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Il blog di Mauro Boscarol sulla gestione digitale del colore dal 1998

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Fisiologia della visione del colore

Primo stadio della visione: dallo stimolo fisico al segnale tricromatico

Il primo stadio della visione del colore ha inizio quando i fotoni che compongono lo stimolo entrano nell’occhio attraverso la cornea e l’umore acqueo, superano la pupilla (la cui contrazione e dilatazione ne determina la quantità), penetrano nel cristallino, attraversano l’umore vitreo, raggiungono la retina, ne attraversano i primi due strati e finalmente incidono sui fotorecettori dai quali vengono, in parte, assorbiti.


Assorbimento dei fotoni

Ogni tipo di fotorecettore contiene un diverso fotopigmento: quello dei bastoncelli si chiama rodopsina (rhodopsin), mentre i fotopigmenti dei coni non hanno un nome specifico (vengono chiamati opsina L, opsina M e opsina S).

Ogni fotopigmento assorbe solo alcuni dei fotoni che lo raggiungono. I fotoni non assorbiti vengono riflessi all’esterno dell’occhio oppure assorbiti dallo strato di cellule sul quale posano i fotorecettori, l’epitelio pigmentato, senza avere alcun ruolo nella visione.


Visione notturna, crepuscolare e diurna

Il numero di fotoni che incidono sulla retina determina l’attivazione dei bastoncelli, dei coni o di entrambi. Quando questo numero è basso, sono attivi solo i bastoncelli, che sono molto sensibili: pare siano in grado di assorbire anche un singolo fotone. La visione in tal caso è detta notturna o scotopica: si verifica per esempio al chiarore della luna o delle stelle.

La visione notturna è povera di dettagli (a causa del fatto che i bastoncelli sono riuniti in gruppi) e i colori sono assenti, si vede solo grigio (“di notte tutti i gatti sono grigi”). In visione notturna, se si fissa un oggetto, non lo si vede. Infatti l’immagine dell’oggetto si forma nella fovea, che è priva di bastoncelli. Per vederlo è necessario fissare lateralmente in modo che l’immagine si formi all’esterno della fovea.

Se il numero di fotoni che incidono sulla retina è più elevato, oltre ai bastoncelli, sono attivi anche i coni. In tal caso la visione è detta crepuscolare o mesopica. I colori sono presenti, ma la loro visione non è ottimale.

Se il numero di fotoni che incidono sulla retina è ancora più elevato, i bastoncelli vengono inibiti e non sono più in grado di assorbire fotoni mentre i coni continuano a rimanere attivi e ad assorbire fotoni. In questo caso la visione è detta diurna o fotopica e i colori si vedono in modo ottimale.

I termini scotopico e fotopico derivano entrambi dal greco: scotopico deriva dal greco skótos che indica tenebre, oscuri­tà e fotopico deriva dal greco phóto che significa luce.

La retina è dunque organizzata anatomicamente come due pellicole finemente interlacciate, una (composta dai bastoncelli) ad alta sensibilità per i bassi livelli di illuminazione che consente la visione a grigi e senza dettagli, e l’altra (composta dai tre tipi di coni) a sensibilità inferiore che opera a livelli più intensi e consente la visione a colori.


Sensibilità dei bastoncelli

La probabilità che la rodopsina, il fotopigmento dei bastoncelli, assorba un fotone, dipende dalla lunghezza d’onda di quest’ultimo. La massima probabilità di assorbimento (cioè 1) si ha a circa 507 nm, mentre alle lunghezze d’onda maggiori e minori la probabilità diminuisce fino a diventare 0 agli estremi, come è stato verificato con misure sulla rodopsina estratta dai bastoncelli.

La curva di probabilità di assorbimento è detta efficienza quantica (quantum efficiency), un termine che si applica in generale a qualunque tipo di rilevatore di fotoni (photon detector).

Per i fotoni che incidono sulla cornea (questa è la definizione di “stimolo di colore”) non è tuttavia sufficiente valutare l’assorbimento della rodopsina ma è necessario valutare anche la riflessione parziale sulla cornea (circa 4%) e gli assorbimenti che avvengono nell’umore acqueo, cristallino, umore vitreo e cellule della retina, prima che i fotoni raggiungano i bastoncelli.

Considerato tutto ciò, ogni fotone che arriva alla cornea ha una determinata probabilità di essere assorbito dal fotopigmento del bastoncello su cui incide e tale probabilità dipende solo dalla lunghezza d’onda del fotone.

