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Il blog di Mauro Boscarol sulla gestione digitale del colore dal 1998

Nella serie

RGB e CMYK, due modelli di colore

Articolo pubblicato nel numero 6/2006 di Print Buyer.

 

Quando si parla di RGB e CMYK (e anche di Lab se è per questo) si parla di numeri che dovrebbero rappresentare colori. La principale differenza tra questi sistemi di numeri (o “modelli di colore”, ma in realtà si tratta di numeri) è che alcuni (Lab) rappresentano precisamente il colore, come i numeri di latitudini e longitudine rappresentano precisamente posizioni sulla terra; altri (RGB e CMYK) rappresentano il colore in modo approssimato, non sufficientemente preciso per la stampa.

RGB e CMYK infatti sono modelli di colore che dipendono dalla periferica (rispettivamente monitor e macchina da stampa, o stampante). Detto semplicemente questo significa due cose:

  • gli stessi numeri RGB producono colori diversi su monitor diversi; gli stessi numeri CMYK producono colori diversi su stampanti o macchine da stampa diverse;
  • per produrre lo stesso colore su monitor diversi è necessario usare numeri RGB diversi; per produrre lo stesso colore su macchine da stampa o stampanti è necessario usare numeri CMYK diversi.

Di conseguenza i problemi da risolvere sono:

  • se abbiamo dei numeri RGB, come possiamo sapere a quale monitor si riferiscono? se abbiamo dei numeri CMYK, come possiamo sapere a quale macchina da stampa o stampante si riferiscono? In altre parole, cosa significa 100C 0M 0Y 0K? Più o meno è un azzurro, ma precisamente quale azzurro? L’azzurro di una Heidelberg SM 52, o di una Komori SP 40? O di una HP DesignJet 5000, o di una Epson 7000?
  • come possiamo sapere quali numeri spedire ad una macchina da stampa o stampante per ottenere un certo colore? in altre parole, se sappiamo esattamente quale ciano vogliamo ottenere, come facciamo a sapere quali percentuali CMYK dobbiamo spedire alla Canon W8400?

Le risposte a questi problemi sono fornite da una tecnologia che ha circa 15 anni e che si chiama “gestione digitale del colore”. Questa tecnologia utilizza i cosiddetti “profili” che consentono di eliminare l’ambiguità dai numeri RGB e CMYK, assegnando a tali numeri un preciso (non approssimato) significato di colore.

Sistemato questo aspetto, relativo al fatto che RGB e CMYK sono entrambi metodi approssimati di rappresentazione del colore, ed entrambi necessitano di una rappresentazione più precisa (ottenibile mediante i profili), c’è un altro aspetto da considerare: meglio usare RGB o CMYK per rappresentare i colori nei lavori che diamo da stampare ad uno stampatore?

Il dibattito se lavorare in RGB o in CMYK è stato argomento di innumerevoli articoli (su riviste), mail (su mailing list), messaggi (su forum), libri.

Chi sostiene che bisogna lavorare in CMYK lo fa avanzando queste ragioni:

  • in stampa l’unico sistema che conta è CMYK;
  • in stampa RGB è un sistema senza senso;
  • le percentuali di ciano, magenta, giallo e nero sono le sole cosa che contano;
  • è assurdo lavorare in RGB se poi bisogna passare a CMYK.

Devo ammettere che ognuna di questa affermazioni ha un fondo di verità, ma è la filosofia nel suo complesso che è fallace. E anche se in pratica oggi si lavora quasi sempre in CMYK, gli esperti sottolineano che nel flusso di lavoro è importante conservare i dati RGB quanto più è possibile, e fare la separazione in CMYK il più tardi possibile.

Le principali ragioni sono queste:

  • durante la conversione da RGB a CMYK vengono perse delle informazioni di colore sull’immagine, rendendo la correzione tonale (cioè della luminosità) e cromatica molto più difficoltosa;
  • uno spazio CMYK ha meno colori di uno spazio RGB (cioè ha un gamut più limitato di colori);
  • la separazione in CMYK deve essere fatta per una specifica condizione di stampa (macchina da stampa, inchiostro, carta, retino, quantità di inchiostro nero, ecc.); se l’immagine deve essere stampata con macchine diverse, usare CMYK significa mettersi in un vicolo cieco. La stessa cosa se l’immagine dovrà essere usata per il multimedia (web, CD-ROM);
  • è molto più problematico fare una prova di stampa con un file CMYK perché l’immagine è stata separata per una specifica condizione di stampa e non per la prova di stampa;
  • la dimensione del file aumenta di un terzo: in RGB ci sono tre canali, in CMYK ce ne sono quattro;
  • diversi comandi di Photoshop (alcuni filtri, visualizzazione del nero nei livelli, ecc.) funzionano solo su immagini RGB e non funzionano su immagini CMYK;
  • il lavoro di correzione colore è più semplice in RGB.

La cosa più importante è forse il fatto che le correzioni colore in RGB funzionano bene mentre in CMYK, semplicemente, non funzionano o comunque sono molto più delicate.

Se fate scansioni di immagini, fatele fare sempre in RGB, non in CMYK. Se siete fotografi, scattate in RGB (non c’è verso di fare altrimenti), fate le correzioni colore in RGB e mantenete le immagini in RGB. Se lavorate con una fotolito e volete file utilizzabili per scopi diversi, insistete e chiedete RGB. Avrete così un file più flessibile, da usare diverse volte per scopi diversi (diversi tipi di stampa, multimedia, online) con diverse separazioni in CMYK.

Naturalmente a un certo punto sarà necessario convertire in CMYK, ma è meglio farlo il più tardi possibile: nel sistema di workflow di prestampa (Prinergy, Apogee, Brisque, …), oppure nella creazione del PDF, oppure dall’applicazione di impaginazione (InDesign, XPress, …). Fino a quel momento mantenete le immagini in RGB, magari dando un’occhiata ad una finestra di soft proof che le migliori applicazioni consentono di aprire.

 

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Mauro Boscarol

8/1/2018 alle 18:28

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