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Nella serie Appunti di storia del colore

Newton: Nuova teoria sulla luce e i colori (1672)

La prima opera di Newton ad essere pubblicata è una lettera datata 6 febbraio 1672 (nel calendario gregoriano è il 16 febbraio) scritta al segretario della Royal Society, Henry Oldenburg (1619-1677).

La lettera viene pubblicata nelle Philosophical Transaction il 19 febbraio 1672 (29 febbraio nel calendario gregoriano) e ancor oggi può essere considerata la migliore sintesi dei suoi primi esperimenti e della sua teoria sulla luce e sui colori. Qui si può vedere in PDF l’originale della lettera come è stata pubblicata dalla rivista e qui il solo testo in inglese.

In realtà in questa lettera più che una teoria dei colori è contenuta una teoria della luce intesa come fenomeno fisico oggettivo (oggi diremmo radiazione): infatti si parla di raggi, rifrazione, prismi e lenti. Solo nell’Ottica Newton avanza qualche congettura su come l’essere umano “vede” la radiazione, cioè sulla luce e sui colori, ma non affronta mai un esame sistematico. Solo nell’Ottocento luce e colori diventeranno un fenomeno soggettivo da esplorare, principalmente all’uscita dell’Handbuch di Helmholtz (in particolare la seconda parte).

Prima di Newton era opinione comune che la luce fosse una entità omogenea, non composta, capace di differenti “qualità” secondo la sua interazione con la materia, ma che rimanesse essenzialmente illuminante, con la stessa essenza e lo stesso comportamento. Modificata da rifrazioni e riflessioni, la luce generava le diverse percezioni di colore (questo punto di vista viene detto “modificazionismo”).

Negli esperimenti che condusse a cavallo tra il 1665 e il 1666, Newton aveva invece osservato che la luce del sole, fatta passare attraverso un prisma, si scompone in una serie di colori (è il fenomeno della “dispersione della luce”), a causa della diversa rifrattività dei raggi che la compongono. Newton chiama questa serie di colori “spettro” (in latino spectrum, “immagine”, “visione”, anche “fantasma”) e spiega il fenomeno ipotizzando che nella luce del sole siano contenuti raggi diversi, che hanno diverse rifrattività e che vengono percepiti come diversi colori se osservati separatamente. Quando questi diversi raggi sono mescolati, l’apparato visivo percepisce un colore diverso da quelli che percepirebbe se fossero separati.

Il colore quindi è una percezione soggettiva, causata da uno stimolo fisico oggettivo, la luce. Anche Cartesio pensava che il colore fosse una percezione, ma spetta a Newton il merito di averlo affermato nettamente e senza equivoci.


Lo spettro luminoso

La luce del sole è composta di diversi tipi di luce (o raggi, oggi diciamo radiazioni) separabili mediante la rifrazione. Tra i diversi colori dello spettro (percezione soggettiva, non misurabile) e le rifrattività dei raggi che li producono (stimolo fisico oggettivo, misurabile) vi è una corrispondenza biunivoca, che Newton enuncia chiaramente affermando che

al medesimo grado di rifrangibilità appartiene sempre il medesimo colore e al medesimo colore appartiene sempre il medesimo grado di rifrangibilità. I raggi minimamente rifrangibili sono tutti atti a esibire il colore rosso e, inversamente, quei raggi che sono atti a esibire il colore rosso sono tutti minimamente rifrangibili. Analogamente, i raggi massimamente rifrangibili sono tutti atti a esibire il colore violetto cupo e, inversamente, quelli atti a esibire un tale colore violetto sono tutti massimamente rifrangibili. Allo stesso modo, ai colori intermedi disposti in una serie continua appartengono gradi intermedi di rifrangibilità. E questa analogia tra colori e rifrangibilità è assolutamente esatta e rigida.[4]

Anche se limitata ai colori spettrali (cioè quelli prodotti da luce di unica rifrattività), questa è la prima misura della percezione del colore che sia stata proposta. Newton stesso si rende conto della novità e della sorpresa che questa osservazione avrebbe potuto provocare e anticipa che

un naturalista non si aspetterebbe di vedere la scienza di quelli [cioè dei colori] diventare matematica, e tuttavia oso affermare che in essi vi è altrettanta certezza che in qualsiasi altra parte dell’ottica.[5]

