una procedura matematica per la determinazione della forma del diagramma delle cromaticità.

Nel 1869 J. J. Müller, sotto la direzione di Helmholtz, ripeterà gli esperimenti con apparecchi perfezionati e troverà che i colori dal rosso ad un verde-giallo possono essere, in modo approssimato, disposti su un segmento retto [12]. E così anche per i colori dal violetto ad un verde-azzurro. Tra questo verde-giallo e questo verde-azzurro la curva è invece propriamente convessa. La forma definitiva del diagramma, che verrà chiamato “delle cromaticità” sarà presentata dalla CIE nel 1931.


La sensibilità dei coni

Nel periodo in cui Helmholtz si occupa della fisiologia del colore, cioè negli anni centrali dell’Ottocento, era nota da tempo l’esistenza di uno strato interno della retina formato da coni e bastoncelli ma non era stato dimostrato che questi fossero gli organi della visione (cioè gli elementi della retina sensibili alla luce) né quali fossero le loro funzioni e tantomeno che queste funzioni fossero diverse. Vedi il post  Quali sono i fotorecettori della visione?

Nel 1852 Helmholtz considera e respinge la tesi di Young (cioè che il colore dipende da un mosaico retinico di tre tipi di recettori) in quanto i suoi esperimenti mostrano che sono necessari cinque primari per produrre tutti i colori spettrali.

Nel 1853 Grassmann formula le leggi del tricromatismo e suggerisce a Helmholtz di ripetere gli esperimenti sulla mescolanza delle luci. Nel 1855, dopo averla dapprima accettata in linea teorica, quindi respinta alla luce dei suoi esperimenti,  Helmholtz aderisce finalmente alla teoria di Young accogliendo il suggerimento di Grassmann.

Dopo la pubblicazione della seconda parte dell’Handbuch nel 1860 l’anatomista di Bonn Max Schultze (1825-1874) studia la retina in modo approfondito e nel 1866 avanza l’ipotesi che coni e bastoncelli siano i fotorecettori, ma abbiano funzioni diverse e autonome: i tre tipi di coni sono responsabili della visione diurna e cromatica, mentre i bastoncelli lo sono della visione notturna e acromatica. [“Zur Anatomie und Physiologie der Retina” Archiv für mikroskopische Anatomie, Band 2, 175–286.]

Nel 1860 Maxwell determina numericamente con esperimenti psicofisici le funzioni di color-matching dell’occhio umano normale (cioè tricromatico, cioè la cui visione può essere definita da tre funzioni di color-matching).

Helmholtz vede i risultati degli esperimenti di Maxwell e nella seconda parte dell’Handbuch pubblicata nel 1860 adotta la teoria tricromatica di Young, nota da allora con il nome di teoria di Young-Helmholtz.

Questa teoria afferma che la visione del colore è mediata da tre tipi diversi di recettori presenti nella retina, ognuno dei quali è sensibile a tutto lo spettro, ma in particolar modo a una parte di esso, rispettivamente la parte rossa, verde e blu. Helmholtz pubblica nell’Handbuch questo grafico con ipotetiche sensibilità dei tre tipi di recettori:

Le lettere nel grafico indicano rispettivamente R = rosso, O = arancio, G = giallo, Gr = verde, Bl = blu, V = violetto. Da notare che il grafico procede dalle onde lunghe (a sinistra) verso le onde corte (a destra) contrariamente alla convenzione odierna.

Helmholtz riassume la teoria come segue:

  1. Esistono tre diversi tipi di fibre nervose nell’occhio; l’attivazione della prima dà luogo alla sensazione di rosso, della seconda di verde e della terza di blu.
  2. I tre tipi di fibre sotto attivati con intensità diverse da diverse lunghezze d’onda; le fibre che danno la sensazione di rosso sono attivate  principalmente dalle onde lunghe, quelle del verde dalle onde medie, quelle del blu dalle onde corte.
  3. Il giallo risulta da una media attivazione delle fibre del rosso e del verde e da una bassa attività delle fibre del blu; il bianco è prodotto dall’attivazione delle tre fibre con uguale intensità.
  4. Le attivazioni dei tre diversi tipi di fibre sono trasmesse al cervello indipendentemente.

Helmholtz assumeva che gli elementi sensibili alla luce fossero i coni, perché nella fovea ci sono solo coni, ed è nella fovea che la visione del colore è maggiormente sviluppata. Al di fuori della fovea i coni diminuiscono e la visione peggiora. Ma non aveva alcuna idea di quale fosse il meccanismo di trasformazione della luce in impulsi nervosi, che era allora completamente sconosciuto.

