colore digitale blog

Il blog di Mauro Boscarol sulla gestione digitale del colore dal 1998

Nella serie Storia della scienza del colore

2.1.6 Ellenismo: Euclide, Lucrezio, Tolomeo, Galeno

Euclide di Alessandria
La cultura greca conquista il mondo romano
L’atomismo ripreso da Lucrezio
Visione, luce e colore secondo Lucrezio
Claudio Tolomeo
Tolomeo sul colore
Claudio Galeno
Galeno e lo stoicismo

Dopo la morte di Alessandro Magno nel 323 a.C. il potere passa definitivamente dalle poleis della Grecia ai regni che si formano in Egitto, in Siria, in Macedonia e a Pergamo. La città di Alessandria, fondata nel 332 a.C. alla foce del Nilo, viene assegnata, con tutto l’Egitto, al generale macedone Tolomeo (367-283 a.C.) fondatore della dinastia tolemaica, che regnerà per tutto il periodo ellenistico, fino a quando l’Egitto diventerà una provincia romana.

Mentre Atene rimane la capitale della cultura filosofica, Alessandria diventa presto la capitale della cultura scientifica. Tolomeo fa erigere un edificio dedicato alle Muse, le divinità protettrici delle arti e delle scienze: è il Museion, luogo d’incontro e di insegnamento, massima istituzione culturale del mondo ellenistico. Tolomeo II (308-246 a.C.) annette al Museion la Biblioteca, che per secoli verrà arricchita di rotoli di papiro il cui numero pare sia arrivato a 490.000 circa. A quei tempi era la più grande e ricca biblioteca del mondo.

Euclide di Alessandria

Euclide in un libro inglese del Seicento

Euclide in un libro inglese del Seicento

In epoca ellenistica la teoria pitagorica della visione viene raccolta ed esposta formalmente da Euclide, considerato il più grande matematico della storia antica. Anche di Euclide, come di Pitagora, si conosce poco. Si sa che visse ad Alessandria a cavallo del 300 a.C. e forse era stato un giovane allievo di Platone all’Accademia di Atene e probabilmente operava nella celebre Biblioteca.

Euclide ha lasciato numerose opere scritte in greco tra le quali, gli Elementi, la più fortunata, contenente i fondamenti della geometria, e poi l’Ottica, il più antico trattato greco sull’argomento a noi pervenuto e la Catottrica sulle proprietà degli specchi piani e curvi. L’Ottica sviluppa una teoria della visione assiomatica di tipo geometrico e inizia con il postulare che l’occhio emetta “raggi visuali” che si propagano in linea retta formando un cono che ha il vertice nell’occhio e la base sui contorni dell’oggetto osservato. Euclide non si pone il problema della natura fisica della luce, né dell’anatomia e fisiologia dell’occhio che, coerentemente, riduce ad un punto. Preferisce offrire una spiegazione geometrica della visione che va ricordata perché costituisce un contesto che molti studiosi hanno successivamente utilizzato. Euclide usa nell’Ottica esattamente lo stesso metodo assiomatico che aveva usato negli Elementi sviluppando una teoria della visione strutturata in sette assiomi e nei teoremi che ne conseguono. 1 Questi sono gli assiomi della teoria della visione di Euclide:

  1. I raggi visuali escono dall’occhio in linea retta e divergono indefinitamente.
  2. La figura compresa in un insieme di raggi visuali è un cono il cui vertice sta nell’occhio e la base nell’oggetto osservato.
  3. Le cose che vengono viste sono quelle sulle quali cadono i raggi visuali; quelle che non vengono viste sono quelle sulle quali i raggi visuali non cadono.
  4. Le cose viste sotto un angolo più grande appaiono più grandi, quelle viste sotto un angolo più piccolo appaiono più piccole, quelle viste sotto angoli uguali appaiono uguali.
  5. Le cose viste con raggi visuali più bassi appaiono più basse, quelle che vengono viste con raggi visuali più alti appaiono più alte.
  6. Le cose viste con raggi visuali sulla destra appaiono sulla destra, quelle che vengono viste con raggi visuali sulla sinistra appaiono a sinistra.
  7. Le cose che vengono viste sotto un maggior numero di angoli vengono viste più chiaramente.

I primi tre assiomi definiscono il processo visivo in modo geometrico, e dunque consentono di trasformare problemi ottici in problemi geometrici. Nel primo assioma c’è il concetto di “raggio visuale” e dalla parola “escono” sembrerebbe poter evincere che Euclide accoglie la teoria emissionista della visione. Tuttavia il raggio visuale è privo di struttura fisica e non ha una relazione esplicita con la luce (anche se in alcuni proposizioni del suo trattato Euclide la nomina) e come tale è una innovazione metodologica di grande rilievo. D’altra parte poiché la modellazione geometrica dei raggi visuali prescinde dal verso, la spiegazione di Euclide delle leggi dell’ottica geometrica è corretta anche per i moderni per i quali il verso dei raggi è rovesciato (cioè è quello della luce e non quello dello sguardo).

