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Il blog di Mauro Boscarol sulla gestione digitale del colore dal 1998

Nella serie Storia della sensazione del colore

2.3.1 L’avvio della perspectiva: Grosseteste e Roger Bacon

La luce è sostanza o accidente
Species sensibili e species intelligibili
Colori “reali” e colori “apparenti”
Robert Grosseteste
Il metodo della fisica e il metodo della perspectiva
Il “perché” dell’arcobaleno secondo Grosseteste
Ordinamento dei colori
Roger Bacon
Perspectiva per Roger Bacon
Il colore per Roger Bacon
I colori dell’arcobaleno

Le opere di ottica di Euclide e Tolomeo sono disponibili per l’Occidente latino dal XII secolo. Nel corso del XIII secolo l’intero corpus della letteratura greca e islamica di ottica è disponibile in latino. L’opera di Avicenna introduce nella cultura medievale la distinzione tra lux e lumen. La teoria emissionista di Platone, accettata da Agostino, è la più autorevole durante tutta la permanenza della filosofia Scolastica dall’XI al XV secolo. 1

Dal XIII secolo nell’ambito della Scolastica si pongono questioni che riguardano l’ottica antica, cioè la luce, la visione e il colore e che risalgono ad Aristotele e sono state trasmesse dai filosofi arabi aristotelici arabi (soprattutto Avicenna e Averroè). Tuttavia nella tradizione della Scolastica per qualche motivo il termine di derivazione greca optica non viene mai usato. Perspectiva è il vocabolo latino con cui i traduttori (dall’arabo e dal greco) indicano l’ottica antica, cioè la disciplina della visione in senso unitaro. Questa perspectiva non va confusa con la “prospettiva” cioè la tecnica di rappresentazione di figure tridimensionali su un piano che verrà sviluppata nella pittura del Rinascimento. Si tratta invece proprio dell’ottica antica anche se affrontata con metodi, per l’epoca, moderni. È soprattutto tra i francescani, tradizionalmente ispirati dal pensiero neoplatonico agostiniano, che inizialmente questa scienza riscuote maggiore successo (Grosseteste, Bacon, Bonaventura). Successivamente si è affermato l’aristotelismo domenicano per opera di Alberto Magno e Tommaso d’Aquino.

Fino al XV secolo gli studiosi della perspectiva affrontano e cercano di chiarire varie questioni ancora aperte, riordinando i diversi capitoli del pensiero greco e conciliandoli con le acquisizioni arabe. Appare subito che le interpretazioni di Alhacen, Avicenna e Averroè non sono sempre concordanti e dunque il pensiero di Aristotele sulla luce e sul colore presenta aspetti problematici. Si tratta di operare una sintesi convincente dell’ottica fisica (moltiplicazione delle specie, propagazione della luce), dell’ottica geometrica di Euclide e Tolomeo (specchi, luce della luna, teoria dell’arcobaleno) e della fisiologia (anatomia dell’occhio, intromissione o estromissione, fusione delle immagini). Di seguito sono elencate alcune delle questioni che vengono trattate nell’ambito della perspectiva.

La luce è sostanza o accidente?

Una prima questione sul tappeto fin dall’inizio della perspectiva riguarda la corporeità della luce. Un cardine del pensiero aristotelico è il dualismo tra sostanza e accidente. Per Aristotele la sostanza è la materia con la forma, cioè le cose tri­­dimensionali, i corpi, che popolano il nostro mondo terrestre. L’accidente invece è ciò che per la sua esistenza dipende da una sostanza alla quale si riferisce e della quale diviene attributo. Nessun accidente può sussistere senza una sostanza, della quale sia l’atto. Secondo Avicenna la sostanza è “quello che porta” e l’accidente è “quello che è portato”. E secondo gli scolastici “nessuna sostanza è conoscibile se non per mezzo dei suoi accidenti” e “quanti più accidenti si conoscono di una sostanza, tanto più essa è conosciuta”. 2

Per Aristotele la luce non è un corpo ma accidente il cui supporto è un medium trasparente (l’acqua, l’aria o nelle successive teorie ondulatorie il fantomatico etere). Tommaso è aristotelico e scriverà più volte lux seu lumen non est corpus e così sarà per gran parte degli scolastici e anche oltre la Scolastica per Descartes, Huygens e Fresnel. 3 Il primo studioso ad avanzare, con molta prudenza, l’ipotesi contraria sarà nel XVII secolo il gesuita bolognese Francesco Maria Grimaldi, lo scopritore della diffrazione.

Species sensibili e species intelligibili

Durante il medioevo la perspectiva continua ad essere, come l’ottica antica, lo studio unitario della visione e dunque l’interazione tra osservatore e oggetto osservato è fondamentale. Per Aristotele l’oggetto proprio della visione è solo il colore; la luce non è oggetto della visione ma è l’attualizzazione del medium trasparente che consente di vedere il colore. Gli scolastici vedono questo punto come un difetto della teoria di Aristotele e cercheranno di modificarlo, perché, secondo loro, l’attualizzazione del trasparente è un ruolo in fin dei conti secondario per la luce che è già visibile per sé.4 In questo quadro si era collocato il pensiero di Avicenna e Averroè sulla natura della luce e dei colori che aveva segnato l’inizio della distinzione tra lux e lumen, legate a diverse interpretazioni del concetto di luce. Non è sempre facile distinguere i due termini negli scrittori medievali, tuttavia la maggiore importanza data alla lux oppure al lumen sarà fondamentale nello sviluppo dell’ottica fino al XVII secolo quando si inizierà a distinguere la parte fisica (alla quale verrà riservato il nome di ottica) dalla parte fisiologia e psicologica della visione. A quel punto verrà definitivamente stabilita la distinzione tra luce come capacità soggettiva del vedere (lux) e luce come entità fisica entrante negli occhi (lumen).