Nel 1856, quando viene pubblicata la prima parte dell’Handbuch, che siano coni e bastoncelli gli elementi fotorecettori e che le loro funzioni siano diverse è solo una ipotesi non ancora dimostrata, e infatti Helmholtz osserva che

Probabilmente questo strato [coni e bastoncelli] è quello che riceve l’impressione della luce.
[Handbuch p. 20]

ma nel 1868, in “Die neueren Fortschritte in der Theorie des Sehens”  in Populäre wissenschaftliche Vorträge 1 ed, vol 2, 1871, già scrive

Questo strato di bastoncelli e bulbi è stato provato con esperimenti diretti essere realmente lo strato sensibile della retina, la struttura in cui solo l’azione della luce è in grado di produrre una eccitazione nervosa

A von Kries si deve la riconciliazione delle teoria tricromatica di Young-Helmholtz con la teoria del colori opponenti di Hering in una nuova teoria della “delle zone”. Infine sempre a von Kries si deve la prima teoria sull’adattamento cromatico.

Per quanto riguarda i coni, la prima dimostrazione biologica a favore dell’ipotesi di Young-Helmholtz si avrà solo nel 1956 quando, esaminando al microscopio la capacità di singoli coni delle retina di pesce di assorbire luce, il fisiologo svedese Gunnar Svaetichin dimostra che i coni sono di tre tipi e assorbono rispettivamente tre diversi gruppi di lunghezze d’onda.

Oggi sappiamo che il primo tipo di coni reagisce con la massima intensità agli stimoli di 430 nm (nanometri) che corrisponde ad un blu, ma anche a tutti gli stimoli tra 400 e 500 nm; il secondo tipo massimamente agli stimoli di 530 nm, un verde, ma anche a tutti gli stimoli che vanno dal blu all’arancio; e il terzo agli stimoli di 560 nm (un rosso) ma anche a tutti gli stimoli che vanno dal blu al rosso.


Manuale di ottica fisiologica

Gustav Karsten (1820-1900), fisico prussiano, aveva ideato una enciclopedia della fisica, e aveva chiesto a Helmholtz di scrivere la parte sull’ottica. Così nasce l’Handbuch der physiologischen Optik, considerata tra le più importanti opere della scienza europea del secolo scorso e la cui pubblicazione richiese dieci anni, dal 1856 al 1867.

Il termine “ottica” che Helmholtz usa, non va considerato in senso moderno (altrimenti “ottica fisiologica” sarebbe un ossimoro) ma nel senso in cui lo usavano gli antichi Greci, cioè  nel senso complessivo e generale di “visione”. Così “ottica fisiologica” significa la fisiologia della visione, dunque il funzionamento dell’occhio. Anche quando deve riferirsi all’ottica moderna (cioè all’ottica fisica) Helmholtz usa i termini greci diottrica (ottica della rifrazione) e catottrica (ottica della riflessione).

La prima parte dell’Handbuch fu pubblicata nel 1856, subito dopo il trasferimento di Helmholtz da Königsberg a Bonn. Questa parte è dedicata all’apparato ottico e contiene i risultati ottenuti con gli strumenti inventati da Helmholtz, oftalmoscopio e oftalmometro: la teoria dell’accomodazione oculare e le misure delle costanti ottiche dell’occhio (raggio di curvatura della cornea e del cristallino). Il paragrafo 13 tratta la dispersione dei colori nell’occhio. La seconda parte dedicata alla percezione visiva e ai colori semplici e composti e pubblicata nel 1860 comprende (nei paragrafi 19 e 20) i tre articoli, rivisti e corretti, che Helmholtz aveva pubblicato quando lavorava a Königsberg. La terza parte tratta la percezione dello spazio ed esce nel 1866.

Nello scrivere la seconda parte dell’Handbuch Helmholtz aveva, tra l’altro, l’obiettivo di consolidare tutte le conoscenze del tempo, compresi i suoi stessi esperimenti, in una teoria sistematica della visione a colori e qui costruisce i fondamenti della scienza della colorimetria basandosi sulle scoperte di Newton, amplificate e corrette dagli studi di molti scienziati, tra i quali spiccano Young, e i suoi (di Helmholtz) contemporanei Maxwell e Grassmann.

