colore digitale blog

Il blog di Mauro Boscarol sulla gestione digitale del colore dal 1998

Nella serie Storia della sensazione del colore

2.1.7 Visione e colore nel neoplatonismo

Plotino
La dottrina metafisica dell’emanazione
Le due luci neoplatoniche
Il colore è materia illuminata
La visione
Neoplatonici dell’occidente latino (Calcidio, Boezio)
L’eredità greca nel campo della visione
Ascesa del cristianesimo e caduta dell’impero romano
Le traduzioni delle opere greche in siriaco e in arabo

Nel 27 a.C. Augusto fonda l’impero romano e qualche anno dopo probabilmente a Betlemme, nel protettorato romano della Giudea, nasce Gesù (ca 7 a.C.-30 d.C.) detto il Cristo. Dalla sua predicazione origina il cristianesimo che ha radici nella religione ebraica e inizia lentamente a diffondersi verso il più ampio mondo romano che lo circonda, soprattutto in Grecia, con i viaggi di predicazione di Paolo di Tarso (ca 10-67).

Nel II e III secolo inizia una sistematica persecuzione dei cristiani, favorita anche da guerre interne, crisi economiche, invasioni barbariche. All’interno dei confini dell’impero romano gli ebrei sono tollerati ed integrati nella popolazione pagana, mentre conflitti sempre più violenti contrappongono pagani e cristiani. L’espansione del cristianesimo è lenta e solo verso la fine del III secolo il cristianesimo è presente in tutto l’impero romano. Ciò gli ha comunque permesso di adeguarsi al mondo pagano che lo circonda e di prepararsi ad avere un ruolo importante non solo nel campo della fede ma anche in quello filosofico e scientifico.1

I padri fondatori del cristianesimo, come Tertulliano (ca 155-222) e Lattanzio (ca 260-340), guardavano con sospetto alla filosofia e alla scienza pagana ed erano contrari all’osservazione dei fenomeni, perché consideravano il mondo una infima creazione di Dio e i fenomeni mondani meno degni di studio delle cose della religione. Altri più tolleranti, come Basilio (329-379) e Gregorio Nazianzeno (ca 329-390), accetteranno le conclusioni scientifiche non in contrasto con la Sacra Scrittura, e allora la scienza diventerà un insieme di conclusioni acquisite che confermano l’opera del Creatore.

Nel frattempo, a partire dal III secolo, i diversi pensieri filosofici pagani (stoico, platonico, aristotelico, epicureo) erano rapidamente confluiti in una nuova filosofia, il neoplatonismo, che diventerà la forma filosofica finale del pensiero greco e rimarrà predominante fino al IV secolo quando diventerà un serio rivale per il cristianesimo.

A Roma la scuola neoplatonica faceva capo a Plotino (204-270), cittadino romano di lingua greca. Oltre a quella di Roma, altre scuole neoplatoniche erano presenti ad Alessandria (prima con Ammonio Sacca nel III secolo, poi con Ipazia nel V secolo), ad Atene (la vecchia Accademia di Platone con Plutarco e Proclo, chiusa da Giustiniano nel 529), a Pergamo (con Edesio nel IV secolo) e in Siria (con Giamblico nel IV secolo).

Plotino

Plotino è stato l’ultimo grande filosofo pagano di cultura ellenistica, vissuto al tramonto dell’impero romano e nel momento in cui il pensiero cristiano iniziava a diffondersi. Per molti è secondo solo a Platone e Aristotele mentre per altri è “nuovo e personale solo nell’assimilazione e nella discussione di dottrine altrui”.2

Nato a Licopoli (oggi Asyūt) sulla riva sinistra del Nilo, quando l’Egitto era una provincia romana e l’imperatore era Settimio Severo (regnò dal 193 al 211), Plotino si trasferisce ad Alessandria nel 232 ed entra nel circolo del filosofo Ammonio Sacca (175-242), considerato l’iniziatore del neoplatonismo. Dopo undici anni di studi Plotino si unisce all’esercito dell’imperatore Gordiano III (regnò dal 238 al 244) impegnato ad arginare i Sasanidi al di là del confine dell’Eufrate. La spedizione non ha successo e Gordiano III muore in battaglia (o forse assassinato dal suo successore).3 Nel 244 Plotino si trasferisce a Roma dove rapidamente guadagna il rispetto di numerosi nobili, senatori e anche dello stesso imperatore Gallieno (regnò dal 253 al 268). La sua scuola neoplatonica diventa presto la principale scuola filosofica dell’età imperiale romana soppiantando lo stoicismo e l’aristotelismo. Plotino muore nel 270 a Minturno (oggi nel Lazio meridionale) dove si era trasferito negli ultimi anni della sua vita. Plotino aveva assegnato la sistemazione dei propri scritti ad uno dei suoi allievi, Porfirio di Tiro (ca 234-305), che li riordinò in sei gruppi, ciascuno di nove (in greco ennea) trattati.4 Le Enneadi sono state pubblicate postume e verranno tradotte in latino nel 1484 da Marsilio Ficino.