Quando un osservatore vede un oggetto, non è il medium (l’aria e l’occhio) che assume le qualità dell’oggetto osservato, ma è l’osservatore che coglie alcune caratteristiche formali dell’oggetto, che vengono dette species. Species è un sostantivo molto usato dagli scolastici ed in generale è la forma (opposta alla materia) dell’oggetto che l’anima apprende per mezzo del senso (species sensibile e in particolare visibile) e per mezzo dell’intelletto (species intelligibile). 5 Mediante la species sensibile il senso conosce l’oggetto, mediante la species intelligibile l’oggetto viene appreso. In qualche modo la species somiglia al simulacro degli antichi atomisti ma con Grosseteste e Bacon assumerà anche il senso più vasto di forza, potere, influenza con la quale un oggetto agisce su un altro oggetto.

Per i filosofi della Scolastica il lumen è precisamente una species della lux. La species visibile di un oggetto è dunque una sua proprietà attiva che mediante un mezzo (aria, acqua), è in grado di agire sul sensibile (occhio) e di provocare una impressione (impressio) nel soggetto che la percepisce. Agendo sul soggetto sensibile la species provoca l’attività percettiva e conoscitiva dell’anima, ed è dunque uno stimolo per queste attività.

Colori “reali” e colori “apparenti”

Un’altra importante questione posta dallo studio degli scritti di Aristotele era relativa ai colori dell’arcobaleno, del prisma e in generale a tutti i colori prodotti direttamente dalla luce. La questione era se tali colori esistessero realmente come quelli dei corpi opachi, oppure fossero solo “apparenze”. Aristotele non aveva citato il prisma di vetro ma la somiglianza tra i colori prodotti dal prisma e i colori dell’arcobaleno era, attorno al Mille, un fenomeno noto da tempo e citato già nel I secolo sia da Seneca nelle Naturales Questiones (I, 7) che da Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia (XXXVII, 136).

Aristotele aveva distinto i colori dei corpi opachi (in Dell’anima e Del senso e dei sensibili) dai colori dell’arcobaleno (in Meteorologica) trattandoli in maniera completamente diversa. I filosofi medievali chiamano colori “reali” quelli dei corpi e colori “apparenti” o “enfatici” quelli dell’arcobaleno. I colori reali sono visibili solo in presenza di luce, e originano dal bianco e dal nero (o dal chiaro e dallo scuro). Tra questi due estremi Aristotele collocava (senza specificarne l’ordine) altri cinque colori giallo, verde, rosso, blu e viola in base al rapporto tra nero e bianco in ognuno di essi.

D’altra parte in Meteorologia Aristotele elabora una teoria diversa e riconosce nell’arcobaleno solo tre colori apparenti: rosso, verde e violetto (“i colori che i pittori non possono ottenere per mescolanza”). Seguendo questa la teoria i colori dell’arcobaleno hanno una natura diversa da quella dei colori reali.

Le discussioni sulla natura reale o apparente del colore continueranno per tutto il medioevo con interventi di Roger Bacon, Alberto Magno, Tommaso d’Aquino, l’allievo di questi Pietro di Alvernia (circa 1240-1304) e Teodorico di Friburgo tutti (a parte il primo) domenicani e tutti principali esponenti della Scolastica. In particolare Teodorico darà la prima completa analisi e spiegazione dei colori dell’arcobaleno e sosterrà che non sono apparenti, ma tutti reali, compreso il giallo che secondo Aristotele era un’illusione della vista.

La questione proseguirà fino a Cartesio e ai filosofi meccanicisti, che rifiuteranno ogni distinzione: i colori “apparenti” sono, come i colori “reali”, sensazioni provocate dalla luce, e la fonte di tale sensazione è irrilevante. I colori non si possono ripartire in domini diversi, sono colori e basta.

Il primo pensatore della perspectiva, in qualche modo il suo fondatore, è stato un vescovo inglese con simpatie francescane, vissuto a cavallo tra il XII e il XIII secolo, Robert Grosseteste.

Robert Grosseteste

Nel 1224 sbarcano in Inghilterra nove francescani guidati da Agnello da Pisa (1195-1236). Il gruppo fonda nello stesso anno conventi a Canterbury, Londra e Oxford (dove dal 1096 era già operante uno Studium) e altri negli anni successivi. Nei francescani della provincia inglese si forma subito un particolare clima intellettuale, una tradizione che darà all’Occidente una serie di influenti filosofi e pensatori. In questo ambiente intellettuale si inizia praticare la perspectiva, cioè l’ottica, con una impostazione particolare. Il primo grande esponente della scuola di Oxford è un maestro della scuola francescana, Robert Grosseteste (ca 1170-1253).

Robert Grosseteste è nato a Stradbroke, un villaggio dell’Inghilterra, da genitori poverissimi. 6 Molta parte della sua carriera non è nota ma pare che abbia studiato teologia a Oxford e forse anche a Parigi. Nel 1214 diventa il primo cancelliere dell’università di Oxford e nel 1229 accetta l’invito di frate Agnello da Pisa a insegnare nel convento che i frati francescani avevano fondato nel 1224. Nel 1235 viene nominato vescovo di Lincoln, nel 1245 prende parte al primo concilio di Lione e muore nella sua diocesi nel 1253. Pare non sia mai entrato nell’ordine francescano, ma certamente aveva con loro grande affinità spirituale.

Grosseteste è considerato uno dei maggiori dotti del suo secolo. Roger Bacon, che è stato suo studente a Oxford, lo considera di cultura paragonabile a quella che Salomone, Aristotele e Avicenna avevano ai loro tempi. 7 È traduttore dal greco e probabilmente studia l’ottica sui libri di Aristotele, Euclide, al-Kindi, Avicenna (ma pare che non conoscesse i libri di Tolomeo e Alhacen). Con lui comincia “l’età d’oro della Scolastica”, un periodo che vedrà discussioni, critiche e controversie alle quali partecipano tutti i grandi pensatori dell’epoca.

