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Il blog di Mauro Boscarol sulla gestione digitale del colore dal 1998

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Fisiologia della visione del colore

Secondo stadio della visione: da segnale tricromatico a segnale opponente

Dopo la trasduzione (da segnale elettromagnetico a segnale elettrico neurale) dai circa cento milioni di fotorecettori partono cento milioni di segnali a modulazione di ampiezza che vengono

  • codificati  in segnali opponenti dalle cellule bipolari e amacrine;
  • compressi in circa un milione di segnali che vengono passati alle cellule gangliari;
  • trasmessi al cervello lungo il nervo ottico (costituito dagli assoni delle cellule gangliari).


La codifica in segnali opponenti

I segnali generati dai coni L, M, S vengono combinati tra di loro in qualche modo (probabilmente per questioni di efficienza e di riduzione del rumore) formando i tre segnali opponenti. Le modalità di questo meccanismo di codifica non sono ancora state chiarite: sono state avan­zate varie ipotesi sulla formazione dei segnali opponenti, ma nessuna di queste è stata confer­mata.

In questa figura è indicato un possibile schema di codifica:

 

Il primo segnale opponente è il  segnale acromatico (detto anche di luminanza) in cui il bianco è opposto al nero. Gli altri due segnali opponenti sono segnali di differenza colore: rosso-verde e giallo-blu.

Alla formazione del segnale acroma­tico contribuiscono tutti e tre i tipi di coni in proporzione alla loro popolazione relativa.

Nel primo segnale di differenza colore, che riceve contributi solo dai coni L e M, il rosso è opposto al verde; nel secondo segnale di differenza colore, che riceve contributi dai coni S (per il blu) e dai coni L e M (per il giallo) il blu è opposto al giallo.

Dal punto di vista elettrico i segnali ai coni, che sono a modulazione d’ampiezza (cioè in un cer­to senso di tipo analogico) sono ancora tali nelle cellule intermedie. È solo dalle cellule bipolari in poi che diventano a modulazione di frequenza (di tipo digitale, spike signal). Evidentemente nella nostra retina c’è un convertitore da analogico a ­digitale.

Il segnale opponente zero è rappresentato da una certa frequenza di fondo, frequenze superiori indicano un segnale diverso da zero, frequenze inferiori un segnale opposto. Per esempio il segnale opponente rosso-verde può indicare una quantità nulla, oppure una quantità di verde, oppure una quantità di rosso: rosso e verde sono opponenti, come giallo e blu e come bianco e nero.

Dal punto di vista fisiologico il meccanismo di codifica coinvolge l’interazione delle cellule della retina, probabilmente le cellule orizzontali e amacrine, che costituiscono collegamenti laterali e i cui segnali sono a modulazione d’ampiezza e di tre tipi. Il segnale che arriva dalle cellule bipolari, passa per le cellule gangliari e viene trasmesso lungo il nervo ottico al cervello.


Considerazioni sulla teoria tricromatica e sulla teoria dei processi opponenti

George Palmer, Thomas Young e Hermann von Helmholtz supposero correttamente che la retina non potesse avere infiniti tipi di sensori per il colore, uno per ogni componente spettrale, e avanzarono l’idea che i sensori fossero solo tre. La loro teoria della visione del colore basata sugli output diretti di tre tipi di fotorecettori nella retina è detta teoria tricromatica.

James Clerk Maxwell dimostrando che molti colori possono essere riprodotti mescolando additivamente tre colori primari, diede ulteriore supporto alla teoria tricromatica. I moderni studi fisiologici, anatomici e psicofisici confermano la natura tricromatica del nostro sistema visivo. La gran parte di noi infatti ha tre tipi di recettori per il colore, i coni, nella retina.

Tuttavia una attenta analisi della nostra percezione del colore convinse lo psicologo Ewald Hering che nel 1892 propose la teoria che la nostra visione del colore viene codificata e rappresentata internamente come tre processi opponenti: chiaro-scuro (bianco-nero), rosso-verde, giallo-blu. Il tema delle tinte opponenti era stato anticipato da Goethe e Schopenhauer, che ne avevano descritto gli effetti percettivi. La teoria delle tinte opponenti è stata confermata da studi neurofisiologici e di conseguenza il vocabolario internazionale della CIE definisce la tinta di un colore proprio in termini di tinte opponenti.

Il temine opponente sottolinea che bianco e nero, rosso e verde, blu e giallo, non possono essere visti contemporaneamente nello stesso stimolo di colore. Le coppie opponente rosso-verde e giallo-blu spiegano il fatto che le tinte percepite possono essere rappresentate in un cerchio e che ci sono quattro tinte “uniche” (in modo approssimato indicate con rosso, verde, giallo, blu) che mescolate producono tutte le tinte. Il processo acromatico spiega il fatto che i colori possono essere chiari o scuri.

Per maggiori dettagli vedi La tinta.

Hurvich e Jameson hanno misurato le funzioni di riposta cromatica dei due processi cromatici per ogni stimolo monocromatico, con una procedura detta hue cancelation.

Esperimenti psicofisici hanno anche permesso di definire le lunghezza d’onda dominanti corrispondenti alle tinte uniche. Vedi Misura degli attributi percettivi del colore.


Teoria tricromatica o teoria dei processi opponenti?

Per un certo periodo di tempo la teoria tricromatica venne considerata in opposizione alla teoria dei processi opponenti, fino a quando von Kries propose una teoria delle zone in cui il primo stadio di cattura del colore è di tipo tricromatico e successivamente i tre segnali vengono trasformati e codificati in processi opponenti. Questo è il punto di vista moderno, ma i dati sperimentali non sono ancora consistenti e l’interpretazione in termini di processi opponenti è oggi solo concettuale e non ha valore predittivo in neurofisiologia.

 

Mauro Boscarol

27/8/2012 alle 00:30