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Il blog di Mauro Boscarol sulla gestione digitale del colore dal 1998

Nella serie Appunti di storia del colore

I colori dei pittori non vanno d’accordo con quelli di Newton

I pittori del Rinascimento non furono i primi a mescolare pigmenti per ottener altri colori oltre a quelli che si potevano ottenere con i pigmenti “puri”. Da millenni i pittori sapevano che si possono ottenere tutti i colori della tavolozza partendo da soli tre pigmenti: rosso, giallo e azzurro, anche se in pratica talvolta ne serve qualcuno in più per caratterizzare meglio il colore.

Ma il grande sviluppo artistico del Rinascimento mise in primo piano la questione dell’esistenza e della numerosità dei pigmenti, mescolando i quali si potevano ottenere tutti i colori.

Leonardo da Vinci (1452-1519) nel Trattato della pittura parla di quelli che lui chiama “colori semplici” (e che sono evidentemente dei pigmenti):

I semplici colori sono sei, de’ quali il primo è bianco, benché alcuni filosofi non accettino né il bianco né il nero nel numero de’ colori, perché l’uno è causa de’ colori, l’altro ne è privazione. Ma pure, perché il pittore non può far senza questi, noi li metteremo nel numero degli altri, e diremo il bianco in quest’ordine essere il primo ne’ semplici, il giallo il secondo, il verde il terzo, l’azzurro il quarto, il rosso il quinto, il nero il sesto; ed il bianco metteremo per la luce senza la quale nessun colore veder si può, ed il giallo per la terra, il verde per l’acqua, l’azzurro per l’aria, ed il rosso per il fuoco, ed il nero per le tenebre, che stan sopra l’elemento del fuoco, perché non v’è materia o grossezza dove i raggi del sole abbiano a percuotere, e per conseguenza illuminare.
—Parte II, 250

L’azzurro ed il verde non è per sé semplice, perché l’azzurro è composto di luce e di tenebre, come è quello dell’aria, cioè nero perfettissimo e bianco candidissimo. Il verde è composto d’un semplice e d’un composto, cioè si compone d’azzurro e di giallo.
—Parte II, 251

Oltre a bianco e nero, pare dunque che per Leonardo i colori “semplici” fossero rosso, giallo e azzurro e che con pigmenti di questi colori si potessero creare tutti gli altri colori. 

Annunciando i suoi risultati, Newton si era basato anche sulla metafora dei primari dei pittori, che era stata ampiamente introdotta e adottata in Inghilterra durante i primi anni del Seicento. Newton si basava soprattutto sul linguaggio di Robert Boyle, il cui lavoro 1664 Touching Colours discuteva la miscelazione dei colori da parte dei pittori e dei tintori. Newton riprende da Boyle i termini “primari”, “semplice” e  “primitivi” usati per descrivere i pigmenti e li applica alle proprietà dei raggi di luce colorata.

La metafora rese i concetti di Newton facilmente comprensibili, ma ha anche generò una certa confusione. Per Newton, ci sono (in origine), un numero infinito di primari, non tre come per i pittori. Inoltre, molti dei “primari” di Newton, come il verde, potrebbe essere prodotta da una combinazione di altre luci colorate – in questo caso, dal giallo e blu.

Newton, naturalmente, stava cercando di indicare che certi raggi di luce sono irriducibili in quanto al colore, anche se aveva presentato le sue idee in un modo che è stato prontamente interpretato in termini di miscelazione del colore. Infine, lo schema di Newton andava contro l’evidenza che una combinazione di pigmenti produceva il nero, non il bianco. Newton, in risposta, fece appello all’altra nozione degli altri artisti , che la scala bianco-nero è separata da quella di colore.

Newton insomma rischiava di tornare alla distinzione tra colori veri e colori apparenti. I meccanicisti consideravano tutti i colori apparenti, e la teoria di Newton si adattava perfettamente a questi colori. Newton però tentava anche di spiegare i colori “reali” con la stessa teoria e questo non gli riusciva molto bene. Nel rispondere alle diverse obiezioni Newton non aveva preso le distanze dai colori dei pigmenti artisti. Anzi, egli aveva cercato di rendere i collegamenti ancora più forti. Tra le sue Lezioni sul colore del 1671-72 e la sua Ottica pubblicato nel 1704, per esempio, aveva razionalizzato la sua nozione di “varietà indefinita di gradazioni intermedie” di colore, sottolineando solo sette colori spettrali.

Ma la differenza tra composizione  additiva di luci (i colori “apparenti” degli aristotelici) e  la mescolanza sottrattiva di pigmenti (i colori “reali” degli aristotelici) sarebbe stata definitivamente chiarita solo con i lavori di Helmholtz di metà Ottocento.