Come teologo Grosseteste è influenzato dalle idee neoplatoniche e agostiniane ed è considerato il fondatore di quella corrente di pensiero filosofico e religioso che è stata chiamata “metafisica della luce” ma che secondo Lindberg sarebbe meglio chiamare semplicemente “filosofia della luce”, e che si svilupperà fino al Rinascimento. Le idee di Grosseteste sulla luce e sul colore vanno viste sullo sfondo di questa filosofia della luce, che si sviluppa implicitamente in quattro distinti filoni: 8

  • epistemologia della luce di origine platonica e agostiniana, cioè analogia tra la visione (la luce del sole illumina le cose visibili) e la conoscenza di Dio (la luce spirituale illumina le cose intelligibili);
  • teologia della luce di origine evangelica e agostiniana, che utilizza metafore luminose per spiegare verità teologiche;
  • vera e propria metafisica o cosmogonia della luce di origine plotiniana cioè il fatto che i fenomeni della natura siano tutti spiegabili come opera della luce ;
  • fisica della luce di origine plotiniana, secondo la quale tutto ciò che succede nel mondo reale opera in analogia con la radiazione della luce. Al-Kindi aveva espresso questa idea in De radiis stellarum e in Grosseteste l’idea diventa la moltiplicazione delle species.

Come filosofo della natura Grosseteste è considerato l’iniziatore di una tradizione che fonde la filosofia con la matematica e con la scienza sperimentale, tradizione che diventerà caratteristica della scuola di Oxford, contrapposta alla speculazione più metafisica che era prevalente a Parigi. Naturalmente le indagini sperimentali di allora non consistevano in esperimenti controllati tipici del metodo sperimentale moderno, ma in semplici osservazioni accompagnate da ragionamenti e da appelli all’autorità.

L’importanza della figura di Grosseteste non è dovuta a particolari idee o scoperte significative, ma al fatto che era attivo nel periodo iniziale della ricezione e assimilazione dell’ottica greca ed araba da parte dell’Occidente, e così ha avuto un ruolo di transizione e di stimolo allo studio della visione e alla integrazione della dottrina platonica con alcune delle altre tradizioni rese disponibili dall’attività di traduzione. Grosseteste “determinò l’indirizzo fondamentale che assunsero gli studi fisici nei secoli XIII e XIV”. 9 Il suo metodo matematico di matrice platonica (che verrà contrapposto a quello fisico e aristotelico caratteristico dei domenicani) diventerà tipico dell’insegnamento francescano a Oxford e peculiare della filosofia inglese, e la sua influenza dà origine ad una tradizione scientifica che raggiungerà il culmine con Roger Bacon (doctor mirabilis), John Peckham, John Duns Scotus, Guglielmo di Occam.

Nal campo della visione Grosseteste cerca di riconciliare le varie teorie antiche su una base sostanzialmente neoplatonica con aggiunte aristoteliche ed euclidee. In De iride scrive che i filosofi naturali (Aristotele e i suoi seguaci) hanno ragione nel ritenere che l’occhio è passivo quando accoglie le forme dei corpi visibili. Ma anche i matematici (Euclide, al-Kindi) hanno ragione a considerare una radiazione che viene emessa dall’occhio attivo. Platone aveva già considerato la visione come una combinazione di passività e attività, di intromissione ed estromissione, prevedendo l’emissione dall’occhio di un fuoco visuale (al quale Grosseteste dà il nome di species) che fonde con la luce esterna formando un mezzo che riporta l’impressione all’anima.

Il metodo della fisica e il metodo della perspectiva

Tra le opere di filosofia naturale di Grosseteste si trovano due brevi trattati: De iride (sul colore dell’arcobaleno) e De colore (sul colore degli oggetti) che pare siano stati scritti tra il 1230 e il 1235. È in De iride che Grosseteste definisce la perspectiva come scienza che si occupa di ottica (cioè luce e visione) senza ridurla completamente alla geometria, ma matematizzandola, in accordo con il metodo platonico di studio dei fenomeni naturali.

È vero che i fenomeni naturali hanno natura fisica, ma il metodo migliore per discuterli è quello matematico (il propter quid, il “perché”, la dimostrazione del fenomeno, che procede dalle cause agli effetti), mentre quello fisico rimane una forma inferiore (il quid, il “cosa”, semplicemente la definizione del fenomeno, la “causa sostanziale” di Aristotele). Il quid è sempre necessario ma non sufficiente, è necessario anche saper dimostrare il perché. Lo studioso di perspectiva fa esattamento questo: non si limita ad indagare i principi essenziali dei fenomeni naturali come fa il il fisico, ma cerca di andare più in là e dimostrare matematicamente la causa di questi fenomeni, partendo dal o arrivando al quid.

Ora, per Grosseteste, ciò che rende possibile la costruzione di una scienza che possa dimostrare l’origine dei fenomeni naturali è la luce perché è il quid comune a tutte le cose della natura. Secondo l’insegnamento di Plotino, tutto ciò che succede nel mondo reale opera in analogia con la radiazione della luce. Dunque per indagare la natura bisogna indagare la luce e questo è appunto il compito della perspectiva. In questo modo Grosseteste fonde la dottrina neoplatonica della luce con l’ideale scientifico aristotelico per il quale si conosce solo per il quid. Questa è la giustificazione scientifica della perspectiva, l’inquadramento dei fenomeni luminosi nel sistema della scienza aristotelica. Pur avendo, secondo questa definizione, un enorme campo di indagine:

se considererà la luce spirituale avrà per oggetto Dio … se considererà gli oggetti della creazione … sarà una scienza astronomica; se studierà le radiazioni dei corpi del mondo sublunare costituirà una vera scienza fisica configurata come ottica. 10

La perspectiva si svilupperà prevalentemente nelle ultime due direzioni, verso l’astronomia e verso l’ottica.