Per Euclide due raggi vicini hanno comunque una distanza angolare non nulla se pur piccola e dunque il cono di raggi visuali che esce dall’occhio non è pieno, continuo. Questo spiega perché la vista diventi sempre più debole all’aumentare della distanza (assioma 4) e gli oggetti molto distanti sono invisibili perché cadono nello spazio tra i raggi. La distanza angolare tra i raggi è implicita anche nell’assioma 7: un oggetto visto sotto molti angoli, cioè incontrato da più raggi visuali, viene visto con maggiore chiarezza.

La cultura greca conquista il mondo romano

L’influenza culturale della Grecia inizia a penetrare il mondo romano già dal III secolo a.C. Le prime testimonianze si trovano nelle fabulae del commediografo latino Plauto (ca 250-184 a.C.) con le quali si offrono agli spettatori frammenti di una Grecia ideale. Anche nelle opere del poeta latino Ennio (239-ca 169 a.C.) e poi di Lucrezio si colgono riferimenti ad una Grecia ammantata di una clara fama del passato. I Romani erano favorevolmente impressionati dall’elevato tenore di vita materiale raggiunto dai Greci e cercarono di imitarne lo stile. I marmi iniziarono a rivestire le abitazioni aristocratiche romane e le statue a decorare i templi. Più tardi i giovani delle famiglie più ricche furono mandati a studiare in Grecia o ebbero insegnanti Greci in Italia. Il poeta Orazio (65-8 a.C.) descrive questa condizione con la celebre frase: Graecia capta ferum victorem cepit (“la Grecia vinta, vinse il rude vincitore”). Sconfitta con le armi, Atene vinse con la cultura. La conoscenza del greco era abbastanza radicata nella Roma del II secolo a.C. Più avanti la conoscenza della lingua greca sarebbe stata considerata basilare nella formazione letteraria della nobiltà. Al contrario, i Greci non impararono mai la lingua latina e quasi nessuno di loro era in grado di esprimersi scorrevolmente in latino.

Il regno di Macedonia diventa una provincia romana nel 146 a.C. Nello stesso anno Roma distrugge Corinto e scioglie la Lega Achea e la costa settentrionale del Peloponneso entra a far parte della provincia macedone mentre la Grecia diventa un protettorato romano Nel 133 a.C. muore il re di Pergamo che nel suo testamento designa Roma erede del suo regno, e poco dopo viene creata la provincia d’Asia. Nel 132 a.C. Roma domina l’intero bacino del Mediterraneo.

Nel I secolo a.C. Italia, Grecia ed Egitto diventano teatro delle guerre civili tra Giulio Cesare e Pompeo (49-44 a.C.) e tra Ottaviano e Antonio (44-31 a.C.). Alessandria e l’intero Egitto diventano una provincia romana nel 30 a.C. quando Ottaviano, dopo aver sconfitto Antonio e Cleopatra nella battaglia di Azio, fece uccidere Tolomeo XV (47-30 a.C.) figlio naturale di Cleopatra e Giulio Cesare e ultimo re della dinastia dei Tolomei, a sua volta ultima dinastia di faraoni d’Egitto. La battaglia di Azio sancisce anche il definitivo tramonto della Repubblica e l’inizio dell’Impero romano che verrà proclamato nel 27 a.C.

L’atomismo ripreso da Lucrezio

Il secolo prima di Cristo è un periodo di transizione, un periodo in cui la Repubblica inizia a lasciare il posto all’Impero, un periodo in cui gli dei iniziano a scomparire e il cristianesimo non è ancora arrivato. In questo secolo il poeta latino Tito Lucrezio Caro (98-55 a.C.) riprende la teoria epicurea della natura nel poema De rerum natura (La natura delle cose) l’unica opera che gli viene attribuita.

I particolari della vita di Lucrezio sono quasi completamente ignoti. Pare sia nato in Campania, forse a Pompei o a Ercolano, e sia vissuto a Roma dove sarebbe morto. Le prime notizie le abbiamo da Cicerone (che per altro era critico verso l’atomismo) 2 in una lettera al fratello Quinto: “Il poema di Lucrezio è proprio come tu dici, luminoso per ingegno ed arte”. Qualche notizia parzialmente inesatta viene da Girolamo (ca 347-420) traduttore della Bibbia, vissuto quattro secoli dopo Lucrezio, nel periodo in cui iniziava ad affermarsi il cristianesimo che era avverso alla dottrina epicurea. Girolamo conferma l’interesse di Cicerone per il poema di Lucrezio e annota:

[Nel 94] nasce il poeta Tito Lucrezio che, divenuto pazzo per un filtro d’amore, dopo aver scritto nei momenti di lucidità diversi libri in seguito pubblicati da Cicerone, si suicidò all’età di quarantaquattro anni.
[Girolamo Chronicon]

Il filtro d’amore è probabilmente apocrifo e la storia della pazzia e del suicidio di un ateo ed epicureo citata da un cristiano, anche se possibile, pare troppo esemplare per essere vera.