La filosofia di Plotino utilizza il residuo patrimonio classico adattandolo con elementi mistici orientali per reggere la concorrenza del cristianesimo e nella sua prosa, oltre ad alludere a dottrine platoniche, peripatetiche, stoiche, inserisce anche osservazioni geometriche, fisiche, meccaniche, musicali.

I padri della chiesa cristiana, nell’elaborazione della loro filosofia (la Patristica) faranno propri molti dei temi del neoplatonismo di Plotino che riuscirà ad avere grande diffusione in ambito cristiano soprattutto per opera di Ambrogio (339-397) arcivescovo di Milano, attorno al quale verso la fine del IV secolo si era formato un circolo intellettuale. Venendo in contatto con questo circolo anche Agostino (354-430) conobbe il pensiero neoplatonico, determinante per il suo allontanamento dal manicheismo.5

La dottrina metafisica dell’emanazione

Plotino sviluppa un complesso sistema metafisico secondo il quale l’origine della molteplicità di tutti gli esseri è Dio e tutto l’universo è emanazione che procede da lui. Da Dio emana lo spirito (cioè l’intelletto, la sede delle idee platoniche), e da questo emana l’anima del mondo e successivamente le anime individuali (forme intelligibili) e infine la materia (l’universo fisico sensibile, l’estremo limite).6 Plotino stesso usa diverse figure metaforiche per descrivere il proprio sistema.

La prima metafora di questa dottrina dell’emanazione di tutti gli esseri da Dio è la luce visibile che irradia da un corpo autoluminoso in forma di sfere successive che aumentano sempre di raggio mentre diminuiscono di luminosità. Il corpo autoluminoso invece non impoverisce a seguito dell’irradiamento. L’emanazione si ripete anche ai livelli più bassi dell’essere e qui Plotino usa altre metafore rimaste famose:

Tutti gli esseri, finché esistono, producono necessariamente dalla loro sostanza, in virtù del potere che è in loro, una realtà distinta che li circonda, all’esterno, ed è da loro dipendente, immagine, per così dire, degli archetipi da cui ha avuto origine. Il fuoco produce il calore che viene da esso, e la neve non trattiene soltanto in sé il freddo. Ma la migliore testimonianza di quest’attività è offerta dalle cose che hanno un profumo: finché esistono, qualcosa si diffonde da loro tutt’intorno, e ciò che si trova lì vicino beneficia della loro esistenza.
[Plotino Enneadi] V, 1, 6

Insomma tutto ciò che esiste produce una immagine di sé che viene emanata at­torno a sé stesso, così come fa il fuoco che produce calore, la neve che genera freddo, un oggetto che sparge il proprio profumo. Ma l’esempio di emanazione più accessibile ai sensi è quello della luce visibile.

Le due luci neoplatoniche

Studi recenti hanno dimostrato la grande influenza del pensiero neoplatonico sulla perspectiva (cioè l’ottica) della Scolastica fino a Keplero. In particolare è stato provato che il concetto di luce della perspectiva deriva da quello neoplatonico con la mediazione degli arabi.7

Per definire la natura della luce visibile Plotino usa il concetto aristotelico di atto o attività (energeia), ma lo specializza in due stadi: c’è una prima attività del corpo luminoso in sé stesso, alla quale segue una seconda attività del corpo luminoso che esce e si dirige al di fuori di sé, in grado di irradiarsi nell’intorno:

c’è nel corpo luminoso una attualizzazione, un tipo di vita che è più intensa, un principio e una sorgente di attività rivolta all’esterno; oltre i limiti del corpo luminoso esiste una seconda attualizzazione caratteristica di questo corpo e che non si separa mai dal corpo. Ogni essere ha una attualizzazione che è la sua immagine e finché esso esiste anche questa attualizzazione esiste.
[Plotino Enneadi] IV, 5, 7

Il fuoco che sta in un corpo luminoso è quella variante di fuoco che Platone chiama luce e si tratta della forma, dell’attività, del corpo autoluminoso.8 Questa luce essendo una forma è incorporea come tutte le forme, ma “partecipa” della corporeità del corpo luminoso, e in questo senso ha una corporeità derivata, come accade anche per la luce aristotelica.9 Poi c’è un’altra luce che è una seconda attività del corpo luminoso, questa volta al di fuori di sé. Questa seconda luce è immagine della prima, irradia sfericamente dal corpo autoluminoso ed è una attività della prima luce, quindi incorporea.

