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Il blog di Mauro Boscarol sulla gestione digitale del colore dal 1998

Nella serie Storia della sensazione del colore

Keplero descrive definitivamente il processo della visione umana


Biografia

Johannes Kepler (1571-1630, latinizzato Ioannes Keplerus, Ioanne Keplero e italianizzato Giovanni Keplero) nasce in un piccolo paese, Weil (oggi Weil der Stadt),  30 chilometri a ovest di Stoccarda, il 27 dicembre 1571 da una famiglia luterana. Quando Johannes ha quattro anni, il padre si arruola nell’esercito e la madre lo segue, così che il piccolo viene affidato a nonni e zii fino a quando, a 13 anni, entra in un seminario luterano. Poi viene iscritto al Tübinger Stift una scuola della chiesa evangelica a Tubinga, 40 chilometri a sud di Stoccarda, dove nel 1591 ottiene il titolo di Magister Artium con buoni voti e passa alla facoltà di teologia dell’Università. Tra gli insegnanti di Tubinga c’è il matematico e astronomo Michael Mästlin (1550-1631) che era un convinto copernicano e metteva in discussione l’aristotelismo e il sistema tolemaico. Keplero resterà in contatto con Mästlin per tutta la sua vita.

Nel 1593, in Stiria, regione sudorientale dell’Austria a popolazione prevalentemente luterana ma governata da un cattolico, quindi con due distinte scuole per i due gruppi religiosi, moriva Georg Stadius (1550-1593) che pur non avendone la nomina ufficiale svolgeva l’incarico di Mathematicus degli stati. Come era d’uso, i maggiorenti di Stiria si rivolsero all’università di Tubinga per ottenere un sostituto, e il senato dell’università propose Keplero, ventiduenne studente di teologia non ancora addottorato che frequentava l’università grazie ad una borsa di studio concessagli dai cittadini della sua città natale. Molti storici concordano sul fatto che il senato dell’università volesse liberarsi di quell’aspirante pastore che sosteneva in pubblico le idee di Copernico rifiutate dalle autorità religiose luterane.

In quel periodo sovrano d’Austria era il cattolico Rodolfo V della dinastia degli Asburgo, che era anche imperatore del Sacro Romano Impero con il nome di Rodolfo II.

Così Keplero il 23 marzo del 1594 parte da Tubinga per recarsi a Graz, la sede del suo incarico, distante circa 600 chilometri. Con mezzi di fortuna raggiunge la destinazione l’11 aprile.

In quel periodo il danese Tycho Brahe, il più grande astronomo del tempo, era stato nominato dall’imperatore Rodolfo II matematico della corte imperiale (matematico allora significava astronomo) e poco dopo aveva invitato Keplero a fargli visita nel suo “laboratorio” in un castello a Benatek vicino a Praga. Tycho Brahe non era copernicano, ma aveva ipotizzato un sistema in cui sole e luna ruotavano intorno alla terra e gli altri pianeti intorno al sole. Nel corso della sua vita aveva raccolto una immensa quantità di dati astronomici rilevati a occhio nudo (a quei tempi non era ancora stato inventato il telescopio). Keplero restò affascinato dalla astronomia di Tycho.

Tycho Brahe muore il 24 ottobre 1601 e poco dopo Keplero  viene nominato dall’imperatore “Sua Cæsarea Maiestatis Mathematico”. Keplero prende così possesso del castello e delle carte di Tycho. Il compito principale del matematico imperiale era preparare le configurazioni astronomiche sulla base delle quale scrivere gli oroscopi e compilare i calendari per l’imperatore.

Nel 1612 l’imperatore Rodolfo II muore e Keplero si trasferisce a Linz, che aveva preferito a Padova, dove era stato raccomandato da Galileo. Nel 1613, dopo la morte della prima moglie, Keplero si risposa. Nel 1617 la madre di Keplero, che aveva 71 anni, viene accusata di stregoneria, imprigionata per 14 mesi e infine assolta grazie anche al supporto legale fornito dal figlio.

Nel 1623 Keplero termina quella che sarebbe stata la sua ultima opera le Tabulae Rudolphinæ, un catalogo di stelle e tavole planetarie, compilato a partire dai dati di Tycho Brahe, “Rudolphinæ” perché erano scritte in memoria dell’imperatore Rodolfo II, che era stato il protettore di Keplero durante gli 11 anni di Praga che erano stati i più produttivi della sua vita. Le tavole vennero però stampate  solo nel 1627 e a sue spese, dopo che Keplero si era allontanato da Linz e trasferito a Ulm.