Il “perché” dell’arcobaleno secondo Grosseteste

In De iride Grosseteste si propone di applicare il metodo della perspectiva per trovare il propter quid (la spiegazione matematica) della natura dell’arcobaleno, visto che Aristotele in Meteorologia aveva descritto solo il quid (la spiegazione fisica). Secondo Grosseteste la perspectiva consiste di tre parti che corrispondono ai tre modi in cui i raggi visuali possono giungere alla cosa osservata: per propagazione in linea retta (de visu), per riflessione mediante uno specchio (de speculis) e per rifrazione attraverso mezzi diversi. Ed è proprio nella rifrazione che, secondo Grosseteste, va cercata la natura dell’arcobaleno. Mentre i filosofi precedenti (Anassagora, Aristotele, Avicenna) avevano cercato di spiegare l’arcobaleno mediante la riflessione, Grosseteste è il primo a intuire correttamente che il fenomeno di base dell’arcobaleno è la rifrazione. 11

Per la rifrazione Grosseteste trova anche una formula: l’angolo di rifrazione è metà dell’angolo di incidenza. Oggi sappiamo che questa formula non è corretta, e come scrive Lindberg è “notevolmente primitiva” anche in confronto alle teorie greche ed islamiche allora note. Grosseteste evidentemente non aveva a disposizione l’Ottica di Tolomeo dove avrebbe potuto confrontare i suoi dati con le accurate tabelle di rifrazione preparate dall’autore. In ogni caso Grosseteste utilizza la sua formula per spiegare il propter quid della natura dell’arcobaleno sviluppando una teoria che, sempre secondo Lindberg, “non può spiegare nemmeno i fenomeni di base”. Insomma, la parte quantitativa del De iride è fallimentare, ma almeno ha il merito di essere il primo tentativo di spiegazione dell’arcobaleno mediante la rifrazione.12 Grosseteste tuttavia non associa esplicitamente i colori alla rifrazione, ma li associa a sei condizioni.

Dando per scontato che i colori varino da un arcobaleno all’altro, e anche da una parte all’altra di uno stesso arcobaleno, Grosseteste scrive che la varietà di colori che appaiono nelle diverse parti di un arcobaleno è principalmente dovuta alla intensità (multitudinem e paucitatem) dei raggi del sole: maggiore è l’intensità, più il colore appare clarus et luminosus; minore è l’intensità più il colore appare hyacinthino et obscuro. Invece la differenza tra i colori di un arcobaleno e quelli di un altro arcobaleno è dovuta alla puritate et impuritate del mezzo, oltre che alla claritate et obscuritate della lux. Qual è il significato che Grosseteste dà ai termini che definiscono queste sei condizioni?

Ordinamento dei colori

Grosseteste definisce il colore come “lux incorporata nella materia e resa manifesta un medium diafano” e da questa definizione sviluppa un interessante metodo combinatorio di ordinamento dei colori che definisce in De colore e usa in De iride13 Grosseteste afferma quindi che si possono identificare queste qualità:

  • due qualità del medium: purum e impurum;
  • due qualità della lux: clara e obscura;
  • due intensità della lux: multa e pauca.

È combinando queste sei proprietà che vengono generati i vari colori. I due colori principali, come insegnano gli antichi, sono bianco e nero e Grosseteste li definisce così: la bianchezza (albedo) è combinazione di molta lux chiara con un medium puro, la nerezza (nigredo) è combinazione di poca lux scura con un medium impuro.

Grosseteste non dice di più sul significato di lux clara e obscura. Del significato di purezza del medium dà alcune indicazioni: il mezzo è puro quando è separato dalla terra (implicitamente, l’elemento fondamentale), ed è impuro quando contiene terra. Ovviamente la quantità di terra eventualmente contenuta nel mezzo può variare, quindi c’è continuità tra purum e impurum, anche se non sappiamo bene qual è il limite massimo di impurezza.

Anche del significato di pauca e multa dà una indicazione: multa non significa lux diffusa da un corpo grande, ma lux che possiamo osservare in un punto dove si raccoglie una grande quantità di essa mediante uno specchio concavo e la luce che arriva sull’intera superficie dello specchio esposta al solo viene riflessa nel centro della sfera dello specchio. In ogni caso pare capire che tutte le tre caratteristiche non abbiano solo due fattispecie, ma un numero superiore o addirittura un intervallo continuo.

Grosseteste scrive poi (senza nominarli) 14 che ci sono esattamente sette colori prossimi alla bianchezza e che scendono verso la nerezza, e sette colori prossimi alla nerezza che salgono verso la bianchezza. Sette colori prossimi alla bianchezza e sette colori prossimi alla nerezza più il bianco e il nero fanno sedici, quindi “ci sono sedici colori nell’Universo” e tra l’uno e l’altro di essi ci sono “infinite gradazioni”, dalla più intensa fino alla più debole.

Ci sono quindi sedici colori nell’Universo: due estremi e quindi sette annessi ad ogni estremo, qui per intensità ascendente lì per intensità discendente che concorrono negli stessi colori in centro. Tutti gli altri colori di medio grado di intensità sono in numero infinito.
[Grosseteste De colore15

Questa descrizione ha portato ad immaginare l’insieme dei colori di Grosseteste come i punti di un cubo tridimensionale, con otto vertici. 16 Se la bianchezza è uno degli spigoli di questo cubo, i sette colori vicini alla bianchezza sono rappresentati in questa figura:

Grosseteste

E analogamente possono essere rappresentati i sette colori vicini alla nerezza. L’intensità della luce (multa e pauca) potrebbe rappresentare l’asse acromatico (l’asse dei grigi, la diagonale del cubo).

Non è chiaro come interpretare questo cubo dei colori nei termini della moderna colorimetria ma l’introduzione dei concetti di qualità del medium e di qualità e intensità della lux è un’indicazione del fatto che Grosseteste pensava al colore, in linea di principio, come a qualcosa di quantitativamente definibile.