De Rerum Natura è un poema didascalico in sei libri scritto in un latino arcaico e solenne che offre una rappresentazione completa ed elegante del sistema epicureo riguardo al ruolo dell’uomo e soprattutto della natura. Lucrezio spiega che i fenomeni della terra e del cielo non sono dovuti ad un cenno degli dei, i quali esistono ma sono indifferenti alle cose terrene. Invece, la natura è governata da proprie leggi che vanno comprese, per non cadere negli inganni delle credenze popolari, della superstizione e della religione. E queste leggi sono quelle dell’atomismo secondo la dottrina di Epicuro:

In questo argomento temo che per caso
tu creda d’iniziarti ai principi di un’empia dottrina [l’epicureismo],
ed entrare in una via scellerata. Poiché invece, più spesso,
fu proprio la religione a produrre scellerati delitti.
[Lucrezio De Rerum Natura] I, 80-83

Lucrezio sa che non scrive per il volgo

poiché questa dottrina per lo più pare
troppo ostica a coloro che non l’hanno coltivata,
e il volgo rifugge lontano da essa, ho voluto esporti
la nostra dottrina col canto delle Pieridi che suona soave
[Lucrezio De Rerum Natura] I, 943-946 (anche IV, 18-21)

Si rivolge invece invece alla classe dirigente romana in un periodo in cui questa si sta a sua volta rivolgendo ai principi stoici che perseguono il culto delle virtù. Probabilmente per questo motivo, e per la successiva avversione dei cristiani che ne criticavano il “materialismo”, la teoria atomista verrà considerata atea e bandita già nei primi secoli dopo Cristo mentre l’opera di Lucrezio, pur apprezzata da Cicerone, verrà dimenticata per tutto il Medioevo. La conoscenza del testo di Lucrezio rimase molto circoscritta (Dante nella Divina Commedia cita Epicuro ma non Lucrezio) fino a quando nel 1417 Poggio Bracciolini, umanista e storico aretino, scopre un codice manoscritto forse nell’Abbazia di Murbach o forse nel monastero di Fulda, durante il suo soggiorno in Germania al seguito dell’antipapa Giovanni XXIII, per il concilio di Costanza e lo fa copiare.

La prima edizione a stampa del De Rerum Natura è del 1473 e altre ne seguiranno a cavallo tra il 1400 e il 1500. L’Inquisizione (cioè la Congregazione della sacra romana e universale inquisizione detta anche Sant’Uffizio) censurerà subito il poema di Lucrezio per la dichiarata irreligiosità e empietà della filosofia atomista di Epicuro, negatore di Dio e della Provvidenza. Nel 1559 l’Inquisizione pubblicherà il primo Index librorum prohibitorum, l’indice dei libri proibiti dalla chiesa. De Rerum Natura non c’è ma l’insegnamento della filosofia epicurea verrà espressamente proibito nello Studio di Pisa con un provvedimento granducale del 1691. Appena il libro viene tradotto in italiano da Alessandro Marchetti e pubblicato a Londra nel 1717 verrà messo all’indice.

Albert Einstein, nella breve introduzione del 1924 alla traduzione tedesca del De Rerum Natura di Hermann Diels,3 non descrive Lucrezio come anticipatore di conoscenze scientifiche moderne, ma ne riconosce alcune assonanze di pensiero, precisamente il desiderio di liberare l’umanità dalle paure che scaturiscono da religione e superstizione e la causalità dei fenomeni naturali (cioè il fatto che “Dio non gioca a dadi con l’universo”).

Visione, luce e colore secondo Lucrezio

Il meccanismo della visione descritto da Lucrezio nel IV libro del suo poema, dedicato alle sensazioni, è quello immissionista di Epicuro. La luce, che Lucrezio chiama a volte lux ma più spesso lumen, è un aggregato di atomi che si lanciano nello spazio e lo riempiono tutto a grandissima velocità (comunque inferiore a quella dei singoli atomi nel vuoto).

