Nella serie Miti, leggende, equivoci sul colore e dintorni
Colori visibili e colori invisibili
“Colore invisibile” è un ossimoro, cioè una contraddizione in termini, come “ghiaccio bollente”. I colori invisibili non esistono.
I colori sono visibili per definizione, fa parte della natura del colore essere visibile. Così come fa parte della natura dell’acqua essere bagnata, e quindi ha poco senso dire “acqua bagnata” perché l’acqua asciutta non esiste.
Similmente, per i colori ha poco senso dire “visibili” perché fa parte della loro natura esserlo, non esistono colori invisibili. Tutti i colori sono visibili. Invece, una radiazione può non essere visibile, nel senso che non produce la visione del colore (per esempio le radiazioni infrarosse e ultraviolette sono invisibili).
Quindi la parola “visibili” eliminiamola quando parliamo di colori. Se la usiamo stiamo favorendo l’equivoco (abbastanza diffuso) che possano esistere colori invisibili.
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7 commenti
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La natura in sè delle cose rimanda ad una visione realistica-filosofica un po’ datata specialmente se riferita a termini non propriamente scientifici (appunto bagnata riferito all’acqua e visibile riferito ai colori).
La percezione bagnata dell’acqua dipende anche dall’osservatore e dalla costruzione sociale del soggetto acqua che una data società ne ha fatto e non solo dalle sue caratteristiche fisiche che possono variare a seconda delle condizioni ambientali o di laboratorio.Soggetti diversi percepiranno gradi diversi di bagnato.Lo stesso discorso vale per i colori.
Non tutti i soggetti vedono lo stesso colore stimolati da una radiazione.Anzi è ipotizzabile che alcune radiazioni stimolino la visione di colori in alcuni soggetti mentre nessuno in altri (invisibili appunto)…
Tarkowsky
14/3/10 alle 15:21
Il tema è spinoso. Fissato l’osservatore non credo abbia senso parlare di visibilità dei colori. Se di osservatori ne abbiamo due, allora forse, a patto che si riesca a definire uno spazio che contenga i colori dell’uno e dell’altro.
Mauro Boscarol
14/3/10 alle 18:12
Concordo che per un osservatore ha poco senso parlare di visibilità ma normalmente le teorie non sono ad personam ma si riferiscono a degli insiemi di osservatori.
Il problema del definire uno spazio con una metrica che contenga i colori degli osservatori è un problema matematico che se non risolto rimane un problema matematico e nulla toglie al problema iniziale se esistono colori visibili per alcuni osservatori ed invisibili per altri.
È il problema che si pone con gli individui affetti da visione tetracromatica (le teorie si basano esclusivamente sul modello fisiologico della visione tricromatica).
Tarkowsky
14/3/10 alle 20:56
Due considerazioni.
In colorimetria gli osservatori considerati sono solo tre: 1931, 1964 e Voss.
La metrica non gioca alcun ruolo, quello che conta è il metamerismo.
Mauro Boscarol
14/3/10 alle 22:03
Allora bisognerebbe specificare che in Colorometria i colori invisibili non esistono altrimenti l’affermazione generale ha poco senso.
Non avevo capito che le affermazioni del post si riferissero esclusivamente alla Colorimetria.
Rimane aperta la questione se gli osservatori teorici della Colorimetria odierna riescono ad esaurire la ricchezza e la varietà dello spettro degli osservatori umani.
Al di fuori della Colorimetria penso abbia un senso parlare di colori non visibili per certi osservatori rispetto ad altri.
In fondo la realtà socio-linguistica dei colori può risultare piû ricca, sfumata e anche illogica dei modelli riduttivi ed incompleti proposti dalla colorimetria sulla percezione umana.
Gli ossimori esistono nella vita eccome.
Viva i fantasmi bianchi.
Saluti
Tarkowsky
15/3/10 alle 01:01
Vi segnalerei la recente divulgazione italiana di un articolo di Vincent A. Billock e Brian H. Tsou in merito ai color “impossibili”. I due lavorano per i laboratori della General Dynamics e dell’USAF e si occupano della elaborazione post-retinica del colore, ovvero della base neuronale dell’esperienza vissuta del colore, in cui assume un significato parlare di “impossibilità” del colore, cosa molto diversa dall’ “invisibilità”. I due, in un lavoro del 2004 per Cambridge University Press, hanno mostrato come le piccole differenze nella neurofisiologia dei soggetti potrebbero essere irrilevanti rispetto all’esperienza vissuta del colore. Nel paradigma neuronale e neurofenomenologico non pare ci sia molto spazio per immaginare “colori non visibili per certi osservatori rispetto…
Marco Rosini
27/3/10 alle 18:13
Grazie, ottimo commento.
Mauro Boscarol
27/3/10 alle 18:58