Da citare infine uno studente di Grosseteste, Bartolomeo Anglico (ca 1203-1272, Bartholomaeus Anglicus), enciclopedista francescano nato a Suffolk in Inghilterra. Verso il 1250 compila in latino De Proprietatibus Rerum, una enciclopedia in 19 libri influenzata dallo spirito platonico-agostiniano, molto diffusa nel medioevo. Stampata a partire dal 1470 è stata tradotta in francese, inglese, tedesco e olandese. È stata riassunta e tradotta anche in volgare romanzo attorno al 1300, dal notaio Vivaldo Belcalzer (ca 1250-1308) di Mantova.

Nell’ultimo libro De accidentalibus della sua enciclopedia Bartolomeo tratta anche il tema dei colori usando i termini di Grosseteste (clara, multa, impurum) e basandosi sull’elenco di Aristotele in De sensu et sensibili. La serie dei colori “primari” di Bartolomeo è di sette colori, come quella di Aristotele, con bianco e nero agli estremi e, forse per la prima volta, rosso al centro (Aristotele non aveva specificato l’ordine dei colori intermedi, né che il rosso fosse al centro):

  • bianco (albus)
  • giallo (glaucus17
  • arancio (puniceus id est citrinus)
  • rosso (rubeus)
  • viola (purpureus)
  • verde (virides)
  • nero (niger)

In altre sezioni dell’enciclopedia cita anche altri colori: giallo chiaro (pallidus), zafferano (croceus), rosa (roseus). Minius è equivalente di coccinus e vermiculus; blu (blavius) e violatius. Lividus, indicus, venetus.

Roger Bacon

Come ha indicato David Lindberg, gli sviluppi storicamente più significativi dell’ottica medievale si possono trovare nelle opere di Roger Bacon, di John Peckham e di Witelo. 18 Della vita di Roger Bacon (ca 1214-1292, italianizzato Ruggero Bacone) si conosce poco e le date della sua biografia sono tutte approssimate.

Nasce ad Ilchester nel Somersetshire da una benestante famiglia inglese nel 1214 e studia nella scuola francescana di Oxford con Grosseteste. Tra il 1240 e il 1247 insegna la filosofia aristotelica alla facoltà di arti dell’Università di Parigi, in particolare i libri sulla natura, Dell’anima, Del senso e dei sensibili, Fisica. Attorno al 1257 diventa frate francescano, e presto viene sospettato di eresia e di magia tanto che il ministro generale dell’ordine dei francescani Bonaventura da Bagnoregio (1217-1274, doctor seraphicus) lo fa sorvegliare a Parigi e gli impedisce di pubblicare le sue opere. Dopo il 1268 viene fatto oggetto di una serie di accuse, arrestato e imprigionato per oltre dieci anni, fino a quando viene liberato per l’intercessione di alcuni nobili inglesi. Nel 1292 scrive l’ultima sua opera Compendium studii theologie dove espone le sue idee sullo stato dell’istruzione universitaria e probabilmente muore lo stesso anno.

Noto con l’epiteto doctor mirabilis, Roger Bacon ha esercitato una grande influenza sullo spirito dei suoi tempi, quando era considerato l’incarnazione dello studioso in possesso di conoscenze straordinarie. 19 Personalità indipendente e dotata di grande intuizione, è stato visto come il simbolo della scienza moderna che lotta per emergere durante il periodo medievale. In realtà, secondo Lindberg, Roger Bacon non era uno scienziato moderno (per i suoi tempi) ma un “brillante, combattivo, eccentrico studioso del XIII secolo che cercava di sfruttare le nuove conoscenze che allora diventavano disponibili, pur rimanendo fedele alle nozioni tradizionali, patristiche in origine, sull’importanza da attribuire alla conoscenza filosofica”. 20

Durante l’insegnamento a Parigi scrive un commento a Del senso e dei sensibili di Aristotele che rivela anche la lettura di Avicenna, Alhacen e Averroè (nelle traduzioni latine, perché Bacon non conosceva l’arabo). Dopo essere tornato ad Oxford (attorno al 1250) Roger Bacon completa il commento che aveva scritto a Parigi e scrive De multiplicatione specierum dove sviluppa una dottrina non sua ma che considera centrale per la sua filosofia: spiegare la percezione, in particolare quella visiva, mediante il concetto di species e della loro radiazione.

In quest’opera Bacon spiega che ogni oggetto visibile genera numerose species di sé ognuna delle quali a sua volta origina ulteriori species, che si estendono in ogni direzione a partire da ogni punto dell’oggetto. 21 Gli oggetti così agiscono tramite la propagazione o moltiplicazione della loro species. Quando raggiungono l’occhio di un osservatore le species visibili continuano a moltiplicarsi lungo i nervi ottici e portano ai sensi interni l’impressione degli oggetti esterni. Il modello che Bacon ha seguito per la nozione di moltiplicazione delle species in un medium nel tentativo di integrare la filosofia aristotelica con quella neoplatonica è il trattato De luce di Grosseteste. 22 Infatti l’esempio più accessibile di moltiplicazione delle species è quello della propagazione della luce:

possiamo dire che il lumen del sole nell’aria è la species della lux solare nel corpo del sole
[Roger Bacon De multiplication specierum]

De multiplicatione specierum contiene molti principi fondamentali della perspectiva, ma per Bacon le species visibili sono solo l’esempio di una generale moltiplicazione delle species da parte di tutti gli oggetti dell’universo:

Ogni causa efficiente agisce attraverso il proprio potere che esercita sulla materia adiacente, come la lux del sole esercita il suo potere nell’aria (il cui potere è lumen diffuso in tutto il mondo dalla lux solare). E questo potere è chiamato similitudo, ymago e species e con molti altri nomi ed è prodotto sia da sostanza sia per accidente, spirituale e corporale. Queste specie producono ogni azione nel mondo, infatti agiscono sui sensi, sull’intelletto e su tutta la materia del mondo per la generazione di cose.
[Roger Bacon Opus maius 4 2]

Quando Bacon si riferisce alla species, come “la forza o il potere con cui ogni oggetto agisce nei suoi dintorni”