Ma questa [prima] luce è corpo, e da essa si irradia qualcosa [la seconda] che ha lo stesso nome di luce e che noi diciamo essere senza dubbio incorporea. Questa è data da quella prima luce, sfolgorante proprio come il fiore e lo splendore…
[Plotino Enneadi ] II, 1, 7

Al contrario di Aristotele che considerava la (seconda) luce necessariamente ospitata in un corpo con la qualità della trasparenza (cioè un medium), per Plotino la (seconda) luce è attività e in quanto tale non è necessario un corpo per ospitarla.

Se si tratta soltando di una qualità, e la qualità è sempre di qualcosa, allora, poiché ogni qualità è in un sostrato, anche per la luce sarà necessario cercare il corpo in cui si trovi. Ma se la luce è l’attività di qualcosa, per quale ragione, se manca un corpo contiguo e in mezzo c’è, diciamo, il vuoto (ammesso che ciò sia possibile) essa non dovebbe esistere e raggiungere anche ciò che si trova oltre il vuoto? …per quale ragione non dovrebbe attraversare lo spazio senza essere trasportata da qualcos’altro?
[Plotino Enneadi] IV, 5, 6

L’idea che esistano due tipi di luce (quella del corpo luminoso e quella diffusa dal corpo luminoso) verrà ripresa da Avicenna e approfondita da Grosseteste e Alberto Magno. Plotino scrive in greco e usa una sola parola per la luce (fos), ma nella letteratura scolastica medievale, dalla metà del XII secolo fino a Cartesio, le due luci verranno indicate rispettivamente con le parole latine lux e lumen in tutte le discipline: quella scientifica, quella filosofica e quella teologica.10 Ancora oggi nella chiesa cattolica la parola lux è costantemente associata alla persona divina, è la luce divina. La luce che promana dal sole è la luce della fede, una lux derivata, un lumen che non ha il potere della lux. 11

La divisione non ha però avuto sempre lo stesso significato. Se in Plotino separa la luce del corpo luminoso da quella diffusa dal corpo luminoso, successivamente distinguerà talvolta la luce fisica dalla luce dell’ottica geometrica, altre volte la luce spirituale dalla luce sensibile, altre volte ancora la luce platonica da quella aristotelica o la luce fisica da quella psicologica.

Il colore è materia illuminata

Al di sotto del mondo incorporeo e intelligibile (Dio, lo spirito e l’anima) si estende il mondo del corporeo e del sensibile, l’universo fisico, il cui elemento caratteristico è la materia sensibile. La materia sensibile è l’ultima tappa del processo di emanazione, indebolito fino al suo completo esaurimento.

La materia come punto più basso dell’emanazione di Dio, è il ricettacolo delle forme corporee immanenti, come il colore, la forma, la dimensione. Gli oggetti fisici, i corpi, sono composti di materia e di queste forme immanenti. VI 3(44).15

Discutendo la bellezza nella prima enneade Plotino spiega che così come una casa rappresenta il dominio sulla materia da parte della mente di un architetto, il colore risulta dal dominio sulla materia da parte della forma incorporea che chiamiamo luce.

La semplice bellezza del colore deriva da una forma che domina l’oscurità della materia e dalla presenza di una luce incorporea che è la ragione e l’idea.
[Plotino Enneadi] I, 6, 3

In altre parole il colore si forma quando la luce incorporea si mescola alla materia. Da ciò ne deriva che la luce è una condizione perché si crei la bellezzadel colore.