D’altra parte Newton non aveva condotto ricerca sistematiche sulla parte soggettiva del colore e nei sui scritti, a cominciare dalla lettera sulla nuova teoria della luce e dei colori sviluppa essenzialmente una teoria fisica della luce basata sulla rifrazione, i prismi, le lenti. Il famoso cerchio dei colori è presentato nell’Ottica e non è stato sviluppato e consolidato da Newton stesso. È solo in questa seconda parte dell’Handbuch, più di un secolo dopo l’Ottica, che viene affrontato l’aspetto soggettivo del colore, cioè che il punto di vista viene spostato dalla fisica alla fisiologia e alla psicologia. Lungo l’Ottocento la scuola di Helmholtz si consolida, si rafforza e indica la via della ricerca sulla fisiologia del colore. Solo negli anni Venti del Novecento la fisiologia sensoriale “oggettiva” inizierà a sostituire la fisiologia sensoriale “soggettiva” che era stata praticata da Helmholtz.

[Pur essendo un fisiologo, Helmholtz portava avanti lo studio della fisiologia della sensazione in modo psicologico, “soggettivo”, non strutturato. Forse per questo Helmholtz ha avuto più seguito nell’ambito psicologico che nell’ambito fisiologico in cui si studia una fisiologia sensoriale “oggettiva”  e strutturata.]

Helmholtz riprende da Young l’idea di recettori diversi per i tre colori fondamentali rosso, verde e violetto e

L’opera di Helmholtz stabilì il fatto che tutti gli stimoli di colore possono essere raggruppati in classi (che oggi chiamiamo classi di metamerismo). Ogni stimolo di una classe è spettralmente diverso dagli altri stimoli ma causa la stessa percezione di colore. Ognuna di queste classi può essere specificata da tre variabili indipendenti. Questo è vero per tutti gli osservatori, ma un dato osservatore può avere classi di metamerismo diverse da un altro osservatore, e il numero di variabili necessarie per specificare una classe può essere inferiore a tre.

Da questo fatto Helmholtz trae la conclusione che anche le variabili percettive sono tre, cioè la percezione del colore può essere descritta con tre variabili. Oggi è noto che le variabili percettive sono almeno sei e sono riducibili a tre in situazioni particolari. Dunque, lo stimolo di colore è specificato con tre variabili, per la percezione di colore possono essere necessarie più variabili, che nascono dal contesto in cui lo stimolo viene visto.

Oggi si può dire, con Ralph Evans [9] che

questa grande opera è stata ostacolata, in retrospettiva, dalla sua convinzione, forse troppo forte, dell’unicità della risposta dell’occhio allo stimolo e da una teoria che, sebbene spieghi molto, non spiega tutto. […] oggi sappiamo che alcune percezioni che appaiono essere dovute allo stimolo stesso sono in effetto dovute alla relazione dello stimolo con l’ambiente percepito.


L’approccio interdisciplinare

La metodologia scientifica tradizionale dopo Galileo e la successiva rivoluzione scientifica del Seicento si propone di studiare separatamente le varie componenti dei fenomeni. Nel suo cammino postgalileiano, come scrivono Piccolino e Magrini nell’introduzione a 4

…la scienza ha tenuto a lungo al di fuori della sua portata, e dei suoi interessi, campi connotati da una forte componente di soggettività (come per esempio la fisiologia sensoriale), considerandoli in larga misura territori infidi e non definibili secondo quei criteri rigorosi che dovevano caratterizzare la conoscenza scientifica.

Questo ha preparato il terreno per la separazione tra due culture, quella scientifica e quella umanistica che ha segnato la civiltà del Novecento. In particolare nella fisica moderna l’ottica, che pure era nata nella Grecia antica come studio della visione, è stata progressivamente allontanata dall’ambito della soggettività e oggi non ha più alcun rapporto con i problemi della sensazione visiva e con la visione del colore.

Per esempio in Italia la tradizione culturale del Novecento influenzata da Croce e Gentile separa la cultura scientifica da quella umanistica e la riforma Gentile del 1923 conferma il fatto che la cultura scientifica viene subordinata a quella umanistica.

Helmholtz più di ogni altro nell’Ottocento aveva invece affrontato lo studio dei processi sensoriali con un approccio multidisciplinare di grande apertura intellettuale che va dalla fisica all’anatomia, dalla fisiologia alla psicologia e dalla filosofia all’estetica. In qualche modo Helmholtz imposta i suoi studi in modo da invertire il processo di allontanamento dalla soggettività, cercando di realizzare le aspettative antiche e di dimostrare l’efficacia della scienza moderna nella conoscenza dell’uomo.