Imperatori del Sacro Romano Impero durante la vita di Keplero (tutti della casa Asburgo)
1564-1576 Massimiliano II
1576-1612 Rodolfo II
1612-1619 Mattia
11612-1637 Ferdinando II

Nel 1628 diventa consigliere di Albrecht von Wallenstein, comandante dell’esercito dell’imperatore Ferdinando e passa molto del suo tempo tra Praga, Linz, Ulm, Sagan e Regensburg dove muore il 16 novembre 1630.


L’ottica moderna

Al tempo di Keplero fisica e astronomia erano discipline distinte: la fisica faceva parte delle scienze della natura, l’astronomia apparteneva alla matematica. L’astronomia non conosceva ancora il telescopio (inventato durante la vita di Keplero, all’inizio del XVII secolo) e tutte le osservazioni erano fatto a vista, ad occhio nudo. Da Galileo in poi le osservazioni vengono fatte con il telescopio, ma si tratta sempre delle radiazioni visibili. Solo dalla metà dell’Ottocento inizieranno le rilevazioni di radiazioni non visibili (infrarosso, ultravioletto, radio, raggi X, raggi gamma).

Dopo aver osservato nell’estate del 1600 l’eclissi di sole a Graz e misurato accuratamente il diametro della Luna, Keplero si rende conto dell’importanza che il fenomeno poteva assumere in riferimento alla precisione nelle osservazioni, e avvia una ricerca sulle eclissi recenti e passate, riscontrando un buon numero di discordanze che non si potevano attribuire semplicemente a errori di osservazione. Il risultato di queste ricerche è raccolto nel suo primo trattato di ottica Ad Vitellionem Paralipomena, Quibus Astronomiæ Pars Optica Traditur (Aggiunte a Witelo, con le quali viene trattata la parte ottica dell’astronomia) che lo stesso Keplero chiama semplicemente “Optica”.

Terminato nel 1603, pubblicato a Francoforte e presentato all’imperatore  nel 1604, l’opera rappresenta l’atto di nascita della moderna ottica fisica e geometrica. In essa compaiono per la prima volta il termine “fuoco” con relative spiegazioni, la legge sulla rifrazione della luce, che, pur non completamente corretta, già si avvicina molto alla realtà. Il Vitellio citato nel titolo è il monaco polacco Erazmus Ciolek Witelo, vissuto circa quattro secoli prima, autore di una Perspectiva basata sul lavoro dell’arabo Alhacen, vissuto attorno al 1000.

Verso la fine del 1609 Galileo costruisce il suo primo cannocchiale.  Questo era noto da tempo, ma l’idea di Galileo fu di osservare il cielo. Gli oggetti celesti venivano ingranditi fino a trenta volte e questo spostava le dimensioni dello spazio celeste. I satelliti di Giove, le montagne della Luna, le stelle invisibili ad occhio nudo, e più tardi le macchie solari, misero definitivamente fine all’incorruttibilità e immutabilità aristotelica dei cieli. Il dodici marzo del 1610 a Venezia fu terminata la stampa del suo Sidereus Nuncius, in cui Galileo rendeva note le sue scoperte astronomiche fatte attraverso il telescopio. Era un capolavoro divulgativo che si leggeva in poche ore, ben lontano dagli analitici e introspettivi trattati di Keplero.

La prima reazione alla notizia delle scoperte galileane da parte degli ambienti aristotelici e tolemaici fu inevitabilmente negativa. In effetti lo strumento di Galileo era un oggetto rudimentale il cui uso richiedeva una pratica che quasi nessuno possedeva; quindi furono in molti a dichiarare che il cannocchiale non permetteva di vedere nulla, e alcuni filosofi addirittura si rifiutarono di porre l’occhio all’oculare dello strumento.

Nell’aprile 1610, ad un pranzo tra notabili a Praga, un amico di Galileo, Martin Hasdale, riceve da Mark Wesler, banchiere dei gesuiti, una copia del Nuncius, con il suggerimento di chiedere l’opinione di Keplero. Nello stesso mese Giuliano de’ Medici, ambasciatore toscano alla corte imperiale, chiese formalmente a Keplero di mettere per iscritto la sua opinione non come amico di Galileo, ma con assoluta franchezza.

Questi chiese notizie per lettera a Georg Fugger, ambasciatore imperiale presso la Repubblica Serenissima, il quale il 16 aprile rispose che il testo era “privo di interesse” ed estraneo alla filosofia, e che Galileo era dedito a rubare le invenzioni degli altri; perciò non si era preoccupato di informare l’imperatore.

Dopo una rapida lettura del Nuncius, Keplero scrisse immediatamente un commento favorevole sotto forma di lettera e la consegnò al corriere che doveva partire per l’Italia. La Dissertatio cum nuncio sidereo, scritto con un linguaggio alquanto spontaneo, fu rapidamente stampato in tutta Europa e fu uno dei pochissimi scritti a sostegno delle nuove scoperte, anche se Keplero rivendicava la priorità del suo Optica e riferiva degli studi del Della Porta.