Quando un corpo di questo genere si mescola alla materia, dona il colore; ma la sola attività della luce non dona il colore o piuttosto, per così dire, colora in superficie, poiché appartiene ad altro.
[Plotino Enneadi] IV, 5, 7

La visione

Plotino non ha (o non ha scritto) una teoria generale della percezione ma nel quinto trattato della quarta enneade (IV, 5) si trova una esposizione della visione che non brilla per chiarezza essendo, come spesso, ellittica, complessa, disorganizzata. Ad ogni modo nei primi quattro capitoli il tema principale è se sia necessario un medium come l’aria tra l’occhio e l’oggetto osservato. Plotino discute e critica diverse teorie della visione e attacca coloro (gli atomisti, i platonici e soprattutto gli stoici) che postulano un medium tra l’oggetto e l’occhio perché ritiene che il medium non giochi alcun ruolo. Suggerisce invece che la trasmissione visiva sia effettuata per mezzo di sympatheia (una nozione stoica), anche se non spiega in dettaglio come dovrebbe funzionare questa sympatheia.

Plotino ritiene che l’organo di senso riceva una “forma” o “immagine” dell’oggetto e non, ovviamente, l’oggetto stesso. Per Plotino esiste solo la forma e la materia e l’organo di senso apprende quello che c’è da apprendere, cioè una immagine della forma. L’anima è impassibile ma recettiva delle forme o immagini mediate dall’organo di senso, mediatore tra i livelli materiali e immateriali dell’essere.

Neoplatonici dell’occidente latino (Calcidio, Boezio)

Nei primi quattro secoli dopo Cristo l’unica fonte diretta dell’opera di Platone era un commento di una parte del Timeo di Calcidio (IV secolo), un filosofo neoplatonico, forse cristiano, di cui non si sa nulla, noto solo per questa traduzione, con dedica al vescovo di Cordova, Osio (256-357, che era stato rappresentante imperiale al concilio di Nicea del 325). Una precedente traduzione era stata fatta da Cicerone, ma il commentario di Calcidio, oltre ad avere maggiore diffusione, ebbe un ruolo fondamentale nella formazione dell’uomo medievale e contribuì a stabilire il primato della teoria platonica della visione fino al XII secolo, quando divenne disponibile in latino l’intero corpus della letteratura greca di ottica.

In questo passo del Commentario, Calcidio nomina cinque colori: oltre al bianco e al nero, il giallo, il rosso e il blu:

Il bianco [candidum] e il nero [nigrum] appartengono a un unico genere che chiamiamo colore [color]. Ma essi sono diversissimi tra loro; il bianco infatti differisce pochissimo dal colore che chiamiamo giallo [pallidum], un po’ di più da quello che è detto rosso [rubeum], ancora di più dal blu [cyaneus], ma moltissimo dal nero.
[Calcidio Commentario al Timeo di Platone] CCCXXXIII

Infine va citato il neoplatonico Severino Boezio (480-524) che scrisse in carcere il De consolatione philosophiae (uno dei principali canali per la conoscenza della cultura classica e in particolare della filosofia aristotelica, platonica e neoplatonica, letto da Tommaso e da Dante) secondo il quale il colore non è nient’altro che un accidente materiale.

L’eredità greca nel campo della visione

Ogni singola teoria sulla luce e sulla visione del periodo classico ed ellenistico punta a spiegare qualche aspetto particolare, piuttosto che affrontare tematiche generali che si escludono l’una con l’altra. C’è la teoria dell’emissione di “raggi visuali” da parte dell’occhio che vanno a colpire l’oggetto (Pitagora, Euclide, Tolomeo), poi la teoria delle copie degli oggetti (gli eidola di Democrito, Epicuro, Lucrezio), poi la teoria del “fuoco visuale” di Platone che si fonde con la luce. Un’altra ancora è quella del pneuma (stoici e Galeno) che aggiunge l’idea di uno strato d’aria compressa che lega l’oggetto all’occhio. E infine vi è la teoria di Aristotele secondo la quale la luce è uno stato del medium trasparente. Nessuna di queste teorie ha avuto la prevalenza e in definitiva gli antichi Greci non sono arrivati a formulare una dottrina sistematica per la spiegazione dei fenomeni della luce, della visione e del colore.

Nel loro complesso queste teorie avevano un paio di punti deboli evidenziati da Vasco Ronchi:12

Il primo preconcetto che ritardò e sviò per molto tempo lo sviluppo delle idee fu nel considerare la visione di un corpo come un’operazione globale, unitaria, inscindibile. Un oggetto grande o piccolo che fosse, doveva essere visto nel suo complesso … non è mai espresso il pensiero che il vedere un oggetto potesse essere l’insieme delle operazioni necessarie per vederne le singole parti.

La visione avveniva in un cono o in una piramide che ha il vertice nell’occhio e la base sull’oggetto osservato. Non venivano considerati coni con apertura angolare trascurabile.

