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Appunti di storia del colore

Grassmann: le leggi empiriche della visione del colore

  1. I postulati di Grassmann
  2. La prima legge
  3. La seconda legge
  4. La terza legge
  5. La quarta legge
  6. I colori complementari
  7. La rappresentazione geometrica dei colori
  8. La versione moderna delle leggi di Grassmann

Grassmann pubblicò il celebre articolo Über die Theorie der Farbenmischung (Sulla teoria della mescolanza dei colori) nel 1853.  È di interesse storico il fatto che Grassmann aveva anticipato la sua teoria sulla mescolanza dei colori già nell’ottobre 1852, in una conferenza alla Physikalischen Gesellschaft zu Stettin, la Società di fisica di Stettino.

L’occasione per la stesura di questo articolo fu offerta a Grassmann da un precedente articolo di Helmholtz nel quale l’autore, impegnato nella ricerca di coppie di colori la cui mescolanza desse il bianco (colori complementari), affermava di essere riuscito a trovare solo la coppia di complementari giallo e indaco. Helmholtz avanzava allora l’ipotesi che per produrre il bianco fossero necessari almeno tre colori spettrali.

Nel suo articolo Grassmann si propone di dimostrare, all’interno di una teoria, che il modello di Newton, al contrario, implica un numero infinito di coppie di colori complementari.


I postulati di Grassmann

Per dimostrare rigorosamente questa affermazione, Grassmann formula quattro postulati, cioè quattro leggi che riassumono l’esperienza di un osservatore impegnato nello studio della mescolanza additiva dei colori. Queste leggi sono il fondamento teorico sul quale si può costruire rigorosamente (cioè matematicamente) la teoria dei colori ed esprimono le proprietà del metamerismo in connessione con la mescolanza additiva.

Per fondare la teoria Grassmann propone di considerare come termini primitivi tre attributi percettivi del colore:

  • tinta (Farbenton);
  • brillanza del colore (Intensität der Farbe);
  • brillanza del bianco (Intensität des beigemischten Weiss, cioè la brillanza della componente acromatica del colore).

Grassmann introduce anche i due termini derivati di

  • brillanza totale = brillanza del colore + brillanza del bianco;
  • saturazione = brillanza del colore / brillanza totale.

Definiti questi termini, Grassmann propone di postulare quanto segue.

  1. Una sensazione di colore è completamente specificata da tre grandezze: la tinta, la brillanza del colore e la brillanza del bianco.
  2. Se una luce varia con continuità, anche la sensazione di colore della mescolanza additiva con una seconda luce fissata varia con continuità.
  3. Il risultato di una mescolanza additiva di colori dipende solo dal loro aspetto e non dalla loro composizione fisica.
  4. La brillanza di una mescolanza additiva di colori è la somma delle brillanze dei colori mescolati.

Le leggi di Grassmann, come da allora vengono chiamati i postulati, sono, nelle intenzioni dell’autore,  affermazioni evidenti che costituiscono la base dalla quale far discendere deduttivamente le altre affermazioni della colorimetria.


La prima legge

Una sensazione di colore è completamente specificata da tre grandezze: la tinta, la brillanza del colore e la brillanza del bianco.

Questo postulato afferma che per definire una sensazione di colore è necessario e sufficiente specificare tre grandezze indipendenti. Già Newton aveva stabilito che ogni colore (spettrale e non) poteva essere specificato come mescolanza di una certa quantità di colore spettrale con una certa quantità di bianco. Le tre grandezze che specificano un colore qualunque sono dunque, sia per Newton che per Grassmann, la tinta (Farbenton), cioè l’unico colore spettrale che mescolato con il bianco dà il colore in questione, la brillanza del colore (Intensität der Farbe) e la brillanza del bianco (Intensität des beigemischten Weiss).

In questo primo postulato Grassmann indica quella che oggi si chiama la dimensione dello spazio dei colori introducendo tre grandezze indipendenti. La questione della dimensione e dell’indipendenza era contenuta nei fondamenti stessi della principale opera di Grassmann, la Ausdehnungslehre che qui Grassmann ha occasione di verificare con un concreto esempio della cose della natura.

Grassmann afferma, presentando una base specifica, che la dimensione dello spazio dei colori è tre. La base è costituita da tinta, brillanza del colore, brillanza del bianco. Come sarà chiarito successivamente, la base potrà anche essere costituita da un’altra terna, per esempio le quantità di tre colori indipendenti (i mitici colori primari, inseguiti fin dal Settecento).

Grassmann descrive anche un apparecchio sperimentale mediante il quale è possibile misurare queste tre grandezze e presenta questa primo postulato come sperimentalmente evidente in quanto

finora nessun osservatore ha permesso di dare un altro elemento che determini la sensazione di colore, e il linguaggio stesso nel descrivere una sensazione di colore, conosce solo questi tre elementi.