Di tale natura sono la lux del sole e il suo calore,
in quanto formati da minuscoli elementi primari [gli atomi],
che quasi percossi da urti non esitano ad attraversare i frapposti
spazi dell’aria, stimolati dai colpi che li incalzano.
Infatti subentra senza tregua lumine lumen [cioè lumen al lumen],
e quasi senza interruzione ogni raggio è stimolato da altri raggi.
[Tito Lucrezio Caro De Rerum Natura] IV, 185-190

Lux e lumen sono comuni nel latino classico e quasi sinonimi. 4 Qualche differenza sembrerebbe esserci se per Cicerone Corinto è lumen di tutta la Grecia, ma Roma è lux del mondo. 5 Lumen è più comunemente usato al plurale (lumina) ed indica i raggi del sole (in Lucrezio composti di atomi) ed anche, in modo esclusivo, una sorgente di luce (lampada, torcia). Lux è usato quasi esclusivamente al singolare e quando non è sinonimo di lumen può indicare la luce che riempie lo spazio (il chiarore percettivo causato dal lumen). Nel latino classico entrambe le parole vengono usate anche in senso simbolico e metaforico: luce come vita, luce come gloria, luce salvifica.

Si dovranno attendere le traduzioni latine degli scrittori arabi (in primis Avicenna) affinché lumen e lux acquistino i rispettivi significati di agente fisico ed effetto percettivo, che verranno mantenuti fino a Galileo, anche quando verranno tradotti in volgare italiano rispettivamente lume e luce. Gi scrittori cristiani del XII secolo, a partire da Robert Grosseteste, daranno alla lux (e poi alla luce) anche uno spessore metafisico.

Lucrezio traduce con il latino simulacra gli eidola epicurei e li paragona alla pelle che i serpenti e gli insetti lasciano durante la muta

… fra le cose visibili molte di esse
emettono corpi, parte liberamente inclini a dissolversi,
come la legna emana fumo e il fuoco calore,
e parte più densamente intessuti, come a volte
le cicale quando d’estate abbandonano le lisce tuniche secche,
e i vitelli quando alla nascita depongono le membrane
dalla superficie del corpo, e ugualmente quando la sgusciante
serpe lascia la sua veste fra gli spini
[Tito Lucrezio Caro De Rerum Natura] IV, 49-62

Il lumen è necessario per l’emissione dei simulacra in quanto questi al buio non emettono nulla che li faccia vedere. I simulacri arrivano alla pupilla premendo l’aria tra l’oggetto e l’occhio:

Infatti appena [l’immagine] è scoccata, subito incalza e sospinge
l’aria disposta tra essa e i nostri occhi;
questa in tal modo scivola tutta nello sguardo
e quasi deterge le pupille, e così trascorre.
[Tito Lucrezio Caro De Rerum Natura] IV, 246-249

Per Lucrezio vale il principio epicureo che i sensi sono infallibili per il sensibile proprio (perché non cadono nella categoria del vero e del falso) ma la visione avviene non solo per mezzo del lumen o della lux ma anche con l’intervento della mente, intervento che Lucrezio giudica talvolta eccessivo. Infatti “nulla è più arduo che discernere le cose evidenti dalle dubbie che subito la mente da sé aggiunge”. 6

Anche per quanto riguarda il colore, Lucrezio segue Epicuro: gli atomi ne sono privi e dunque il colore dei corpi, che sono agglomerati di atomi, non deriva dal colore degli atomi:

Nessun colore affatto posseggono i corpi elementari
della materia, né simile alle cose, né da esse diverso.
[Tito Lucrezio Caro De Rerum Natura] II, 730-738

Poi, siccome i colori non possono sussistere in assenza di luce [sine luce],
e i corpuscoli elementari non sono mai in lucem,
si può comprendere come non li rivesta alcun colore.
Quale colore, infatti, può esistere nelle cieche tenebre?
[Tito Lucrezio Caro De Rerum Natura] II, 795-798

Il colore dei corpi invece dipende anzitutto dalla luce e poi dall’ordine, dalla posizione e dal movimento degli atomi tant’è vero che cambia con il tipo e la direzione della luce e dunque è un effetto secondario dell’urto degli atomi sull’occhio.

Claudio Tolomeo

Nei primi due secoli dell’impero a Roma le varie scuole filosofiche greche sono molto diffuse anche se in una forma, l’eclettismo, che cerca di conciliare il pragmatismo romano con l’astrattezza greca. Un eclettico è un filosofo che non condivide l’intera dottrina di una particolare scuola filosofica, ma sceglie da diverse teorie diversi elementi che gli sembrano adatti ad essere combinati in modo da produrre un sistema coerente. Questo indirizzo eclettico si diffuse nella scuola stoica, platonica e aristotelica, ma non venne accolto nella scuola epicurea.

Claudio Tolomeo (ca 100-168/178) astronomo e geografo, è uno studioso eclettico di scuola aristotelica. Come di Euclide, anche di Claudio Tolomeo si sa pochissimo. Si pensa che sia nato a Tolemaide, una cittadina sul Nilo vicino a Tebe, e che sia vissuto e abbia lavorato ad Alessandria. Portava lo stesso nome di tutti i re egiziani dell’ultima dinastia ma gli studiosi considerano improbabile che ciò indichi una parentela. Era un cittadino romano di etnia greco-egiziana e il suo prenome Claudio potrebbe derivare da colui che garantiva per la sua cittadinanza.