Il secondo punto debole sta nel fatto che l’occhio veniva visto come un organo sensibile puntiforme di dimensioni e struttura trascurabile e non veniva indagata la struttura dell’occhio per risalire alle cause della visione.

In qualche modo tuttavia queste varie teorie della visione, o almeno alcune di esse, forniranno le componenti di base, modificando e assemblando le quali, i pensatori successivi (gli arabi e gli europei della Scolastica) riusciranno a costruire teorie più complete e coerenti, fino ad arrivare nel XVII secolo alla teoria definitiva di Keplero e a quella di Newton, ritenute ancor oggi rispettivamente la “corretta” teoria della visione e la “corretta” teoria della luce e del colore.

Ascesa del cristianesimo e caduta dell’impero romano

All’inizio del IV secolo, prima nella parte occidentale e poi in quella orientale dell’impero, le persecuzioni dei cristiani diminuiscono ed infine cessano. Nel corso di questo secolo il cristianesimo, sconfitti i nemici interni ed esterni, si afferma come unico potere religioso dell’Impero. L’artefice di questa affermazione è Costantino (274-337) che nel 306 diventa imperatore, nel 312 è vittorioso a Ponte Milvio nel segno della croce (in hoc signo vinces), nel 313 emana a Milano l’editto di tolleranza che pone fine alle persecuzioni e concede la libertà di culto e nel 325 convoca a Nicea (oggi in Turchia) il primo concilio ecumenico per l’unità della chiesa cristiana.

Nel 380 Teodosio (347-395), ultimo augusto dell’Impero unito, con l’editto di Tessalonica (oggi Salonicco in Grecia) dichiara il cristianesimo unica chiesa, nel 391 rende di fatto il cristianesimo religione di stato, nel 392 emana tre editti contro i culti pagani e li probisce, pena la morte. Nel 395 divide di fatto l’Impero in due parti: quella occidentale con capitale Roma e quella orientale con capitale Costantinopoli (precedentemente Bisanzio e oggi Istanbul in Turchia).

Si impone una nuova teologia politica, fondata sulla supremazia del sacerdozio sul regno e da martiri i cristiani diventano persecutori. Il dissenso religioso è un crimine e i pagani vengono perseguitati. Nel 391 il Serapeo, uno degli edifici della biblioteca di Alessandria, viene distrutto dal vescovo cristiano Teofilo (la Biblioteca verrà definitivamente distrutta nel 642 dai maomettani). I giochi olimpici che si sarebbero dovuti tenere in Grecia nel 393, considerati una festa pagana, vengono annullati (saranno ripresi in versione moderna solo nel 1896). Nel 415 Ipazia, che è alla guida della scuola neoplatonica di Alessandria, viene assassinata da estremisti cristiani arruolati dal vescovo Cirillo (375-444).

Parte del pensiero neoplatonico viene assorbito dal pensiero cristiano soprattutto per opera del vescovo di Milano Ambrogio (334-397) e del vescovo di Ippona Agostino (354-430). Dal V secolo la Scrittura inizia ad essere considerata con un forte dogmatismo che induce a dubitare e rifiutare le conoscenze acquisite. Il cristianesimo si abitua a disprezzare l’esperienza.

Nel 476 Odoacre (433-493), capo delle tribù germaniche dell’esercito romano, avanza su Ravenna, depone il giovane imperatore d’occidente Romolo Augusto (461-511) e diventa re d’Italia. L’imperatore d’oriente prende la sovranità anche sull’impero d’occidente, che cessa di esistere ed è in questa data che si pone la fine dell’età antica e l’inizio del Medioevo.

La deposizione dell’ultimo imperatore d’occidente ha come conseguenza la divisione dell’impero tra i conquistatori. La civilizzazione romana declina, le infrastrutture si dissolvono, l’antica conoscenza Greca e la cultura Romana cominciano a svanire. Nel 529 l’imperatore d’oriente Giustiniano chiude la scuola neoplatonica di Atene, perché ai pagani non è più permesso insegnare. Scienza e religione troveranno a fatica un nuovo accordo qualche secolo dopo, ai tempi di Carlo Magno, e ancora di più dopo il 1200 per opera dei frati francescani e domenicani.