…connette numerose definizioni e significati. [La species] è ad un tempo similitudine, immagine, senso, intelletto, idolo, fantasma, simulacro, forma, intenzione, ombra dei filosofi, virtù, impressione, passione. Nel mediare le species che riceviamo percettivamente creiamo ed emaniamo nuove species. La mediazione stessa moltiplica le species.
[Lindberg]

Perspectiva per Roger Bacon

Dopo il 1261 Bacon incontra il cardinale francese e delegato papale in Inghilterra Guy de Foulques, che si interessa alle sue idee e gli chiede di compilare un trattato sistematico delle sue scoperte. Nel febbraio del 1265 Guy de Foulques viene eletto papa a Perugia con il nome di Clemente IV. 23 Il nuovo papa torna a sollecitare Bacon, il quale dapprima esita, a causa della proibizione di pubblicare senza un permesso specifico dell’ordine, poi nel 1268 spedisce alla sede papale di Viterbo una raccolta di adattamenti di sue opere precedenti. Ma nel novembre dello stesso anno Clemente IV muore e Bacon cade nuovamente in disgrazia.

Le opere che Bacon aveva spedito al papa nel 1268 erano Opus maius e Opus minus e Opus terzius. La IV parte di Opus Maius è un trattato sulla perspectiva scritto probabilmente attorno al 1263. La perspectiva era un argomento al quale Bacon era molto interessato perché nessun altra scienza “possiede una utilità di tale fascino e bellezza”. Come esempio dell’utilità della perspectiva per l’esegesi biblica cita questo passo dell’Antico Testamento, che secondo lui non è pienamente comprensibile se non si conosce la parte della perspectiva che riguarda l’occhio:

Custodiscimi come pupilla degli occhi,
proteggimi all’ombra delle tue ali,
di fronte agli empi che mi opprimono,
ai nemici che mi accerchiano.
[Libro dei Salmi 16,8]

In realtà il contributo di Bacon alla perspectiva è modesto. La sua opera è in gran parte un sommario di De aspectibus di Alhacen  del quale ripete gli esperimenti passo per passo e spesso parola per parola. Altre parti sono tratte da Aristotele, Euclide, Tolomeo, Agostino, al-Kindi, Avicenna, Grosseteste. Il contributo originale di Bacon consiste nell’aver raccolto questi disparati contenuti e averli fusi in una sintesi convincente.

Lumen e color sono le species visuali dei corpi autoluminosi che si propagano in tutte le direzioni e causano la visione, che inizia quando la species visuale raggiunge il cristallino, l’organo principale della visione, e ne altera l’umore e quindi appare al potere visivo e consente la formazione del giudizio. Quindi la species procede nel vitreo, arriva al nervo ottico e lungo questo (riempito di spirito visuale) al chiasma sulla superficie del cervello che è il vero organo della visione dove viene reso il giudizio finale.

Nella scienza della visione Bacon segue Avicenna, contribuisce a diffondere i principi della visione stabiliti da Alhacen, ma ricorre ad Agostino e alla tradizione emazionista neoplatonica per i processi causali di queste operazioni. 24 Soprattutto aderisce alla visione platonica-matematica del suo maestro Robert Grosseteste del quale, nella quinta parte dell’Opus maius, riprende le idee del De luce sottolineando il lato empirico della conoscenza e l’importanza della geometria e dell’ottica nella rilevazione delle leggi matematiche del mondo fisico:

se nelle altre scienze vogliamo, com’è nostro dovere, arrivare ad una certezza che escluda ogni dubbio, e ad una verità che escluda ogni errore, è necessario che la matematica diventi il fondamento del nostro conoscere, in quanto da essa preparati possiamo giungere alla piena certezza e alla verità anche nelle altre scienze.
[Roger Bacon Opus Maius]

Il colore per Roger Bacon

Nel suo commento a Del senso e dei sensibili Roger Bacon segue Aristotele ma espande diverse argomenti. 25 Inizia con la descrizione dell’occhio e della visione, senza la quale il colore non esiste. Distingue tra lux e lumen, il quale è la replica, la species della lux che agisce sulla vista e genera il colore. Bacon scrive anche sul noto esempio del colore del collo della colomba che potrebbe aver preso dalla pseudo-Aristotele o da Lucrezio.

Il colore è prodotto per “remissione”dalla luce alle estremità di un medium trasparente (aria, acqua, vetro) e i singoli colori sono prodotti dalle “limitazioni” del medium stesso come rarità/densità, purità/impurità e mescolanza in esso dei quattro elementi. Bacon cita la dispersione prismatica della luce nel ghiaccio, nel vetro, nell’acqua e nel cristallo.

Da Porfirio (filosofo greco, 233-305) Bacon prende questi cinque termini e li applica ai colori nel senso di loro “attributi”:

  1. genere;
  2. specie;
  3. differenza;
  4. proprietà;
  5. accidente.

Il genere di un colore è l’appartenenza a uno dei seguenti gruppi: albedo (bianchezza), glaucitas (giallezza), rubedo (rossezza), viriditas (verdezza, che comprende anche gli azzurri), nigredo (nerezza) che Bacon giudica “completamente divisi e separati, e uno di questi non può in nessun modo essere classificato in un altro”. Le specie sono i singoli colori “primari” all’interno di ogni genere. Bacon collega il terzo attributo, la “differenza”, con la mescolanza dei colori “primari” come sottospecie. L’attributo “proprietà” non è usato, mentre con “accidente” Bacon intende i diversi gradi di chiarezza e scurezza di un singolo colore, diverse “specie accidentali”.

Tra bianchezza e nerezza ci sono dunque tre generi intermedi (giallezza, rossezza, verdezza) e i tre colori specifici: giallo (glaucos), rosso (rubeus) e verde (viridis), le tre “specie principali”. A questo punto prende in considerazione la scala di Aristotele e si ferma su alcune incertezze e discrepanze relative ai nomi in greco dei sette colori “primari” indicati da Aristotele, quindi manipola e ricostruisce la scala aristotelica dei primari in latino e secondo le proprie preferenze.

