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Il blog di Mauro Boscarol sulla gestione digitale del colore dal 1998

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Il profilo colore

Articolo pubblicato nel numero 7/2006 di Print Buyer.

 

Diciamo subito a cosa serve il profilo colore (chiamato anche profilo ICC, International Color Consortium): a precisare come il colore deve essere stampato. Se non si usa il profilo colore, questa precisazione non c’è ed il colore verrà stampato “a caso”. Certo, un magenta sarà sempre un magenta, non diventerà un verde o un blu. Però sarà un magenta “a caso”, forse che tende al rosso, oppure che tende al viola, o più chiaro o più scuro, o più vivo o meno. In altre parole, senza profilo le indicazioni di colore (date in percentuali CMYK) sono ambigue.

E’ possibile fare a meno del profilo colore, è possibile evitare di interessarsene? Certo che è possibile, ma in tal caso dobbiamo aspettarci che il colore in stampa sia casuale. Perché se non le prendiamo noi le decisioni sul colore, le prende qualcun altro (l’operatore di prestampa, l’applicazione, il RIP, il sistema di flusso), e alla fine i colori non vengono come li vorremmo noi.

Allora vediamo cos’è un profilo di colore e come utilizzarlo. Il punto da cui partire è che su diverse macchine da stampa, con inchiostri diversi e con carte diverse i colori vengono diversi. Cioè le percentuali CMYK che compongono ogni pixel del lavoro che abbiamo portato a stampare danno risultati diversi su macchine (+ inchiostri + carta) diverse. Le percentuali sono le stesse, ma i colori sono diversi.

Questo è noto, ed è così in tutto il mondo. Dipende in primo luogo dalla carta e dagli inchiostri, ma anche dalla tecnologia delle macchine e dai materiali utilizzati, per esempio le lastre positive (usate in Europa) hanno una resa diversa dalle lastre negative (usate in America). Le macchine offset a foglio stampano in un modo, le rotative in un altro modo e le digitali in un altro modo ancora. E non parliamo di tutte le altre tecnologie di stampa, da quelle per ufficio a quelle industriali.

Quindi se diamo allo stampatore un file CMYK senza nessun’altra indicazione (cioè senza un profilo colore) il risultato è imprevedibile, e sarà diverso per ogni singola combinazione macchina + inchiostri + carta sul quale verrà. Una frase che sento ripetere spesso dai clienti degli stampatori è “questo è un file CMYK, stampalo così com’è”. E’ una frase senza senso, perché il risultato sarà diverso su macchine diverse.

A questo punto entra il gioco il profilo colore. Vediamo cos’è e poi vedremo come usarlo. Innanzitutto il profilo colore riguarda la macchina da stampa caricata con un certo set di inchiostri e un data carta. Per quella data macchina, il profilo colore è una tabella che indica, per ogni combinazione di percentuali CMYK, le coordinate colorimetriche (cioè il colore) che verrà stampato da quella macchina con quelle percentuali. Insomma è una carta di identità della macchina + inchiostri + carta.

Questo vuol dire innanzitutto che il profilo colore va creato dallo stampatore per ognuna delle sue macchine. Detta così questa sembra già un difficoltà, perché sappiamo quanto gli stampatori siano restii a creare i profili e a fornirli. Farsi dare da uno stampatore il profilo delle sue macchine è spesso un’impresa impossibile.

Da parte del cliente (del print buyer) fortunatamente c’è un’alternativa: procurarsi i profili di macchine da stampa a norma. Come sapete esistono norme internazionali (ISO, International Standard Organization) che dicono come le varie macchine (a foglio, rotativa, con carta patinata, con carta naturale) devono stampare. E fortunatamente c’è chi si è preso la briga di costruire i profili colore per queste macchine a norma. I profili si possono scaricare gratuitamente dal sito ECI (il pacchetto completo si chiama ECI Offset 2004). Il profilo più comune, quello per la carta patinata (lucida o opaca) in offset piana, si chiama ISO coated.

Quando siamo riusciti a farci dare dallo stampatore il profilo della macchina sulla quale uscirà il nostro lavoro, oppure, in alternativa, quando abbiamo scelto un profilo standard adeguato per il nostro lavoro (dipende dalla carta) possiamo iniziare ad usarlo. Tutto quello che dobbiamo fare è impostarlo nell’applicazione di impaginazione (per esempio InDesign o XPress) e a quel punto tutte le indicazioni di colore non saranno più ambigue, si riferiranno esattamente al colore prodotto da quella macchina con quella carta. E questo è un primo passo importante.

Il secondo passo riguarda il fatto che possiamo vedere a monitor esattamente i colori che abbiamo impostato. Oggi le tecnologie di proofing su monitor esistono e sono molto accurate, anche nelle applicazioni più comuni (Photoshop, InDesign, XPress) e consentono di avere un’anteprima sull’aspetto che avrà il nostro lavoro una volta che sarà stato stampato. Parallelamente è possibile creare una prova colore su carta, con una normale stampante a getto d’inchiostro. Se i profili sono corretti, soft proof (prova colori su monitor) e hard proof (prova colori su carta) danno risultati molti affidabili.

Il terzo passo riguarda invece il rapporto con lo stampatore. Quando si consegna un lavoro per la stampa, un PDF per esempio, nel file deve essere incorporato il profilo che abbiamo usato come riferimento, per esempio il profilo ISO coated. A quel punto noi abbiamo fatto tutto quello che dovevamo fare, cioè abbiamo consegnato allo stampatore un lavoro con le indicazioni precise di come dovrà essere stampato, cioè di come dovranno apparire i colori. Da parte nostra non ci sono ambiguità, e se sfortunatamente dovessimo contestare il lavoro, l’arbitro che dovrà decidere non potrà ignorare che i dati necessari c’erano tutti, ed anzi erano conformi ad una norma internazionale ISO. Spetta allo stampatore utilizzare le informazioni per fare in modo che la sua macchina produca i colori richiesti, entro una tolleranza ragionevole. In fin dei conti è esattamente il suo lavoro.

Siamo nel 2006, e oggi usare i profili colore significa fornire tutte le indicazioni necessarie a stampare il colore come vogliamo noi, i clienti dello stampatore. Il quale naturalmente dovrebbe fare la sua parte, cioè dovrebbe (a) creare e fornire ai suoi clienti i profili delle proprie macchine e (b) utilizzare i profili contenuti nei lavori che i clienti portano a stampare. E’ vero, pochi stampatori (in Italia) oggi lo fanno. E’ il cliente che deve stimolarlo e fagli le due fatidiche domande: la prima è “mi puoi fornire i profili delle tue macchine da stampa?” e la seconda “se ti porto un PDF con il profilo, il tuo sistema è in grado di utilizzarlo?”. Se le risposte sono sì, bene. Altrimenti meglio cambiare stampatore, uno che accetta i profili lo troveremo.

 

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Mauro Boscarol

8/1/2018 alle 18:32

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