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Il blog di Mauro Boscarol sulla gestione digitale del colore dal 1998

Formati di file per la stampa

Articolo scritto per il numero 2/2005 di Print Buyer.

 

Chi prepara un lavoro per la stampa industriale (offset, rotooffset, rotocalco, flessografia) usa un programma applicativo che gira in qualche sistema operativo.

I sistemi operativi più utilizzati sono Windows (nelle varie versioni: XP, 2000, NT e altre meno recenti) e Macintosh (nelle due versioni: Mac OS X, il nuovo sistema basato su Unix, e Mac OS 9, il sistema precedente).

Invece i programmi applicativi più usati per i lavori da mandare in stampa sono InDesign, Illustrator e PageMaker di Adobe, XPress di Quark e FreeeHand di Macromedia.

Ognuno di questi programmi applicativi salva il lavoro in un formato “proprietario”, cioè successivamente leggibile solo dallo stesso programma applicativo. Dunque, se un grafico o un impaginatore fa un lavoro in FreeHand (l’ultima versione è MX) su Mac OS X, lo salva nel formato proprietario di FreeHand e lo fa avere allo stampatore, quest’ultimo lo potrà aprire, elaborare e stampare solo se ha un Macintosh con Mac OS X e FreeHand MX.

In generale non è una buona idea far avere allo stampatore un lavoro in un formato proprietario, e infatti gli stampatori sono giustamente restii ad accettare questo tipo di lavori (anche se molti lo fanno per non perdere il cliente).

È meglio invece salvare il lavoro, e consegnarlo allo stampatore, in qualche formato standard, non proprietario.

I formati standard sono raggruppabili in due grandi famiglie: i formati raster o a pixel, adatti per le fotografie e I disegni, in cui le immagini consistono in un rettangolo di pixel, senza struttura; e i formati vettoriali o ad oggetti, in cui ogni oggetto grafico viene memorizzato con tutti i suoi attributi (una retta con la sua equazione, punto di inizio e fine, spessore, colore, …).

I formati vettoriali, possono contenere anche immagini raster, e sono quelli più adatti per le pubblicazioni da stampare. Per esempio un libro con immagini fotografiche è conveniente salvarlo in formato vettoriale mentre solo le fotografie rimangono raster. Quelli più usati sono: PostScript, EPS (Encapsulated PostScript, un PostScript con alcune limitazioni) e, soprattutto, PDF.

Il formato PostScript (che è in realtà un linguaggio di programmazione) è presente sulla scena delle arti grafiche da quasi vent’anni ed è stato ampiamente utilizzato, sia nella sua forma completa (per libri, opuscoli, depliant di più pagine) sia nella forma EPS (per lavori di una singola pagina).

Ma il formato oggi preferito per i lavori destinati alla stampa industriale è il PDF (Portable Document Format) messo a punto circa una decina d’anni fa da Adobe, la stessa casa che ha sviluppato PostScript e EPS. Tra il Postscript e il PDF c’è la stessa differenza che c’è tra un programma per computer (per esempio un programma che calcola le tasse che devo pagare) e il risultato di quel programma (cioè quanti euro di tasse devo pagare). Un file PostScript è infatti un programma che indica come va impaginato un lavoro e un file PDF è il risultato di quel programma, cioè l’elenco degli oggetti grafici che compongono l’impaginazione.

PDF è oggi il formato maggiormente accettato dagli stampatori, in quanto consente di inserire in un solo file tutti i dati necessari per la stampa: il testo, le immagini, le font, le informazioni sul formato di rifilo e della carta, sui colori, sul trapping e molti altri dati necessari per creare gli impianti di stampa. Inoltre è un formato che può essere compresso e spedito online, via mail, ftp o isdn.

Oltre che nelle arti grafiche, il formato PDF è usato in altri ambiti (pubblicazioni di documenti su Internet, creazione di documentazione elettronica che sostituisce quella stampata, creazione di slide, anche con elementi multimediali, audio e video, preparazione di contratti con firma digitale e valore legale).

Se il nostro PDF deve andare in stampa, è dunque necessario crearlo con molta cura, da una parte inserendo tutte le informazioni necessarie e dall’altra parte evitando tutte i contenuti inutili o dannosi. Per esempio, un file destinato alla stampa industriale è meglio che non contenga elementi multimediali (un video per esempio), né script, né formulari compilabili. D’altra parte è consigliabile che contenga, per esempio, tutte le font necessarie e le immagini ad alta risoluzione.

Sulla base di queste esigenze sono state approvate da ISO (International Standard Organization) una serie di norme che vanno sotto il nome PDF/X (dove X sta per exchange) che stabiliscono cosa un PDF deve contenere, non deve contenere, può contenere, per essere adatto alla stampa industriale. PDF/X, previsto in due o tre varianti, è il formato verso il quale molti stampatori stanno indirizzandosi. Anche se non è ancora molto diffuso, ci si può scommettere che diventerà il principale formato per la consegna di file adatti alla stampa industriale.

 

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Mauro Boscarol

8/1/2018 alle 17:56