Di Tolomeo sono pervenute numerose opere scritte in greco tra le quali il Trattato matematico, noto con il nome arabo Almagest (“il grandissimo”), che è il compendio del sapere astronomico del mondo antico, e il cui assunto fondamentale è che la terra sia immobile al centro della sfera delle stelle fisse. Si tratta del modello geocentrico che da lui prende il nome.

Per la nostra storia è più interessante una successiva opera di Tolomeo, l’Ottica, un trattato originariamente in cinque libri, scritto probabilmente tra il 150 e il 170. Il testo greco e la successiva traduzione in arabo sono andati perduti, ci è pervenuta soltanto una traduzione latina della versione araba, incompleta e poco accurata, fatta nel XII secolo da un amiratus Eugenius siculus (forse un alto funzionario del regno delle Due Sicilie di lingua greca) e venuta alla luce nel XVII secolo. 7 Dei cinque libri dell’opera

  • il primo libro non è stato trovato (forse trattava la geometria di base della radiazione visuale);
  • il secondo libro tratta di ottica geometrica per la visione e di colore;
  • il terzo libro tratta della riflessione e degli specchi;
  • il quarto libro tratta degli specchi concavi;
  • il quinto libro tratta della rifrazione, e si interrompe.

I concetti dell’ottica geometrica di Euclide erano rimasti stabili per più di quattro secoli, fino a che vengono ripresi e ulteriormente sviluppati da Tolomeo. L’opera di Tolomeo è basata su principi più generali di quelli di Euclide, del quale rifiuta alcuni concetti, mentre ne accetta altri. In particolare condivide il concetto dei raggi visuali che escono dall’occhio, a proposito dei quali afferma che (a) i raggi perpendicolari alla superficie dell’occhio sono più forti di quelli obliqui, e (b) i raggi non sono discreti, ma riempiono il cono visivo con continuità: 8

Al contrario occorre conoscere che, per quando riguarda la sensazione visiva, la natura del raggio visuale è necessariamente continua e non discreta.
[Tolomeo Ottica] II, 50

Nell’Ottica Tolomeo ottiene risultati sul meccanismo della visione sia con metodi teorici che con metodi sperimentali, innovativi per l’epoca. Tolomeo è infatti uno dei primi scienziati antichi a praticare la filosofia sperimentale e ad usare i risultati dell’esperienza come base per le deduzioni geometriche. In una serie di tabelle ottenute sperimentalmente con uno strumento graduato, Tolomeo riporta gli angoli di rifrazione della luce corrispondenti a vari angoli di incidenza per le coppie acqua-aria, aria-vetro e acqua-vetro. Propone anche una legge approssimata che regola la rifrazione, la forma esatta della quale, oggi nota come legge di Snell, verrà trovata 1500 anni dopo dal matematico olandese Willebrord Snellius (1580-1626) e indipendentemente dal filosofo francese Cartesio (1596-1650).

Le idee di Tolomeo saranno approfondite dallo scienziato arabo al-Kindi nel IX secolo nella sua esposizione della teoria euclidea della visione. 9 Nel Medioevo e nel Rinascimento l’ottica tolemaica, con importanti modifiche apportate dagli arabi, avrà grande influenza sul pensiero scientifico.

Tolomeo sul colore

Mentre dall’opera di Euclide il colore rimane completamente escluso, il trattato di Tolomeo include numerose osservazioni sul colore. Tolomeo conosceva probabilmente la teoria del colore di Platone esposta nel Timeo e non la condivide. Conosceva probabilmente anche Dell’anima e Sul senso e sui sensibili di Aristotele, con il quale condivide molte idee. 10 In accordo con Aristotele, Tolomeo considera il colore il visibile proprio della vista. Il colore è una proprietà reale degli oggetti fisici e senza luce è solo potenziale. I due colori primi sono il bianco e il nero, tutti gli altri (cita rosso, rosa e il colore del sangue) sono varie mescolanze d bianco e di nero.

Tolomeo descrive anche il fenomeno che oggi chiamiamo contrasto successivo (afterimage) già descritto da Aristotele, senza distinguere tra le due specie di contrasto successivo: quella in cui appare lo stimolo originale e quella in cui appare lo stimolo complementare (Ottica, II, 107).