Le diverse tinte costituiscono una serie circolare che comprende tutti e soli i colori dello spettro specificabili mediante la loro rifrattività (come faceva Newton) o con la lunghezza d’onda (come potrebbe fare Grassmann, che però si riferisce alle linee di Fraunhofer).

Su questo punto Grassmann commette un errore, che tuttavia non invalida la sua teoria. Egli infatti giudica uguali la tinte dell’estremo rosso e dell’estremo violetto dello spettro, più o meno come faceva Newton, e chiama “viola” questa tinta, che permette di chiudere a cerchio lo spettro.

In realtà, come mostrerà Helmholtz, i due estremi dello spettro (rosso e violetto) non hanno la stessa tinta, e nessuna delle due è viola. È invece vero che mescolando additivamente rosso e violetto si ottengono diverse gradazioni di viola. Questo errore farà trarre a Grassmann conclusioni errate a proposito dei colori complementari.

 


La seconda legge

Se una luce varia con continuità, anche la sensazione di colore della mescolanza additiva con una seconda luce fissata varia con continuità.

Per Grassmann una tinta varia con continuità quando varia con continuità la lunghezza d’onda, ed inoltre, arrivati alla massima lunghezza d’onda (rosso) si passa alla minima (violetto) e viceversa (attraverso il viola). Secondo Grassmann il passaggio da violetto a rosso attraverso il viola, per l’occhio, è continuo come per un’altra coppia qualunque di colori vicini

anche se ancora le osservazioni non hanno permesso stabilire il confine al quale a diverse lunghezze d’onda corrisponde la stessa sensazione di colore.

Una sensazione di colore varia con continuità quando variano con continuità la brillanza del colore, la brillanza del bianco e, se la brillanza del colore non è nulla, anche la tinta. Se la brillanza del colore è nulla, cioè se la variazione avviene attraverso il bianco, una tinta può trasformarsi con continuità in un’altra di lunghezza d’onda completamente diversa.

Per Grassmann

anche questo secondo postulato è confermato dall’esperienza in quanto un salto finora non è stato notato da nessuno.

Sul tema della continuità Grassmann si stacca nettamente dalla descrizione di Newton, che aveva invece privilegiato una divisione discreta dello spettro in sette colori principali. Grassmann invece assume questa condizione di continuità in modo così rigoroso da supporre che il violetto abbia lo stesso aspetto del rosso estremo, in modo tale che il cerchio è definitivamente chiuso. Come già detto, la formulazione va corretta introducendo non esclusivamente una tinta, il viola, ma una serie di tinte, cioè una serie di viola  tra il rosso ed il violetto. Con questa modifica l’esperienza conferma questo postulato: non sono mai stati osservati bruschi mutamenti di colore al variare continuo della luce che ne produce la sensazione.


La terza legge

Il risultato di una mescolanza additiva di colori dipende solo dal loro aspetto e non dalla loro composizione fisica.
Il terzo postulato è di grande importanza perché permette di astrarre dalle caratteristiche fisiche della luce e di parlare semplicemente di colori. Esso ha permesso a Grassmann di interpretare i colori come vettori e la mescolanza (additiva) di due colori come somma di due vettori.

Era già noto a Newton che due colori che appaiono uguali possono avere caratteristiche spettrali diverse. Per esempio, il colore M può essere formato dalla mescolanza di A e B oppure dalla mescolanza di C e D. Nel primo caso la caratteristica spettrale di M è la somma delle caratteristiche spettrali di A e B, nel secondo caso di C e D. Due colori che appaiono uguali ma hanno caratteristiche spettrali diverse si dicono colori metameri.

Ci si può chiedere se due colori metameri, cioè due colori visivamente uguali ma fisicamente diversi, mescolati con un terzo colore, diano come risultato due colori uguali, o se al contrario il risultato della mescolanza dipenda anche dalle caratteristiche fisiche. La risposta che fornisce l’esperienza è che il risultato di una mescolanza di colori è indipendente dalle loro caratteristiche spettrali, e dipende solo dal loro aspetto.


La quarta legge

L’intensità luminosa totale di una mescolanza additiva di colori è la somma delle intensità luminose dei colori mescolati.

Cioè l’intensità luminosa di una mescolanza è additiva. E infatti questo quarto postulato è noto anche come “additività delle luminosità” e come legge di Abney. Oggi si sa che questa affermazione è vera solo in casi particolari e Grassmann stesso notava che

questa legge non è così ben fondata come le precedenti ma da osservazioni teoriche sembra la più probabile.

Su suggerimento di Helmholtz, questa affermazione viene usata per definire la luminanza, cioè la grandezza fotometrica corrispondente alla grandezza radiometrica detta radianza.

Come nota MacAdam [7] il termine intensità qui è “appropriato solo per sorgenti puntiformi e non per aree estese di colore di cui Grassmann sta discutendo”.


I colori complementari

Oltre ad elencare i quattro postulati, Grassmann ne deriva anche alcune conseguenze. Dai primi due postulati è possibile dedurre matematicamente che “per ogni colore esiste un altro colore spettrale che mescolato con il primo dà il bianco” o, in termini moderni, che per ogni colore vi è un colore spettrale additivamente complementare.