In questo senso Helmholtz va considerato uno dei padri della scienza della visione del colore, che è per sua natura una scienza multidisciplinare, coinvolgendo ottica, fisiologia, psicologia, matematica e ingegneria.

In generale, ritroviamo oggi l’approccio di Helmholtz nelle neuroscienze, lo studio del cervello e delle funzioni nervose, uno studio che coinvolge medici, biochimici, matematici, neurologi, psicologi. Anche se le neuroscienze hanno seguito un cammino diverso da quello proposto da Helmholtz, un cammino caratterizzato dall’aspetto strutturale, cioè dall’esame delle cellule e delle fibre nervose, mentre Helmholtz, pur essendo un fisiologo, aveva seguito metodi della psicologia sensoriale, per cui nel Novecento l’opera di Helmholtz è stata più seguita dagli psicologi che dai fisiologi.


Lo spazio dei colori non è euclideo

Bernhard Riemann (1826-1866) aveva conosciuto Carl Friedrich Gauss a Göttingen, nell’università in cui studiava. Per il conseguimento del titolo di Privatdozent Gauss assegnò a Riemann il tema dei fondamenti della geometria. Il 10 giugno 1854 su quel tema Riemann tenne la Habilitationsvortrag, la lezione per il conseguimento del titolo dinanzi la facoltà di Gottingen, presente Gauss. [“Über die Hypothesen, welche der Geometrie zu Grunde liegen”].

La geometria dello spazio presentata da Riemann era un’estensione della geometria non euclidea di Gauss ma affrontava anche il problema di determinare quali sono i fatti concernenti lo spazio fisico intorno ai quali possiamo essere certi. Uno degli obiettivi di Riemann era quello di dimostrare che i postulati di Euclide erano verità empiriche e non verità di per sé evidenti.

La sua  tesi di abilitazione, e la sua geometria che introduceva l’idea di curvatura (e di spazio “curvo”), sono diventati un classico della matematica. Una delle principali differenze tra uno spazio euclideo e uno spazio curvo è che in quest’ultimo le coordinate cartesiane hanno significato solo nei dintorni locali di un punto. Einstein nel  1916 scelse uno spazio di Riemann per trattare la sua teoria della relatività.

Riemann stesso nelle prime righe della sua lezione cita il colore come uno dei rari concetti che è possibile formalizzare con una varietà continua (mentre i concetti che si possono formalizzare con una varietà discreta sono numerosi). Queste le sue parole originali, in tedesco (un’unica lunghissima frase, come nella lingua tedesca è facile incontrare):

Begriffe, deren Bestimmungsweisen eine discrete Mannigfaltigkeit bilden, sind so häufig, dass sich für beliebig gegebene Dinge wenigstens in den gebildeteren Sprachen immer ein Begriff auffinden lässt, unter welchem sie enthalten sind (und die Mathematiker konnten daher in der Lehre von den discreten Grössen unbedenklich von der Forderung ausgehen, gegebene Dinge als gleichartig zu betrachten), dagegen sind die Veranlassungen zur Bildung von Begriffen, deren Bestimmungsweisen eine stetige Mannigfaltigkeit bilden, im gemeinen Leben so selten, dass die Orte der Sinnengegenstände und die Farben wohl die einzigen einfachen Begriffesind, deren Bestimmungsweisen eine mehrfach ausgedehnte Mannigfaltigkeit bilden.

Helmholtz è stato il primo a studiare lo spazio dei colori come uno spazio di Riemann, cioè come uno spazio curvo e non euclideo. Il suo line element è il primo tentativo di definire un tensore metrico di Riemann per lo spazio che caratterizza la visione umana del colore. [1891 “Versuch einer erweiterten Anwendung der Fechnerschen Gesetzes mit Farbensystem”]


Sintesi, divulgazione e cultura popolare

In tutti i campi in cui ha lavorato Helmholtz è stato anche un grande divulgatore. Nel campo del colore, in particolare, Helmholtz è considerato [11] un grande e creativo sintetizzatore, in grado di chiarire le idee di altri, di correggerne gli esperimenti, di raccoglierne le ricerche e di formare un programma unificato e autorevole.

Le mescolanze di colori

Nell’articolo del 1852 sulle mescolanze di colori, Helmholz usa i termini Zusammensetzung (composizione) per le luci e Mischung (mescolanza) per i pigmenti, cioè, correttamente, due termini diversi per due operazioni diverse che danno luogo a fenomeni diversi. Successivamente nell’Handbuch avvisa che utilizzerà il termine Mischung anche per le luci, termine che viene usato ancora oggi (talvolta invece di “mescolanza” viene usato “sintesi” che pare abbia maggior successo nella cultura popolare, e sono stati usati nel passato “miscuglio” e “miscela”).