La curva qui sotto rappresenta la probabilità (tra 0 e 1) che un fotone che incide sulla cornea venga assorbito dal fotopigmento di un bastoncello. Questa curva è chiamata curva di sensibilità dei bastoncelli, o anche curva di sensibilità scotopica.

Questa curva di sensibilità scotopica è stata ottenuta in modo sperimentale con metodi indiretti (psicofisici) negli anni Quaranta su 72 osservatori. (Tratto da Hunt pag. 22.)

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Per esempio la probabilità corrispondente alla lunghezza d’onda di 550 nm è 0,48, cioè il 48% dei fotoni che hanno questa lunghezza d’onda vengono assorbiti. Così se su un bastoncello incidono 200 fotoni a 550 nm, i fotoni assorbiti saranno il 48% di 200, cioè 96.

Avviene che il fotopigmento di un bastoncello, una volta assorbito un fotone, perde l’informazione sulla frequenza del fotone stesso, cioè “conta” semplicemente il numero di fotoni assorbiti. Ciò che differenzia i fotoni è la loro frequenza e quindi la probabilità di essere assorbiti, ma una volta assorbiti il loro effetto è lo stesso.

Questo è il contenuto del principio di univarianza studiato dal fisiologo britannico William Rushton (1901-1980) negli anni 50 del Novecento e riassunto nell’ articolo Pigments and Signals in Colour Vision del 1972.


Sensibilità dei tre tipi di coni

Il primo ad ipotizzare che nella retina fossero presenti tre tipi di fotorecettori indipendenti idonei alla visione del colore è stato il medico inglese Thomas Young (1773-1829) nel 1801. La sua ipotesi è stata successivamente sviluppata dal fisiologo tedesco Hermann von Helmholtz (1821-1894) e dal fisico scozzese Maxwell e infine confermata nel 1953 dal biologo svedese Fritiof S. Sjöstrand (1912-) che li ha osservati al microscopio elettronico.

Ognuno dei tre tipi di coni L, M e S contiene un diverso pigmento caratterizzato da una propria curva di assorbimento o efficienza quantica. Non è ancora stato possibile determinare con precisione la forma di queste curve, e quindi nemmeno le curve di sensibilità dei tre tipi di coni (dette anche fondamentali dei coni), che tengono conto degli assorbimenti che avvengono nel cristallino e nella macula, della diversa proporzione di coni dei tre tipi e della loro non uniforme distribuzione rispetto alla fovea.

Le tre curve di sensibilità dei coni sono però state stimate con tecniche diverse. Qui sotto è indicato un possibile insieme di curve di sensibilità dei coni in cui la massima sensibilità per i coni S è a 437 nm nelle onde corte (short), per i coni M a 533 nm nelle onde medie (middle) e per i coni L a 564 nm, più o meno nelle onde lunghe (long). Si tratta dei cosiddetti “fondamentali dei coni” proposti da Stockman e Sharpe nel 2000, dati tratti da Colour & Vision Da­tabase.

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Queste sensibilità sono indicative, e sicuramente non sono le sensibilità di tutti gli osservatori. Per esempio coloro che hanno anomalie retinali nella visione del colore  hanno sensibilità diverse. È anche possibile che nessun individuo abbia precisamente queste sensibilità, che vanno considerate come una approssimazione della media delle sensibilità degli individui privi di anomalie retinali.

Come avviene per la curva di sensibilità dei bastoncelli, queste curve di sensibilità dei coni indicano la probabilità che un fotone che incide sulla cornea venga assorbito dal fotopigmento di un cono di tipo rispettivamente L, M e S.

Anche per i coni vale il principio di univarianza di Rushton: il fotorecettore perde l’informazione  sulla qualità spettrale della radiazione assorbita (cioè sulla frequenza dei fotoni), e registra solo il numero di fotoni assorbiti.


Dettagli

Il numero di fotoni assorbiti nell’unità di tempo da un tipo di coni si calcola considerando

  • il numero di fotoni dello stimolo di colore che incidono sulla cornea;
  • la riflessione sulla cornea (circa 4%);
  • la trasmittanza e l’assorbimento della cornea (dall’80% al 90%);
  • la trasmittanza e l’assorbimento causato dai pigmenti interni del cristallino;
  • l’assorbimento del pigmento maculare;
  • l’efficienza quantica di quel tipo di coni (L, M o S)
  • una costante convenzionale che determina l’unità di misura; le tre costanti sono in rapporto tale che alla radianza equienergetica E(λ)=1 corrispondano tre numeri uguali.

 

Mauro Boscarol

26/8/2012 alle 18:00