Tolomeo conduce esperimenti sulle mescolanze di colori che avvengono nell’occhio quando il colore di un oggetto appare uniforme anche se in realtà è composto da parti che hanno colori diversi. La vista non riesce a distinguere il colore delle diverse parti o a causa della distanza o a causa della rapidità di movimento. Il primo caso, già citato da Aristotele, riguarda piccole aree colorate e giustapposte:

Se la distanza dell’oggetto è tale che l’angolo che sottende l’insieme ha un certo valore mentre gli angoli particolari che sottendono i diversi colori sono impercettibili le parti non si distingueranno più e allorché la sensazione di tutte queste sarà riunita, il colore dell’oggetto intero apparirà uniforme, diverso da quello degli elementi particolari.
[Tolomeo Ottica] II, 95

Il secondo caso invece pare sia originale di Tolomeo, ed è quello del disco colorato a settori che viene fatto girare:

La stessa cosa si produce nel caso di un movimento rapido: per esempio quello di un disco con più colori. Un singolo raggio non rimane su un singolo colore: il colore gli scappa a causa della rapidità del movimento circolare. Così lo stesso raggio incidendo su tutti i colori, non può distinguere tra il primo e l’ultimo né tra quelli che sono distribuiti in punti diversi. Infatti tutti i colori appaiono contemporaneamente su tutta [la superficie] del disco come se fosse di colore uniforme, quello che risulterebbe realmente mescolando i colori.
Per la stessa ragione i punti marcati sul disco … se sono di un colore diverso da quello del disco, appaiono, con un rapido movimento circolare, come delle circonferenze dello stesso colore [del punto].
[Tolomeo Ottica] II, 96

Mille e settecento anni dopo Helmholtz chiamerà “additive” entrambe le mescolanze di colori descritte da Tolomeo e Maxwell userà il disco ruotante di Tolomeo per mescolare i colori additivamente e dare inizio alla colorimetria.

Claudio Galeno

A Pergamo, antica città greca (oggi Bergama) nell’odierna Anatolia, provincia romana dal 132 a.C., era sorta un biblioteca rivale della biblioteca di Alessandria. Si racconta che gli studiosi di Pergamo, costretti dalla penuria di papiri (l’Egitto non permetteva più di esportarne) scoprirono un nuovo tipo di supporto, la pergamena, che diventò in breve tempo il più importante materiale per la scrittura dei libri e rimase tale fino alla scoperta della carta. In questa città nasce Claudio Galeno (129-216). 11

Come Tolomeo, anche Galeno, che è della generazione successiva, è uno studioso eclettico, cittadino romano di etnia greca. Dall’età di 33 anni vive a Roma, alla corte imperiale di Marco Aurelio (regnò dal 161 al 180). Galeno acquista grande reputazione come medico e scrive più di 130 libri in greco, molti andati perduti, dimostrando competenza soprattutto nell’anatomia. Fonda una scuola, le cui lezioni sono affollatissime e rese interessanti dalle dimostrazioni di dissezioni di animali.

Galeno è influenzato dal pensiero medico del pitagorico Alcmeone (vedi “La visione secondo la scuola pitagorica” a pag. 30) e da quello di Ippocrate oltre che dal pensiero filosofico naturale della scuola stoica, sorta ad Atene attorno al 300 a.C. Continuando l’opera di Alcmeone, Galeno fornisce molti dettagli dell’anatomia e della fisiologia dell’occhio, di cui distingue le varie parti: il cristallino, la retina, la cornea, l’uvea, i condotti lacrimali, le palpebre e due fluidi che chiama humor vitreus e humor aqueous.

Ippocrate (460-377 a.C.) aveva “razionalizzato” la medicina partendo dalle acquisizioni empiriche del tempo e superando la concezione magica e religiosa. L’anatomia di Ippocrate è basata sull’ispezione degli scheletri e sull’osservazione di esseri umani e non sulla dissezione. La scuola ippocratica ebbe grande successo e si diffuse rapidamente nel mondo greco ispirando anche la filosofia stoica. Anche dopo che il centro della cultura scientifica era passato dalla Grecia ad Alessandria il quadro delle conoscenze mediche era rimasto quello ippocratico.

Per Ippocrate il fattore essenziale della vita era il calore, che pervade il corpo mediante il pneuma (qualcosa di indefinito contenuto nell’aria). Pertanto il cuore, essendone la sede, doveva essere la sede della vita e dello spirito (ciò che più tardi verrà chiamato “anima”). Da calore e pneuma derivano quattro umori: sangue, flegma, bile gialla e bile nera, associati ai quattro elementi fondamentali di Empedocle, rispettivamente aria, acqua, fuoco e terra. Da Ippocrate Galeno riprende la teoria umorale sulla base di dissezione di animali e di osservazione di cadaveri.

Galeno muore a 87 anni nel 216 ma la sua autorità egemonizzerà la medicina fino al XVI secolo. Infatti i suoi seguaci, convinti che le sue descrizioni fosse complete, ritennero inutili ulteriori sperimentazioni e non procedettero oltre negli studi di fisiologia e di anatomia. Per quattordici secoli, fino al Rinascimento, gli anatomisti raffigurarono la struttura del corpo umano in base alle descrizioni fornite da Galeno anziché prendere atto di quello che potevano vedere di persona. In realtà molte delle sue descrizioni di organi umani derivavano da studi effettuati su cani o su scimmie, come lui stesso ammette, perché la dissezione dei cadaveri umani era vietata ai tempi degli antichi Romani e lo resterà fino al Rinascimento.