Gli aggettivi “additiva” e “sottrattiva” (oggi comuni per qualificare la mescolanza) non vengono usati esplicitamente da Helmholtz ma nell’Handbuch scrive

… è chiaro che [nel caso di mescolanza di pigmenti] non si verifica una addizione della luce [Summation des Lichtes] ma al contrario un tipo di sottrazione.
[Handbuch der phisiologischen Optik di H. Helmholtz]

Implicitamente suggeriti da Helmholtz, i termini “mescolanza additiva” e “mescolanza sottrattiva” verranno ampiamente usati dopo la pubblicazione del suo libro e vengono usati ancora oggi.

Si tratta tuttavia di una nomenclatura sfortunata perché i due termini suggeriscono vagamente l’idea che si tratti di varianti dello stesso fenomeno. Nella cultura popolare questa idea, a cui si aggiunge l’altra idea che la mescolanza additiva abbia a che fare esclusivamente con le emissioni di luci, è profondamente radicata ancora oggi, anche se proprio Helmholtz è stato il primo a dimostrare che si tratta di fenomeni del tutto diversi, e che anche i pigmenti, non solo le luci, si possono mescolare additivamente.


Helmholtz e Goethe

Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832), il grande scrittore e poeta tedesco, era morto quando Helmholtz aveva 11 anni. A partire dal 1791 Goethe si era dedicato allo studio della percezione del colore ed aveva condotto una crociata contro i metodi matematici e gli strumenti di laboratorio. In particolare si era scagliato contro Newton, che accusava di torturare la natura, anziché rispettarla come un’opera d’arte.

Venti anni dopo la sua morte, la teoria dei colori di Goethe era ancora accettata da alcuni filosofi idealisti sulla scia di Hegel, ma non era più seguita da alcun scienziato. In particolare l’atteggiamento critico di Helmholtz nei confronti di Goethe era noto a tutti. Ciononostante nel 1853 Helmholtz fu invitato a Königsberg a commentare l’opera scientifica di Goethe nell’anniversario dell’incoronazione del re Federico Guglielmo IV.

Helmholtz inizia l’esposizione con l’elogio di Goethe per due importanti contributi scientifici: la “scoperta” dell’osso intermascellare nell’uomo e le analogie tra distinte parti dello stesso organismo (che per Goethe confermavano l’armonia della natura). Ma dopo questa parte introduttiva Helmholtz assume un tono critico, ricordando i primi tentativi di Goethe con il prisma e il suo rifiuto della teoria di Newton nello spiegare l’apparizione di colori tra superfici nere e bianche. Helmholtz si dichiara rattristato dal fatto che Goethe avesse potuto liquidare le conclusioni di Newton come un semplice cumulo di assurdità.

Per Helmholtz le sensazioni sono semplici segni degli oggetti esterni e la natura non si rivela all’intuizione immediata, perché è un universo di atomi mossi da forze le cui interazioni difficilmente possono essere descritte sinteticamente. Il vero scienziato cerca le leve e le corde che sono in azione dietro le quinte e che cambiano le scene. La vista di questo macchinario turba la bellezza della scenografia, ma lo scienziato procede per la sua strada. Il poeta invece se ne sta seduto in sala, non vede il macchinario e ne nega l’esistenza perché le scene, pensa, possono muoversi da sole. Lo stesso esempio era stato fatto da Bernard Le Bovier de Fontenelle (1657–1757) in Entretiens sur la pluralité des mondes (1686):

Sur cela je me figure toujours que la Nature est un gran Spectacle qui
ressemble à celui de l’Opera. Du lieu où vous êtes à l’Opera vous ne voyez pas le
Théatre tout-à-fait comme il est; on a disposé les Décorations et les Machine pour
fair de loin un effet agréable, et on cache à votre vuë ces rouës et ces contre poids
qui font tous les mouvemens.

Riferimenti:

  1. Testo Conferenza Gruppo Colore Roma 2011
  2. Slide Conferenza Gruppo Colore Roma 2011

 

Visitato 1,738 volte, negli ultimi 7 giorni 1 visite

Torna all'indice di Appunti di storia del colore

Mauro Boscarol

1/1/2011 alle 21:58

Parole chiave , , , , , , ,

Visitato 1,738 volte, negli ultimi 7 giorni 1 visite

Vuoi fare un commento a questo post?

Devi essere collegato per scrivere un commento.