Benché iniziasse con un aperto rimprovero a Galileo per il mancato riconoscimento dei precedenti trattati sull’ottica, la Dissertatio accettava senza riserve le nuove scoperte, nonostante l’autore non le avesse verificate personalmente. Diversi personaggi tuttavia cercarono di interpretare negativamente i discorsi contenuti nell’opuscolo, ma lo stesso Galileo in una lettera al Salviati, confermava il sostegno datogli da Keplero. Essendo Keplero “Mathematicus Imperiale” la sua autorità aveva un peso rilevante, e Galileo lo sapeva, ma non per questo si affrettò a ringraziarlo, al momento era impegnato a difendersi da personaggi “sicuri” che lui non avesse  visto niente.

Pressato da più parti per aver confermato le osservazioni di Galileo senza averle verificate personalmente, Keplero il 9 agosto scrisse allo stesso chiedendo un cannocchiale, e pregandolo di comunicargli il nome di qualche testimone delle sue osservazioni. Il 19 agosto Galileo rispose citando come testimone delle sue scoperte niente meno che il granduca, ma niente strumento; Galileo era immerso nelle accese polemiche provocate dalle sue scoperte, al momento si stava trasferendo a Firenze a seguito della sua nomina a matematico del granduca.

Fortunatamente alla fine di agosto era giunto a Praga l’elettore Ernst di Colonia, in possesso di uno degli strumenti di Galileo, che prestò a Keplero per una decina di giorni. Questi radunò diversi amici e conoscenti facendo loro osservare il cielo attraverso il cannocchiale, e chiedendo ad ognuno di disegnare su di una tavoletta ciò che vedeva.

Finalmente le osservazioni di Galileo poterono essere indiscutibilmente confermate dal “Mathematicus Imperiale”, e Keplero pubblicò la Narratio de Jovis satellitibus, una relazione delle sue osservazioni, in cui compare per la prima volta il termine “satellite” per indicare gli oggetti celesti che ruotano attorno ai pianeti. Per lui la discussione era chiusa!

Galileo  però non diceva nulla sulle proprietà matematiche delle lenti e sulla teoria ottica del funzionamento del telescopio. E anche in seguito non sviluppò mai una teoria matematica dello strumento. Fino ad allora le lenti erano considerate una curiosità da baraccone, in quanto alteravano la visione della realtà, quindi non esisteva una spiegazione tecnica del funzionamento del cannocchiale.

Forte del suo Paralipomena che aveva ricordato anche nella Dissertatio, in breve tempo scrisse un trattato di ottica con il quale intendeva colmare la lacuna, fornendo una teoria ottica delle lenti e dello strumento di Galileo: Dioptrice dal nome di uno strumento usato per misurare la posizione delle stelle, la “diottra”. Questo trattato segna la nascita dell’ottica scientifica.

[Franco Giudice Lo spettro di Newton Donzelli 2009]


Il processo della visione nell’occhio umano

Ad Vitellionem Paralipomena  non è solo un testo di ottica nel senso moderno (cioè come disciplina della fisica), ma anche uno studio fisiologico sull’occhio, in cui per la prima volta si descrive la funzionalità della retina e si paragona l’occhio alla camera oscura.

Soprattutto nel capitolo 5 De modo visionis Keplero discute in dettaglio l’anatomia dell’occhio e descrive il ruolo del cristallino nel meccanismo della visione nell’occhio umano basandosi sull’opera di Alhacen annotata da Vitellio.

Keplero è d’accordo con questi autori sul fatto che ogni punto di un oggetto emette luce e viene riprodotto come un singolo punto nell’occhio. Ma non è d’accordo sul fatto che il raggio di luce debba incidere sulla cornea perpendicolarmente per poter avere influenza sulla visione. Per Keplero tutti i raggi di luce emessi da un punto di un oggetto contribuiscono alla visione, ma allora devono convergere in un singolo punto. Formula quindi l’ipotesi che il cristallino giochi un ruolo fondamentale nella visione, consentendo ai raggi di luce di focalizzarsi all’interno della cavità orbitale.

Mediante sfere riempite di liquido determina sperimentalmente che i raggi convergono abbastanza bene se entrano da una piccola apertura. Nell’occhio questa apertura è la pupilla, mentre il cristallino è adatto a far convergere i raggi in un singolo punto della retina, sulla quale si forma l’immagine. Parla dell’immagine retinale come di una pictura che se fosse una reale immagine ottica, dovrebbe essere riflessa sia in orizzontale che in verticale.

