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Il blog di Mauro Boscarol sulla gestione digitale del colore dal 1998

Nella serie Sensazione e percezione del colore

Il mistero della costanza della chiarezza

In questo post vediamo che la capacità del sistema visivo nella percezione della brillanza e della chiarezza ci riserva qualche sorpresa.

Quando osserviamo un oggetto illuminato, la brillanza è il giudizio sulla quantità di luce che l’oggetto illuminato riflette e che arriva ai nostri occhi.

Prendiamo per esempio il cubo illuminato qui sotto. Questo è un disegno, ma voi immaginate di osservare un cubo reale sotto una luce reale con un’ombra reale. Le facce del cubo sono tutte uguali (bianche, ma potrebbe essere un colore qualunque). C’è una unica illuminazione e le varie facce sono più o meno illuminate e dunque più o meno o per nulla in ombra.

In questa situazione non possiamo avere dubbi nel giudicare che la massima brillanza è quella della faccia superiore, la brillanza media viene dalla faccia alla nostra destra, e la brillanza più bassa proviene dalla faccia alla nostra sinistra. Fin qui nessun problema.

Cosa possiamo dire della chiarezza? Per giudicare la chiarezza dobbiamo giudicare non la quantità complessiva di luce riflessa da ogni faccia ma la percentuale di riflessione di ogni faccia.

La chiarezza di un’area infatti dipende per definizione dalle proprietà di riflessione dell’area (ci sono situazioni più complesse in cui questo non è vero, ma qui trattiamo una situazione “normale”) e non dipende dalla quantità di luce che l’area emette e raggiunge il nostro occhio. In altre parole la chiarezza è indipendente dall’illuminazione, e dipende invece da una proprietà della superficie.

Un modo per giudicare la chiarezza consiste nell’immaginare che l’illuminazione sia la stessa per ogni faccia, ovvero nello scartare le differenze di illuminazione. A quel punto appare evidente che tutte le facce del cubo qui sopra riflettono la luce in egual modo.

Per giudicare la chiarezza in un altro modo potremmo lasciare l’illuminazione come è e immaginare di appiccicare su ogni faccia del cubo un pezzetto di cartoncino che riflette tutta la luce che riceve. La chiarezza di una faccia è il rapporto tra la luce emessa dalla (e cioè la brillanza della) faccia e la luce emessa dal (e cioè la brillanza del) relativo cartoncino. Anche in questo modo possiamo giudicare che le facce hanno tutte la stessa chiarezza. La diversa esposizione delle facce fa in modo che le loro brillanze siano diverse ma i rapporti con le brillanze dei rispettivi cartoncini sono gli stessi.

Un altro esempio di brillanza/chiarezza è fornito da questa casa illuminata con relativa ombra. La parete alla nostra destra appare emettere più luce di quella alla nostra sinistra, dunque le due pareti hanno diversi valori di brillanza.

Invece la chiarezza è uguale, poiché imputiamo la diversa brillanza alla diversa illuminazione. Se eliminiamo la differenza di illuminazione la chiarezza risulta la stessa.

Un altro classico esempio è un libro stampato. La carta appare bianca e l’inchiostro nero, sia che lo leggiamo in casa con una luce poco intensa, sia che lo leggiamo alla luce del giorno, che è più intensa.

La brillanza della carta cambia (è minore alla luce di casa e maggiore alla luce del giorno) ma la chiarezza rimane la stessa. Infatti alla luce del giorno aumenta la brillanza della carta, ma aumenta anche la brillanza dell’inchiostro nero e il rapporto rimane costante. In questo caso la variazione dell’illuminazione non è nello spazio (come negli esempi precedenti) ma nel tempo.

Altre immagini sulle quali fare esercizio. Nella prima immagine qui sotto si vede un rettangolo grigio stampato su un cartoncino bianco, e un’ombra che cade sul cartoncino. Nella zona in ombra la brillanza del grigio è inferiore alla brillanza del grigio nella zona non ombreggiata. Tuttavia anche la brillanza del bianco è proporzionalmente diversa e dunque la chiarezza del grigio (e del bianco) rimane la stessa, nell’ombra e alla luce.

Nella seconda immagine qui sotto, alla domanda sul colore delle pareti dell’edifico centrale, tutti risponderebbero che sono bianche. La brillanza delle due pareti tuttavia è molto diversa, ma il nostro sistema visivo non giudica la brillanza ma la chiarezza. E anche se la brillanza della parete all’ombra è solo un po’ più alta della brillanza del tetto, l’occhio vede la parete bianca e il tetto nero, in quanto giudica la chiarezza.

Possiamo concludere che giudicare la brillanza richiede un meccanismo mentale che valuta la luce che l’occhio riceve; giudicare la chiarezza richiede un meccanismo mentale che valuta la riflessione della superficie.

Ma qui sta l’inghippo: la riflessione è una proprietà del materiale e non raggiunge il nostro occhio, rimane appiccicata alla superficie. Quando una superficie riceve tanta luce ne rifletta tanta; quando riceve poca luce ne riflette poca. L’occhio riceve nel primo caso tanta luce, nel secondo caso poca luce, ma miracolosamente il sistema visivo riesce a capire che la chiarezza è rimasta invariata, anche se la luce che ha ricevuto è diversa. Giudicare la chiarezza richiede un meccanismo mentale molto più complesso di quello richiesto per giudicare la brillanza.