Poiché, come oggi sappiamo, la rifrattività dipende a sua volta in modo biunivoco dalla lunghezza d’onda della radiazione, si usa indicare un colore spettrale mediante la lunghezza d’onda della relativa radiazione. Per esempio, specificando 520 nm (nm è la sigla di nanometro, un nanometro è un miliardesimo di metro, cioè un milionesimo di millimetro) si intende indicare il colore (verde) prodotto da una radiazione di singola lunghezza d’onda (monocromatica) appunto di 520 nm.
Quando è sufficiente riferirsi in modo approssimato ai principali colori spettrali li si può semplicemente indicare con un nome. Qui sopra sono riportati i sei nomi oggi generalmente usati. Suddividendo il violetto in due settori, violetto e indaco, Newton preferiva nominarne sette:

«il rosso, il giallo, il verde, l’azzurro e il violetto che tende al viola, insieme all’arancione, all’indaco, e a un’indefinita varietà di gradazioni intermedie.»[6]

Tuttavia non esistono solo i colori spettrali (originali, semplici, prismatici nel linguaggio di Newton), ma anche quelli ottenuti mediante composizione (cioè mediante mescolanza o sovrapposizione) di due o più colori spettrali. Anzi in natura non si trovano spontaneamente colori spettrali, ma solo loro mescolanze. Come si possono misurare e specificare i colori ottenuti mediante mescolanza?

Newton osserva che la mescolanza di due colori spettrali abbastanza vicini nello spettro dà come risultato un colore non spettrale (poiché è ottenuto come mescolanza di colori spettrali) che ha tuttavia la stessa tinta del colore spettrale intermedio tra i due, ma è un po’ più pallido.

Newton tratta la questione nella seconda parte del primo libro di Opticks. Nella proposizione VI, egli pone il problema di stabilire «in un miscuglio di colori primari, essendo data la quantità e la qualità di ciascuno, … il colore del composto.»[7]

Newton intende con “quantità” ciò che oggi indichiamo con luminanza mentre la “qualità” è la parte cromatica del colore (tinta e saturazione).

Infatti, un miscuglio di rosso e di giallo omogenei compongono un arancione, simile in apparenza al colore di quell’arancione che nella serie dei colori prismatici semplici giace tra essi; ma la luce di un arancione è, quanto alla rifrangibilità, omogenea, e quella dell’altro è eterogenea.[8]

I colori possono essere prodotti per composizione, e saranno simili ai colori della luce omogenea quanto all’apparenza del colore, ma non quanto all’immutabilità del colore [proprietà di scomposizione] e alla costituzione della luce [proprietà fisiche]. E quanto più quei colori sono composti, tanto più essi sono meno pieni e intensi…”

Per esempio la mescolanza di azzurro e giallo dà verde pallido, più precisamente un verde che ha la stessa tinta del verde spettrale intermedio tra azzurro e giallo, ma non è spettrale ed è più pallido. E così violetto e azzurro danno un blu non spettrale più pallido di quello spettrale intermedio.

Newton nota anche che «…se vengono mescolati il rosso e il violetto, verranno generati, in accordo con le loro diverse proporzioni, vari viola, tali che non sono simili, all’apparenza, al colore di una qualsiasi luce omogenea… »[9]

Cioè, la mescolanza dei colori spettrali estremi, violetto e rosso, dà luogo a colori viola la cui tinta non è simile a quella di nessun colore spettrale ma che appaiono visivamente intermedi tra il rosso e il violetto. Ciò significa che violetto, viola e rosso, inducono nell’occhio percezioni di colore “contigue”.

Colori spettrali e non spettrali esauriscono l’insieme dei colori che l’occhio umano percepisce, infatti

tutti i colori che nell’universo sono prodotti dalla luce, e non dipendono dal potere dell’immaginazione, sono o i colori di luci omogenee oppure composti di essi.[10]

Le ultime righe della lettera di Newton sono queste:

But to determine more absolutely what light is, after what manner refracted, and by what modes or actions it produceth in our minds the phantasms of colours, is not so easy. And I shall not mingle conjectures with certainties.

 

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Mauro Boscarol

12/4/2011 alle 13:48

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