Newton further promoted the comparison between his colors and artists’ colors by constructing a color-mixing circle, showing how colors (such as pigments) would combine to form other colors. Indeed, artists often adopted his scheme and adapted it into the well known color wheel over the next century.
Newton’s Colors

Nel 1681 il fisico francese Edme Mariotte (1620-1684) nel suo Traité de la nature des couleurs, elenca cinque colori materiali (cioè pigmenti) “principali”: oltre a bianco e nero, essi sono rosso, giallo e blu. Tutti gli altri colori potevano essere prodotti con mescolanze di questi.

Anche l’inglese Richard Waller che nel 1686 pubblica A Catalogue of Simple and Mixt Colours chiamava “semplici” i colori materiali rosso, giallo e blu.

Tra il 1710 e il 1720 Jakob Christoph Le Blon (1667-1741), un pittore nato a Francoforte e attivo in Francia, Inghilterra e Olanda, è il primo a realizzare delle stampe a colori con tre matrici di rame usando la tecnica della mezzatinta. Le Blon descrive la sua invenzione in un piccolo libro bilingue inglese (Coloritto Or the Harmony of Colouring in Painting) e francese (L’harmonie du coloris dans la peinture). La prima edizione è pubblicata a Londra tra il 1723 e il 1726 e la seconda edizione (postuma e lievemente ampliata e con il titolo L’Art d’imprimer les tables) a Parigi nel 1756.

Con le parole coloritto (inglese) e coloris (francese) Le Blon intende “la rappresentazione fedele e naturale del nudo o della carne umana nuda” che implicitamente considera l’esperienza più difficile per un pittore.

Le Blon è forse il primo a distinguere tra colori materiali (material colours) cioè i pigmenti usati dai pittori, che nascondono ciò che coprono e che sono quelli di cui lui si occupa e  colori impalpabili (impalpable colours) che sono quelli di cui si è occupato Newton qualche decennio prima.

Per i colori materiali (e solo per questi) afferma che tutti gli altri colori si possono comporre a partire dai (cioè mescolando i) tre colori “primitivi” giallo, rosso e blu. Giallo + rosso dà arancio, rosso + blu dà il viola e il violetto e blu + giallo il verde. Tutti assieme danno il nero. Per  i colori impalpabili di Newton afferma che la loro mescolanza genera il bianco, ma pare tuttavia che consideri i colori primitivi sempre giallo, rosso e blu.

A quei tempi non era ancora chiara la differenza tra le leggi che regolano la mescolanza di luci e quelle che regolano la mescolanza di pigmenti. Newton stesso, pur basando tutta la sua teoria sulla mescolanza di luci, la esemplificava anche con mescolanze di polveri colorate. Per avere una chiara distinzione bisognerà attendere i lavori di Helmholtz, circa un secolo e mezzo dopo.

 

Per riprodurre tutti i colori di un quadro Le Blon preparava tre lastre di rame, una per ogni colore primitivo (rosso, giallo e blu), e le stampava sovrapposte servendosi di “colori materiali” cioè pigmenti, inchiostri. Talvolta aggiungeva anche una quarta lastra da stampare con inchiostro nero.

Solo nel 1737 con l’articolo di Charles Francois Du Fay (1698-1739) “Observations physiques sur le mélange de quelques couleurs dans la teinture” inizia a farsi strada l’idea che l’ipotesi tricromatica potesse valere anche per le mescolanze di luci. Quindi tale ipotesi poteva essere valutata nell’ambito della teoria di Newton e, in apparenza, era in disaccordo con essa (e forse è questo il motivo per cui Newton non la cita nei suoi scritti).

Nel 1757 Michail Lomonosov (1711-1765) poeta e scienziato russo,  ipotizza che ci siano solo tre tipi di luci (ma Newton aveva già dimostrato che non era così). George Palmer suggerisce che ci siano tre tipi di luci e tre corrispondenti tipi di fibre nella retina.

Riferimenti

[1] Leonardo Da Vinci Trattato della Pittura, Carabba editore, 1947 PDF
[2] Richard Waller “A catalogue of simple and mixt colours” Philosophical Transactions of the Royal Society, XVI, 1686, p. 24
[3] Louis-Bertrand Castel Clavecin pour les yeux 1725
[4] Tobias Mayer, “Treatise on the Relationship of Colors,” in Tobias Mayer’s “Opera Inedita”: The First Translation of the Lichtenberg Edition of 1775, trans. Eric G. Forbes (New York, 1971), 81–91.
[5] Heinwig Lang “Trichromatic Theories Before Young” Color research and application 8, 4, 221-231
[6] Alan Shapiro. 1994. “Artists’ Colors and Newton’s Colors.” Isis 85: 600-627.

 

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Mauro Boscarol

3/10/2010 alle 18:01

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