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Il blog di Mauro Boscarol sulla gestione digitale del colore dal 1998

Nella serie Curiosità, aneddoti, storie su colore e visione

La sottocultura popolare del colore: il caso delle mescolanze

In Italia la cultura scientifica del colore non è diffusa. Il massimo cultore italiano di colorimetria, Claudio Oleari dell’Università di Parma, scrive nella prefazione al volume che ha curato (Misurare il colore, Hoepli 2008) che

oggi, in Italia, non esiste una cultura del colore, nonostante la rilevantissima tradizione artistica. … La colorimetria è disciplina rimasta ignorata in tutte le scuole di ogni livello, dalle elementari all’università.

E ancora nella presentazione del sito del Gruppo del Colore, ricorda che

la tradizione artistica italiana è unica e impressionante, eppure, nonostante tanta ricchezza, in Italia non esiste una diffusa cultura scientifica del colore. …

… dovendo quantificare e riprodurre il colore, si richiede una conoscenza del colore, non una conoscenza artistica, ma scientifica e tecnica. I testi della tradizione italiana ci portano lontano nel tempo e sono prevalentemente rivolti all’arte. La scuola è assente. La ricerca colorimetrica pure. Ma la richiesta per una cultura del colore è forte e crescente.

La cultura del colore, a livello elementare, dovrebbe essere normale bagaglio culturale di fotografi, stampatori, grafici. Ma in Italia non è così. Oggi è molto semplice constatarlo frequentando i forum e le mailing list su Internet dedicati alla fotografia, alla stampa, alla grafica e alle arti grafiche.

Prendiamo un argomento di base: le mescolanze (o sintesi) di colori: quella additiva e quella sottrattiva. Qualunque fotografo, qualunque grafico o stampatore è intimamente convinto di conoscere la differenza tra questi due diversi tipi di mescolanza di colori. Se viene sollecitata una descrizione “formale” di questi tipi di mescolanza si ottengono frasi come queste (copiate e incollate da varie fonti):

Il metodo additivo consiste quindi nel “sommare” le luminosità di ogni colore base per ottenere il colore desiderato.

Il metodo sottrattivo viene applicato in tutte quelle circostanze in cui i colori sono generati per riflessione di raggi di luce (ad esempio pellicole, stampe, ecc…), illuminate da luce bianca.

La sintesi additiva è quindi la ricomposizione della luce bianca per somma di radiazioni colorate di diversa lunghezza d’onda.

Il colore del pigmento è determinato dalle radiazioni sottratte alla luce bianca. Per i pigmenti quindi si parla di sintesi sottrattiva.

Parlando di sintesi additiva, ci si riferisce al colore prodotto dalla luce: i Colori Primari son sempre gli stessi (rosso, giallo e blu)  che sommati in parti uguali danno il colore bianco.

Riguarda i pigmenti, quindi un qualcosa di materiale (tempere, pitture, toner per stampanti…). Per sintesi sottrattiva si intende il fatto che, unendo due colori primari, si ottiene la sottrazione del loro valore cromatico di base.

Sono frasi vuote e un po’ strampalate, con termini buttati lì, come “valore cromatico di base”, “luminosità di ogni colore base”, “radiazioni colorate”. Luoghi comuni, spiegazioni formate sul “sentito dire”, concetti tramandati da decine d’anni e che ad ogni passaggio perdono un po’ della loro verità, se mai l’hanno avuta.

Ma il punto è che in queste frasi la mescolanza additiva è sempre invariabilmente collegata alla luce (e al colore bianco) e la mescolanza sottrattiva è sempre invariabilmente collegata ai pigmenti (e al colore nero). In realtà è noto dall’Ottocento che non è necessariamente così. Il primo studioso che ha chiarito questi concetti è stato Hermann Helmholtz attorno al 1850, e lui stesso ha indicato metodi per ottenere la mescolanza additiva con i pigmenti, mescolanza che quindi non è esclusiva delle luci.

E lo sapevano anche i pittori puntinisti e divisionisti della fine dell’Ottocento che cercavano di ottenere colori più luminosi evitando di sovrapporre le pennellate, e quindi avvalendosi della mescolanza additiva invece che della mescolanza sottrattiva, ma con i pigmenti.

Georges Seurat, dettaglio di Parade de Cirque, 1889

E dovrebbero saperlo anche gli stampatori di oggi quando stampano un retino al 50% con inchiostro magenta su carta bianca. L’inchiostro è un pigmento, ma la mescolanza tra il colore dell’inchiostro magenta e il bianco della carta (che risulta più o meno un rosa) non è sottrattiva ma additiva.

La cosa più grave è che gli autori delle frasi sopra riportate non citano mai (e sottolineo mai) la vera, essenziale differenza tra i due tipi di mescolanza. E cioè che la mescolanza additiva è operata dai fotorecettori dell’occhio (cioè dai coni della retina), ed è quindi un fatto biologico e sensoriale, non fisico. Avviene in noi, non nel mondo esterno. Al contrario la mescolanza sottrattiva avviene nel mondo esterno, è un fatto fisico, e lo stimolo di colore arriva ai nostri occhi già formato, già “mescolato”.

Non si tratta dunque, come si crede, di due varianti di uno stesso fenomeno di base. Appartengono invece addirittura a due domini diversi: il primo alla biologia  e alla fisiologia (cioè al nostro mondo interno), il secondo alla fisica (cioè al mondo esterno). Insomma due fenomeni totalmente diversi e separati, che sciaguratamente vengono associati nella fantasia solo perché i loro nomi sono simili. In questo senso la scelta dello stesso termine “mescolanza” per questi due fenomeni completamente diversi è stata davvero molto sfortunata.

Le idee confuse nel campo della mescolanza del colore sono solo un esempio dell’offuscamento nel quale si trova la cultura popolare del colore in Italia, la cultura media dei fotografi, dei grafici, degli stampatori. Per un altro esempio vedi La sottocultura popolare del colore: il caso del “cyan”.


Aggiornamento settembre 2013

Claudio Oleari mi ha trasmesso questa ulteriore osservazione:

la stampa mediante retinatura, che tutti considerano sintesi sottrattiva, può essere vista in sintesi sottrattiva se si parte a considerare la luce dalla sorgente, mentre in sintesi additiva se si parte dalla superficie stampata, su cui si trova un mosaico di 8 colori (bianco, nero, C, M, Y, R, G, B) da considerare come sorgenti di luce colorata. Neugebauer [nel 1937] ha spiegato la stampa mediante retinatura con la sintesi additiva. La spiegazione del colore nel puntinismo e nel divisionismo è la stessa che si ha nella stampa con retinatura.

 

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Mauro Boscarol

20/2/2011 alle 17:48

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