La scala di Aristotele ha cinque colori intermedi e Bacon ne inserisce altri due, il giallo pallido (flavus) e il blu (cæruleus) così la sua nuova scala ha sette colori intermedi, con il rosso al centro come Bartolomeo:

  • giallo pallido (flavus) genere albedo
  • giallo (glaucus) genere glaucitas
  • arancio (puniceus) genere glaucitas
  • rosso (rubeus) genere rubedo
  • viola (purpureus) genere rubedo
  • blu (caeruleus) genere viriditas
  • verde (viridis) genere viriditas

Bacon non inserisce nella scala il bianco e il nero perchè probabilmente intende che ogni singolo colore possa essere più chiaro o più scuro. In altre parole la linea del bianco e nero può essere pensata ortogonale alla linea dei colori.

Sette è comunque un numero che ricorre in Aristotele (sette sono i colori principali compreso bianco e nero) e in Grosseteste (sette sono i colori prossimi alla bianchezza e altri sette quelli prossimi alla nerezza) ma Bacon utilizza il sette solo per i colori centrali, per le sette gradazioni fondamentali della sua scala dei colori. Naturalmente tra esse si possano individuare altri colori intermedi, ulteriori sfumature dei sette colori fondamentali, andando dall’uno al successivo per gradi, e anche ognuna di queste specie ha infiniti gradi di chiarezza e scurezza, cioè un infinito numero di sottospecie.

Bacon vuole anche dare un nome latino a 20 colori (cioè specie) nei cinque generi e il risultato è questo:

gruppo dei bianchi (albedo)

  • candido (candidus)
  • bianco (albus)
  • avorio (lividus) citato anche nel gruppo dei verdi
  • giallo pallido (flavus)

gruppo dei gialli (glaucitas)

  • giallo (glaucus)
  • colore della cera d’api (ceruleus)
  • colore tra arancio e cera (pallidus)
  • arancio (citrinus)
  • arancio rossastro (puniceus)

gruppo dei rossi (rubedo)

  • rossastro (rufus)
  • zafferano (croceus)
  • rosso (rubeus)
  • violetto-rosso (rubicundus)
  • viola o violetto (purpureus)

gruppo dei verdi (viriditas)

  • verde (viridis)
  • verde marino (venetius)
  • colore plumbeo (lividus)
  • blu scuro (lazulus)
  • grigio scuro (fuscus)

gruppo dei neri (nigredo)

  • nero (nigrum)

In De mutiplicatione specierum Bacon torna brevemente su alcuni punti relativi al colore. Uno di questi punti è relativo al fenomeno del contrasto successivo e un altro alla mescolanza additiva già citata da Aristotele, Tolomeo e Alhacen.

Secondo Parkhurst, le idee di Bacon (e di Grosseteste) sul colore hanno avuto grande influenza sugli artisti dell’Umanesimo e del Rinascimento come Alberti, Leonardo, Rubens. Giotto, che dipinge la Cappella degli Scrovegni a Padova circa 10 anni dopo la morte di Bacon, rivoluziona la pittura in Europa e “crea un compendio della dottrina del colore di Bacon sulle pareti della cappella dell’arena di Padova”. Parkhurst suggerisce forse in modo un po’ azzardato che tra Grosseteste, Bacon e Giotto ci fosse un legame, almeno spirituale perché tutti e tre seguivano l’ordine francescano e poi che Giotto potrebbe aver appreso all’Università di Padova le dottrine aristoteliche e baconiane. Anche la moderna colorimetria discenderebbe dal lavoro di Bacon, ed effettivamente lo studio delle variabili di colore inizia subito dopo la sua morte. Già all’inizio del XIV secolo Teodorico di Freiberg stabilirà i rapporti binari per la produzione dei colori misti.

I colori dell’arcobaleno

Bacon non si è occupato solo di argomenti teorici ma anche di ottica pratica, di rifrazione e di lenti ustorie. Per primo dopo gli scienziati dell’antica Grecia riconosce lo spettro visibile in un bicchiere d’acqua e a lui si devono anche misurazioni sull’arcobaleno.

Nella disputa sui colori “reali” e “apparenti” la posizione di Bacon è che i colori dell’arcobaleno sono apparenti e soggettivi perché dipendono dalla posizione dell’osservatore, la quale determina come e quando appare l’arcobaleno, che quindi è solo una fantasia della vista, un fenomeno soggettivo:

è evidente che nel luogo dell’arcobaleno non ci sarà niente fuorché l’apparizione dei colori, e che essa non ci sarà se non quando l’arcobaleno è visibile … l’arcobaleno varia secondo la diversità degli osservatori. Ma l’osservazione non produce i colori …per cui non c’è niente se non ciò che appare.
[Roger Bacon Opus Maius I, 190-191]

è evidente, come sappiamo dall’esperienza, che ci sono tanti arcobaleni quanti sono gli osservatori. Poiché se due persone ferme osservano un arcobaleno che si produca verso il nord e una di esse prende a muoversi verso ovest, l’arcobaleno si sposterà parallelamente ad essa; se l’altra persona va ad est, l’arcobaleno si sposterà parallelamente a questa seconda persona; se una persona resta ferma, anche l’arcobaleno resterà fermo. è evidente, perciò, che, in quanto vi sono tanti arcobaleni quanti sono gli osservatori, è impossibile che due osservatori vedano lo stesso arcobaleno.
Opus maius, IV, 1, p. 187

Sulla natura dell’arcobaleno Bacon spiega che la luce del sole se riflessa da “un numero [quasi] infinito di gocce di pioggia” produce l’apparenza dei colori che costituiscono l’arcobaleno; una seconda riflessione nei percorsi delle “specie” visive moltiplicantisi le fa giungere ai nostri occhi.