Tuttavia, misteriosamente, il sistema visivo umano riesce benissimo a giudicare la chiarezza, cioè valutare la riflessione della superficie. Riesce cioè ad eliminare le differenze di illuminazione (le ombre) e a giudicare il rapporto tra la luce riflessa da una superficie qualunque rispetto a quella riflessa da una superficie che la riflette tutta.

Non solo l’occhio è in grado di valutare la chiarezza, ma addirittura è più portato a questo compito che non a valutare la brillanza: se si chiede a bruciapelo ad un osservatore un giudizio sulla luminosità (un termine generico che non distingue tra brillanza e chiarezza) delle pareti della casa qui sopra, la risposta sarà che sono uguali. Questo indica che è stata giudicata la chiarezza piuttosto che la brillanza. Bisogna insistere e chiedere di porre particolare attenzione alla luce emessa da ogni parete, perché venga giudicato che hanno brillanze diverse.

Il fatto che il sistema visivo sia in grado di giudicare la chiarezza è stato chiamato “costanza della chiarezza” (lightness constancy) dove la costanza è intesa al variare dell’illuminazione.

Ma come funziona il meccanismo sensoriale e/o mentale per il giudizio della chiarezza, e perché questo sia preferito dal sistema visivo umano, non lo sa nessuno, non si conosce l’algoritmo, la scienza non è ancora riuscita a spiegarlo. L’unica cosa che raggiunge l’occhio è la luce e non è comprensibile come la luce riesca a portare l’informazione sulla capacità di riflessione del materiale, o come faccia il sistema visivo comunque a procurarsela.

Evidentemente dipende, in qualche modo, dal contesto (e infatti il concetto di “chiarezza” non esiste per i colori isolati, ma solo per quelli in un contesto e con un illuminante) ma non si sa come e da quale parte del sistema visivo sia elaborata l’informazione. Potrebbero essere meccanismi sensoriali (dai fotorecettori fino ai neuroni dei primi stadi del sistema visivo) o potrebbero essere meccanismi mentali e cognitivi.

Ci sono degli esempi in cui appare evidente la capacità del sistema visivo di giudicare la chiarezza (cioè scartare le differenze di illuminazione). Il più famoso è probabilmente questo, preparato nel 1995 da Edward Adelson, che insegna al MIT di Cambridge (Massachusetts, US):

Questa è una scena illuminata e il cilindro getta una ombra sulla scacchiera. Tutti noi giudichiamo il quadrato A più scuro del quadrato B (cioè A ha minore chiarezza di B).

Ma la luce che viene emessa dai due quadrati è assolutamente uguale (provare per credere). Come fa il nostro sistema visivo a giudicare diversi i due quadrati quando in effetti emettono la stessa luce e all’occhio arriva la stessa luce (cioè lo stimolo di colore è lo stesso)? Certamente il contesto e l’ombra hanno un ruolo. Ma come funziona? Qual è l’algoritmo? Non si sa.


Letture

Paola Bressan Il colore della luna Laterza. Il capitolo 4, intitolato “Come vediamo i grigi” tratta questo problema.

Alan Gilchrist Seeing Black and White Wiley . Riassume il problema della costanza della chiarezza e tutte le ricerche che sono state fatte per cercare di risolverlo. Riporto una frase dell’introduzione:

È una storia molto misteriosa! Una carta nera sotto una luce intensa e una carta bianca all’ombra riflettono la stessa luce verso l’occhio. Eppure la carta nera appare nera e la carta bianca appare bianca. Come può essere? La percezione umana è la sola testimonianza che ciò possa accadere.

 

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Mauro Boscarol

19/2/2011 alle 12:17

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7 commenti

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  1. Ciao Mauro,
    ho un dubbio che non riesco a chiarire (forse perché è la prima volta che ho letto questa sezione) la chiarezza di cui parli qui è la chiarezza ( L* ) del precedente capitolo?

    Malakh Kelevra

    13/3/12 alle 11:19

  2. E’ per questo motivo che un b/n di una foto è più scuro del canale L* del L* a* b*?

    Malakh Kelevra

    13/3/12 alle 11:19

  3. Sì, la chiarezza di cui si parla è sempre quella. È un concetto percettivo, L* è un tentativo (quello attualmente considerato il migliore) di legare la chiarezza al fattore di luminanza.

    Mauro Boscarol

    13/3/12 alle 13:45

  4. Salve, complimenti per il blog. Avrei una domanda riguardo questo articolo: Come si deduce che A ha la stessa chiarezza di B?

    nonchiedercilaparola

    23/4/13 alle 21:01

  5. A non ha la stessa chiarezza di B. Infatti c’è scritto “Tutti noi giudichiamo il quadrato A più scuro del quadrato B” che significa che A ha minore chiarezza di B.

    Mauro Boscarol

    23/4/13 alle 22:19

  6. scusi ho fatto un pò di confusione, quello che intendevo dire è da cosa si deduce che “la luce che viene emessa dai due quadrati è assolutamente uguale”?

    nonchiedercilaparola

    29/4/13 alle 01:26

  7. Se hai un Mac apri Digital Color Meter e metti il cursore sopra i due quadrati. Vedrai che sono entrambi RGB = 107, 107, 107. Se non hai un Mac prova a fare lo stesso con Photoshop e il contagocce.

    Mauro Boscarol

    29/4/13 alle 03:32

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