Per quanto detto sopra, questa conclusione tuttavia non è corretta. Le varie gradazioni di verde non hanno complementari spettrali. I complementari dei verdi sono appunto quei viola (mescolanza di violetto e rosso, quindi non spettrali) che Grassmann ha mancato di considerare nella serie delle tinte e che sono stati introdotti da Helmholtz.


La rappresentazione geometrica dei colori

Sistemata la questione dei colori complementari, Grassmann introduce la rappresentazione geometrica (che oggi chiamiamo vettoriale) dei colori. I quattro postulati garantiscono che i colori obbediscono alla legge del baricentro e che le loro mescolanze possono essere rappresentate come somme geometriche, che Grassmann già aveva presentato nella Ausdehnungslehre (Teoria dell’estensione, pubblicata nel 1844) e in cui aveva dimostrato che il baricentro di due pesi A e B applicati nei punti a e b si può calcolare mediante una regola, oggi descritta in qualunque testo di fisica generale.

Ne segue che ogni colore può essere rappresentato nelle sue tre dimensioni con un punto e un peso nel cerchio cromatico. La direzione nella quale questo punto C esce dal centro indica la tinta, il peso del punto l’intensità totale della luce. Il prodotto dell’intensità totale per la distanza dal centro è l’intensità del colore. Il prodotto dell’intensità totale per la distanza dalla periferia è l’intensità del bianco. Se si definisce la saturazione come l’intensità del colore diviso l’intensità della luce, tale saturazione è semplicemente rappresentata dalla distanza dal centro.

La conclusione di Grassmann è che dalle sue quattro leggi, ognuna ampiamente confermata dall’esperienza, si deducono risultati che sono in accordo con la regola empirica di Newton, e che tale deduzione è stata fatta “in modo puramente matematico”.

Tuttavia, secondo Grassmann, il modo in cui Newton distribuisce i colori omogenei sulla circonferenza del suo cerchio necessita di una totale revisione. Questa revisione sarà intrapresa da Helmholtz e dai suoi allievi e porterà nel 1931 alla definizione del diagramma delle cromaticità come lo conosciamo oggi.


La versione moderna delle leggi di Grassmann

I primi riflessi delle leggi di Grassmann si trovano in Helmholtz e Maxwell. Helmholtz le utilizza e ne dà una propria versione nel suo Manuale di ottica fisiologica [13] mentre Maxwell le utilizza per iniziare a misurare il luogo dei colori spettrali, un obiettivo indicato da Grassmann stesso nel suo articolo. König e Dieterici hanno successivamente perfezionato il lavoro di Maxwell e la loro determinazione dei colori spettrali è stata il punto di partenza per tutte le ricerche in questo campo [9].

Da allora in letteratura si trovano differenti formulazioni delle leggi di Grassmann [9]. Tra queste, quelle di Erwin Schrödinger, di Manfred Richter, di P. J. Bouma. Una esposizione matematica formale è stata data da Krantz [12]. Indicata con il segno “=” la corrispondenza metamerica tra stimoli di colore, con il segno “+” la mescolanza additiva tra stimoli di colore e dati gli stimoli di colore A, B, C e D, valgono le seguenti proprietà:

  • simmetria se A = B allora B = A
  • transitività se A = B e B = C allora A = C
  • proporzionalità se A= B allora a A = a B per ogni reale a ≠ 0
  • additività se A = B e C = D allora (A + C) = (B + D) se A = B e A + C = B + D allora C = D

Le prime due proprietà (assieme alla proprietà riflessiva A = A) definiscono una relazione di equivalenza tra gli stimoli di colore, la relazione di metamerismo. I colori si possono dunque definire come classi di equivalenza di stimoli di colore che appaiono soggettivamente corrispondenti.

La terza (proporzionalità) stabilisce la compatibilità tra la variazione di intensità di uno stimolo di colore e la relazione di metamerismo, afferma cioè che il metamerismo viene conservato da una variazione di intensità.

Analogamente la quarta proprietà (additività, che deriva dalla terza legge di Grassmann) afferma che la relazione di metamerismo viene conservata quando ad ognuno di due stimoli metamerici si mescolano stimoli metamerici.

L’insieme degli stimoli di colore costituisce dunque (un cono convesso in) uno spazio vettoriale sui numeri reali, che è lo spazio di tristimolo. La prima legge di Grassmann afferma che questa spazio vettoriale è tridimensionale.

La validità in generale delle leggi di Grassmann è oggi in discussione, ed è noto che le leggi non sono necessariamente vere in ogni situazione, per la visione umana  [14].

Riferimenti:

  1. Slide Conferenza Gruppo Colore Milano 2006
  2. Testo Conferenza Gruppo Colore Milano 2006

 

Mauro Boscarol

3/1/2011 alle 20:32

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