Il primo studioso che oserà confutare le teorie di Galeno e modificare alcune sue descrizione anatomiche sarà, nel Rinascimento, Andrea Vesalio, anatomista e medico fiammingo autore del trattato De humani corporis fabrica.

Galeno e lo stoicismo

La teoria della visione di Galeno è di tipo eclettico, in quanto non segue la dottrina di una particolare scuola filosofica, ma raccoglie elementi dai modelli platonico, aristotelico e soprattutto stoico. 12 Vediamo brevemente lo sviluppo del pensiero stoico.

All’insegnamento della dottrina stoica contribuirono molti pensatori che ap­por­tarono modifiche e adattamenti. Nel 308 a.C. Zenone di Cizio (isola di Cipro, 333-263 a.C.) inizia ad esporre la propria dottrina ad Atene sotto il portico decorato da Polignoto, perché, non essendo ateniese, non poteva comperare un edificio dove collocare la propria Scuola, la quale prende il nome dal termine greco antico stoà che significa appunto “portico”.

Non ci è rimasto nessuno degli scritti di Zenone, ma sappiamo che il suo pensiero derivava da quello cinico e che sosteneva l’abolizione della moneta, dei templi, dei tribunali, dei ginnasi e la comunanza delle donne tra i sapienti. Zenone suddivide la filosofia in logica (legata al significato del discorso piuttosto che alla sua struttura, come era per Aristotele), fisica (l’ordine perpetuo ed immutabile, razionale e necessario dell’universo e delle cose del mondo) ed etica (l’armonia delle persone con le cose del mondo).

A Zenone succedono Cleante (304-233/232 a.C.), quindi Crisippo (281-208 a.C.), considerato il secondo fondatore dello stoicismo e che pare abbia scritto numerosi libri, dei quali rimangono solo pochi frammenti. Con Crisippo tradizionalmente si chiude lo stoicismo antico, che verrà replicato con un diverso insegnamento dagli stoici romani nel I e II secolo d.C. (Seneca, Epitteto, Marc’Aurelio).

Nel pensiero stoico sulla natura l’universo è un cosmo ordinato ed eterno, le cui vicende si susseguono alternandosi: nascita e morte, ordine e distruzione. Ogni cosa è pervasa dalla intelligenza divina, il logos, la quale penetra tutta la realtà (panteismo) e le dona un ordine razionale. È la razionalità insita nella natura. La conseguenza più immediata di questo modo di pensare è che tutto è determinato e il caso non esiste. Ogni cosa ha un proprio senso, una propria funzione ed uno scopo. Crisippo, ad esempio, diceva che i denti velenosi dei serpenti sono utili perché i veleni si possono impiegare come farmaci, i topi ci rendono vigili, le cimici impediscono di concederci facilmente al sonno; persino i terremoti e le catastrofi sono utili perché sono castigo e purificazione. Nell’ideale stoico il dominio sulle passioni permette allo spirito il raggiungimento della saggezza. È importante conservare in ogni situazione l’impassibilità. La passione allontana dalla ragione.

Gli stoici hanno una particolare teoria della visione, strettamente basata sul pneuma che è considerato una mescolanza di acqua e fuoco. Il pneuma è il principio attivo della manifestazione del logos, un soffio caldo che viene prodotto riscaldando l’aria. Raffreddandosi dà origine all’acqua, e infine all’elemento solido, la terra: sono i quattro elementi fondamentali dell’universo.

Dalla sede della coscienza il pneuma ottico fluisce all’occhio e eccita l’aria adiacente, mettendola in uno stato di tensione. L’affezione che dipende da questa tensione del pneuma è la sympatheia. Quando l’aria in tensione viene illuminata dal sole si stabilisce un contatto con l’oggetto visibile. L’anima esercita una “pressione” sulla pupilla attraverso il pneuma e l’aria si allarga a forma di cono fino all’oggetto. La visione si basa sulla sympatheia.

La teoria della sympatheia verrà utilizzata nel III secolo anche da Plotino e nel IV secolo da Agostino, uno dei padri fondatori della chiesa cristiana, elaborerà una teoria della sensazione molto vicina a quella stoica. Si tratta di una teoria basata su un medium tra l’occhio che osserva e l’oggetto osservato come quelle di Platone e Aristotele.

Lo stoicismo ebbe grande fortuna nell’antichità, formando spesso uomini dei ceti dirigenti e influenzando le masse; motivi stoici confluiranno anche nel cristianesimo. La massima stoica “vivere secondo natura”, nel senso che l’opera della natura andava seguita e non sovvertita o contraddetta, è stata l’ispiratrice della medicina europea premoderna.