Le traduzioni delle opere greche in siriaco e in arabo

Nei primi quattro secoli dopo Cristo la conoscenza dell’ottica e della visione in Occidente è limitata ai manuali e alle enciclopedie destinate a comunicare alle classi dirigenti romane l’essenziale della cultura greca. Si tratta di una forma di conoscenza statica, enciclopedica, non adatta per l’espansione e la discussione delle idee. Tra le opere principali vi sono le Questioni naturali di Seneca (4 a.C.-65 d.C.), la Storia naturale di Plinio il Vecchio (23-79), la Raccolta di cose memorabili di Solino (III secolo). L’unica fonte diretta di conoscenza dell’ottica antica era il Timeo di Platone commentato da Calcidio.

Nell’Occidente la scienza aveva sostanzialmente cessato di svilupparsi, ma sotto l’impero bizantino maggiore fu l’attività di conservazione e trascrizione delle opere antiche rispetto al mondo latino. L’impero includeva nei suoi confini molti sudditi di lingua siriaca, una variante della lingua aramaica culturalmente fondante nello sviluppo della lingua araba (Gesù parlava un’altra variante dell’aramaico, il giudaico).

A partire dal III secolo la lingua siriaca aveva sostituito il greco in tutta l’Asia occidentale, dove si era stabilita nel V secolo la chiesa cristiana nestoriana. La dottrina di Nestorio fu combattuta duramente dal suo omologo Cirillo (370-444), patriarca di Alessandria (lo stesso che nel 415 organizzò l’assassinio di Ipazia) e venne condannata nel Concilio di Efeso del 431.13 Dopo il concilio di Calcedonia del 451 che tentò un accordo tra le parti, i nestoriani furono costretti ad emigrare in Persia nell’impero sasanide e convertirono in gran numero i discendenti degli antichi popoli mesopotamici. La chiesa nestoriana, grazie anche alla protezione dell’impero persiano, ebbe una straordinaria diffusione in Asia, fino all’India e alla Cina, così che la lingua siriaca divenne veicolo della cristianità in tutta l’Asia. Dal VI secolo in avanti, i cristiani nestoriani, uniti ai filosofi pagani banditi da Atene da Giustiniano, si impegnarono in una intensa attività culturale, specialmente nella loro capitale Gondishapur (oggi in Iran).

Ma una nuova forza politica, sociale e religiosa che avrebbe cambiato il panorama culturale dell’Europa, del Nordafrica e del Medio Oriente, stava nascendo.


Note

1 Edward Grant Le origini medievali della scienza moderna Einaudi 2001, p. 9

2 Piero Innocenti “Plotino” in Grande Dizionario Enciclopedico Utet XVI, 1990

3 I Sasanidi governeranno la Persia fino alla conquista islamica.

4 Giacomo Leopardi ha dedicato a Plotino e Porfirio una delle ventiquattro Operette morali, un dialogo in difesa della vita.

5 La religione manicheista fondeva elementi cristiani, buddisti e zoroastriani, ed era stato fondato da un contemporaneo di Plotino, il persiano Mani (215-277).

6 Plotino chiama Dio l’Uno.

7 Lindberg “The Genesis of Kepler’s Theory of Light: Light Metaphysics from Plotinus to Kepler” Osiris 2, 1986 p. 9

8 Platone nel Timeo 58C 6-10 specifica che esistono (almeno) tre varianti di fuoco: la fiamma, la luce e il rovente.

9 Vedi l’articolo di Lindberg “The Genesis of Kepler’s Theory of Light: Light Metaphysics from Plotinus to Kepler” già citato.

10 Yael Raizman-Kedar “Plotinus’s conception of unity and multiplicity as the root to the medieval distinction between lux and lumen” Studies in History and Philosophy of Science 37 2006 p. 379-397

11 Vedi per esempio l’enciclica Lumen fidei di papa Francesco (2013)

12 Vasco Ronchi Storia della luce Zanichelli p. 41

13 Nestorio (ca 381-451) patriarca cristiano di Costantinopoli, sosteneva la presenza in Cristo di due persone (il dio e l’uomo), unite dal punto di vista “morale” più che sostanziale. Di conseguenza, negava a Maria l’appellativo di “madre di Dio” (theotokos) perché genitrice della sola persona del Cristo uomo.

 

Visitato 593 volte, negli ultimi 7 giorni 1 visite

Torna all'indice di Storia della sensazione del colore

Mauro Boscarol

12/12/2011 alle 13:30

Parole chiave , , , , , , ,

Visitato 593 volte, negli ultimi 7 giorni 1 visite

Vuoi fare un commento a questo post?

Devi essere collegato per scrivere un commento.