Invece i colori dei corpi e anche i colori ottenuti facendo passare la luce attraverso un prisma di cristallo sono colori oggettivi, stabili e reali. I primi perché generati dalla qualità degli elementi, rinvigoriti o indeboliti dall’azione della luce, i secondi perché potevano essere visti da tutti gli osservatori. Bacone afferma che questi colori veri sono causati naturalmente dalla struttura della superficie del cristallo e dagli angoli con i quali i raggi solari la colpiscono. 26

Grosseteste e Bacon segnano l’inizio della perspectiva, la scienza dell’ottica integrata nella Scolastica. Le discussioni proseguono nelle università del XIII e XIV secolo e continueranno ancora per qualche secolo ad impegnare gli esponenti degli ordini mendicanti, francescani e domenicani.


Note

1 La cosiddetta filosofia Scolastica è stata inizialmente il tentativo di conciliare l’antica filosofia classica (il pensiero razionale) con la teologia cristiana medievale (la fede) e successivamente il metodo di insegnamento basato sul ragionamento dialettico praticato negli Studi medievali.

2 Tratto da Roberto Savelli Grimaldi e la rifrazione p. 34

3 Roberto Savelli Grimaldi e la rifrazione Bologna 1951.

4 A. Mark Smith “Getting the Big Picture in Perspectivist Optics” Isis 72, 1981

5 Species è una parola latina della 5ª declinazione (da specere, guardare, vedere, osservare) che rimane invariata al plurale e che ha numerosi sinonimi: virtus, similitudo, ymago, ydolum, simulacrum, phantasma, forma, intentio, passio, impressio. In italiano si può tradurre con “immagine” o “forma” e in Bacon ha il significato di “replica formale”. Ancor oggi si dice “mi fa specie” con il significato di “colpire, fare una certa impressione”. È un’espressione che è stata usata saltuariamente anche da Goldoni e Manzoni.

6 Per la biografia e le opere di Grosseteste seguo D. Lindberg Theories of Vision Chicago Uni. Press 1976 e James McEvoy “Gli inizi di Oxford. Grossatesta e i primi teologi” in La nuova razionalità (Figure del pensiero medievale vol. 4), Jaca Book 2008

7 Roger Bacon Opus Tertium 22

8 David C. Lindberg Theories of Vision. From al-Kindi to Kepler Chicago University Press 1976, pag. 95

9 C. Singer Breve storia del pensieri scientifico Einaudi 1961; Lindberg

10 Graziella Federici-Vescovini Le teorie della luce e della visione ottica dal IX al XV secolo p. 11-12

11 La spiegazione definitiva e ancor oggi accettata dell’arcobaleno verrà data all’inizio del XIV secolo dal domenicano Teodorico di Freiberg, ma Grosseteste anticipa l’importanza della rifrazione.

12 Carl B. Boyer “Robert Grossetest on the Rainbow” Osiris 11, 1954, pp. 247-258

13 In De iride la definizione di “colore” è “Color sit lumen admixtum cum diaphano” mentre in De colore scrive “Color est lux incorporate perspicuo”.

14 Bianco, nero e giacinto (cioè violetto, citato correttamente come colore più scuro dell’arcobaleno) sono gli unici nomi di colori che Grosseteste cita in De colore e De iride.

15 Erunt ergo in universo colores sedecim: duo scilicet extremi et hinc inde septem extremis annexi hinc per intensionem ascendentes illinc per remissionem descendentes ac in medio in idem concurrentes. In quolibet autem colorum mediorum gradus intensionis et remissionis sunt infiniti.

16 Smithson et al “A three-dimensional color space from the 13th century” J Opt Soc Am A Opt Image Sci Vis. 2012 February 1; 29(2): A346–A352; Dinkova-Bruun et al The Dimensions of Colour: Robert Grosseteste’s De colore Pontifical Institute of Mediaeval Studies, 2013

17 Il termine latino glaucos come nome di colore ha avuto significati diversi nel tempo. Nell’età classica era il celeste un po’ tendente al grigio ma Omero lo usava anche come blu. Nel Medioevo assume il significato di giallo (e infatti Bartolomeo e Bacon lo usano con questo significato e lo stesso farà Teodorico di Freiberg). Dal XVI secolo cambia ancora: Giulio Cesare Scaligero (1484-1558) e Franciscus Aguilonius (1567-1617) tornano a classificarlo come azzurro. Oggi lo Zingarelli lo indica come “azzurro chiaro tendente al verde”.

18 David Lindberg Vision theories

19 Intorno alla persona di Roger Bacon sono nate numerose leggende. Nel romanzo Il nome della rosa di Umberto Eco (pubblicato nel 1980 e ambientato nel 1327) il suo nome è spesso menzionato dal protagonista, il francescano Guglielmo di Baskerville, personaggio che ricorda la figura di un altro intellettuale dell’epoca, Guglielmo di Occam.

20 David C. Lindberg “Science as Handmaiden. Roger Bacon and the Patristic Tradition”. Isis 78, 4 , 1987

21 Fumagalli Beonio Brocchieri, Parodi Storia della filosofia medievale Laterza 19889

22 David Lindberg “Roger Bacon on Light, Vision and the Universal Emanation of Force” in Roger Bacon and the Sciences: Commemorative Essays a cura di Jeremiah Hackett ,1996

23 Dante lo cita nel III canto del Purgatorio quando parla del re Manfredi di Sicilia, che venne scomunicato da questo nuovo papa, e che morì nella battaglia di Benevento tra guelfi e ghibellini del 1266.

24 Rosanna Brusegan “Jean De Meun, Alhaze, Witelo. Influenza delle teorie medievali della visione sul «Roman de la rose» in Omaggio a Gianfranco Folena, Programma 1993, pag. 267

25 Per gli argomenti riguardanti il colore nel pensiero di Bacon seguo Charles Parkhurst “Roger Bacon on Color” in The verbal and the visual: essays in honor of William Sebastian Heckscher ed. Karl-Ludwig Selig, Elizabeth Sears, Italica Press, 1990, pag 151-201.

26 Storia della scienza “La scienza bizantina e latina: la nascita di una scienza europea. Ottica, scienza dei pesi e cinematica” Treccani 2001

 

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Mauro Boscarol

21/10/2009 alle 15:42

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