Seguendo la scuola stoica, Galeno immagina che lo spirito visuale (il pneuma) scenda dal cervello lungo il nervo ottico (che per Galeno è cavo) fino alla retina ed al cristallino, che è l’elemento sensibile alla luce. Quindi emerge dall’occhio per una breve distanza trasformando l’aria circostante, che diventa un’estensione del nervo ottico. L’aria stessa percepisce l’oggetto con il quale è in contatto e comunica la sua percezione al cristallino che la trasmette al cervello. Galeno individua nel cristallino l’organo principale della visione (per i moderni lo è la retina) e ritiene che questo possa essere confermato dalla cataratta: quando il cristallino si opacizza la qualità della visione peggiora.

Galeno sostiene anche l’esistenza di un medium intermedio, come aveva già fatto Aristotele, ma questo è l’unico punto che accomuna le due teorie perché la teoria di Aristotele oltre ad essere basata su questioni fisiche o causali, assegna all’osservatore un ruolo passivo, e il medium è strumento dell’oggetto.

Pur non essendo di tipo euclideo, la teoria contiene anche una piccola parte di geometria come Galeno stesso precisa con queste parole nel suo scritto De Usu Partium:

Ho spiegato quasi tutto ciò che riguarda l’occhio con l’eccezione di un punto che intendevo omettere nel timore che molti dei miei lettori fossero annoiati dall’oscurità della spiegazione e dalla lunghezza della trattazione. Infatti, poiché necessariamente coinvolge la geometria, e molte persone che fingono un certo livello di educazione non solo ignorano la geometria ma anche evitano chi la comprende e si annoiano con essa, ho pensato fosse meglio omettere del tutto l’argomento.
[Galeno De Usu Partium]


Note

1 Per la teoria della visione di Euclide mi sono basato su Lindberg Theories of Vision Chicago University Press 1976 e Ronchi Storia della luce Laterza 1983.

2 Cicerone nella Natura divina: “a questo punto non dovrei meravigliarmi se qualcuno fosse convinto che particelle solide e indivisibili siano mosse dalla forza del loro peso e che questo mondo così magnifico e splendido sia il risultato della collisione fortuita degli atomi?”

3 Diels traduce in tedesco la prima edizione critica del De rerum natura fatta da Lachmann nel 1850.

4 L’Oxford Latin Dictionary riporta 11 significati sia per lumen che per lux, la gran parte dei quali sono comuni ad entrambe le parole; lumen è più spesso associato alla sorgente di luce (lampada, torcia ma anche finestra, apertura e anche occhio) mentre lux è per lo più associato alla possibilità di “vedere”.

5 “Poiché gli ambasciatori erano stati apostrofati con troppa audacia, i vostri padri vollero che Corinto, lumen di tutta la Grecia, fosse rasa al suolo” (Pro lege Manilia). “Già parmi vedere questa città [Roma] lucem del mondo e rifugio di tutte le genti, per un subito incendio precipitata.” (Orationes in Catilinam, IV 6).

6 La natura delle cose IV 467-468.

7 Per le informazioni sull’Ottica di Tolomeo mi sono basato sull’edizione critica con traduzione francese L’optique de Claude Ptolémée: dans la version latine d’après l’arabe de l’émir Eugène de Sicile di Albert Lejeune, Brill 1989. Si veda anche la traduzione in inglese di A. Mark Smith Ptolomy’s Theory of Visual Perception American Mathematical Society 1996

8 Oportet autem cognoscere quod natura visibilis radii in his que sensus consequitor, continua est necessario et non disgregata.

9 Peter Adamson “Vision, Light and Color in al-Kindi, Ptolemy and the Ancient Commentators” Arabic Science and Philosophy 16, 2006, p. 207-236

10 Anna De Pace “Elementi aristotelici nell’Ottica di Claudio Tolomeo” Rivista critica di storia della filosofia 36, 1981, p. 123-138 e 37, 1982, 243-276.

11 Il prenome Claudio potrebbe essere dovuto ad una errata interpretazione, nel periodo rinascimentale, dell’espressione “Cl. Galenus”, dove Cl stava forse per clarissimus.

12 Katerina Ierodiakonou “Galen’s theory of vision” in Bulletin of the Institute of Classical Studies: Supplement, Volumes 83.1, 2004

 

Visitato 630 volte, negli ultimi 7 giorni 1 visite

Torna all'indice di Storia della scienza del colore

Mauro Boscarol

14/4/2010 alle 12:42

Parole chiave , , ,

Visitato 630 volte, negli ultimi 7 giorni 1 visite

Vuoi fare un commento a questo post?

Devi essere collegato per scrivere un commento.