Keplero cita il trattato Magia Naturalis di Della Porta (vivente quando il libro di Keplero viene pubblicato) e riprende in parte (senza citarlo) il lavoro con cui l’abate Francesco Maurolico di Messina (vissuto circa un secolo prima e che a sua volta si basava su Alhacen) spiegava il funzionamento dell’occhio umano e di come le immagini vengono focalizzate sulla retina attraverso il cristallino.

Quello che poi succede oltre la retina e i nervi ottici, Keplero lo considera un argomento che compete ai fisiologi (physicis), non più agli studiosi di ottica quale lui è. Pone però una importante domanda: vediamo con il cervello o vediamo con gli occhi?

Da Alhacen in poi il fatto che l’immagine retinale sia invertita (cioè riflessa sia orizzontalmente che verticalmente) era causa di grave imbarazzo e creava un problema. Keplero non lo considera un problema perché, come correttamente spiega, l’azione della luce sulla retina e la percezione che ne segue sono due cose separate.

Il fatto che l’immagine retinale fosse effettivamente invertita fu confermato dalla dissezione dell’occhio di bue, condotta abilmente qualche anno dopo dal gesuita tedesco Christoph Scheiner (1573-1650). Il suo libro Oculus hoc est: Fundamentum opticum venne pubblicato a Innsbruck nel 1619.


Conclusioni

Nella storiografia moderna Keplero è classificato come l’ultimo scienziato del Medio Evo, l’ultimo degli “arcaici”, con un piede nella superstizione e astrologia e l’altro nella modernità e nella scienza.

Ha vissuto in un’epoca in cui ancora l’astronomia si studiava per fare oroscopi e previsioni. Aveva una madre erborista che era considerata strega, e fu salvata dal rogo per l’intervento del figlio. Aveva pubblicato a Tubinga nel 1596 Mysterium Cosmographicum dove la teoria copernicana viene rappresentata con un sistema di 5 poliedri platonici che avrebbero dovuto segnare la geometria dell’universo, un’opera che mostra l’influsso su Keplero di una mistica pitagorico-platonica dei numeri che è una componente essenziale del suo pensiero. Nel De Fundamentis astrologiae certioribus (pubblicato a Praga nel 1602) dichiarava di voler purificare e preservare la verità contenuta nell’astrologia. In De Stella Nova (1606) descrive l’analogia tra una stella apparsa nel settembre del 1604 e la stella dei Re Magi, e da questa analogia prevede che gli indiani d’America sarebbero stati convertiti, che ci sarebbe stata una migrazione verso il Nuovo Mondo e che l’Islam sarebbe caduto.

Ma è stato anche e soprattutto uno dei precursori della scienza moderna. Ha gettato le basi per l’ottica scientifica e per lo studio moderno della fisiologia del sistema visivo. È sempre stato un copernicano e ha difeso Galileo, anche quando era pericoloso farlo. Come ha scritto Albert Einstein nella Introduzione a Johannes Kepler: Life and Letters,

Egli ha dovuto liberare se stesso, nella ricerca scientifica, da un modo di pensare animistico e teleologicamente orientato. Ha dovuto comprendere chiaramente che la teorizzazione logico-matematica, non importa quanto lucida, non può garantire per se stessa la verità; che la più meravigliosa teoria logica non ha nessun significato nelle scienze naturali senza il confronto con la più esatta esperienza.


Opere di Keplero

  • 1596 Mysterium cosmographicum [Prodromus dissertationum continens mysterium cosmographicum de admirabili proportione orbium coelestium, teoria copernicana con solidi platonici]
  • 1601 De Fundamentis Astrologiae Certioribus [verità dell’astrologia]
  • 1604 Ad Vitellionem Paralipomena, quibus astronomiae pars optica traditur Google eBooks [aggiunte alla perspectiva di Witelo]; traduzione in inglese di William H. Donahue Optics Green Lion Press 2000
  • 1606 De Stella nova in pede Serpentarii [analogia con la stessa dei re Magi]
  • 1609 Astronomia nova [Astronomia nova seu physica coelestis tradita commentariis de motibus stellae Martis ex observationibus G. V. Tychonis Brahe, 1ª e 2ª legge del moto dei pianeti]
  • 1610 Dissertatio cum Nuncio Sidereo [in risposta e a sostegno delle scoperte di Galileo]
  • 1611 Dioptrice [Paralipomena con l’aggiunta della teoria delle lenti]
  • 1615 Nova stereometria doliorum vinariorum
  • 1618 Epitome astronomiae copernicanae
  • 1619 Harmonices Mundi libri V [3ª legge del moto dei pianeti]
  • 1627 Tabulae Rudolphinae


Riferimenti

Carola Baumgardt Johannes Kepler: Life and Letters, with an Introduction by Albert Einstein, Gollancz 1952

 

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Mauro Boscarol

24/5/2012 alle 02:16

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