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Nella serie Appunti di storia del colore

La metrica di Schrödinger

Erwin Schrödinger è nato il 12 agosto 1887 a Vienna. Per la biografia si può vedere questa pagina del Nobel Museum e questa dell’University of St Andrews (Scozia). Nel 1933 gli viene assegnato il premio Nobel per la fisica per i suoi lavori sulla meccanica ondulatoria. Muore a Vienna il 4 gennaio 1961.

Dal 1918 al 1920 le sue più importanti ricerche sono state nel campo della scienza del colore.

Il primo articolo di Schrödinger richiama il grande interesse del nonno materno Alexander Bauer nello studio dei pigmenti dei pittori. Qual è la maggiore luminosità che si può raggiungere con le mescolanze di pigmenti? Qui Schrödinger introduce il concetto di colore ideale che ha uno spettro di riflessione che vale 0 o 1 e dimostra che il colore ottenuto come mescolanza di colori ideali ha la massima luminosità ottenibile.

Ma è il lavoro successivo, pubblicato in tre parti, il suo contributo fondamentale alla scienza del colore. In questo lavoro affronta il problema della metrica dello spazio del colore, problema ancora oggi non completamente risolto.


Lo spazio del colore ha una geometria non euclidea

Allo spazio del tristimolo si può associare una metrica euclidea, e dunque delle distanze, ma ad uguali differenze di colore percepito non corrispondono uguali distanze. Si esprime questo dicendo che lo spazio del tristimolo non ha scale uniformi. Anche trasformando linearmente lo spazio del tristimolo non è possibile trovare una metrica euclidea che induca scale uniformi.

Helmholtz aveva indicato una via di soluzione proponendo la definizione di un tensore metrico. Questa idea è sviluppata da Schrödinger che propone una equazione relativa all’elemento di linea ds2 nel riferimento fondamentale. Così la geometria dello spazio dei colori non è più affine ma riemanniana, lo stesso tipo di geometria usata da Einstein nella sua teoria generale della relatività, anche se lo spazio di Einstein era a 4 dimensioni, mentre quello del colore è a 3 dimensioni.

Da questa equazione emerge che il metro con cui si misurano le distanze si accorcia al crescere della luminanza, ed inoltre che i tre recettori operano indipendentemente.

Applicando questa equazione, Schrödinger definisce le linee di uguale tinta sul diagramma di cromaticità come i percorsi più brevi tra il punto del bianco e i punti dello spettro. La previsione di Schrödinger è abbastanza buona, anche se l’esperienza mostra che nella sintesi additiva, al variare del rapporto di miscelazione tra la luce bianca e una monocromatica (spettrale) la tinta non rimane costante (fenomeno noto come Abney hue shift). In ogni caso il concetto che le linee di tinta costante sono geodetiche nello spazio del colore è stato un importante contributo alla scienza del colore.

Oggi si considera la discriminazione del colore come un fenomeno relativo al secondo stadio della visione (quello che coinvolge gli stadi successivi ai fotorecettori) e quindi deve essere rappresentato in uno spazio diverso dallo spazio del tristimolo (che rappresenta il primo stadio) derivabile da questo mediante trasformazioni non lineari. In pratica è diffuso l’uso dello spazio CIELAB proposto nel 1976, ma è anche diffusa l’idea che questo spazio non descriva correttamente il processo di visione dei colori.

Schrödinger ottenne per questo suo lavoro il prestigioso premio Haitinger dell’Accademia delle Scienze di Vienna.


La controversia Helmholtz-Hering

Oltre ad un paio di brevi articoli pubblicati su Die Naturwissenschaften (il primo sulla curva di sensibilità dell’occhio umano, il secondo sul colore delle stelle), Schrödinger non pubblicò più nulla sulla scienza del colore fino al 1925. A quel tempo, da molti anni la teoria dei quattro colori di Hering rivaleggiava con la teoria dei tre colori di Young-Helmholtz. Nel 1905 la teoria delle zone di Johannes von Kries aveva fornito una sintesi delle due teorie rivali, nella quale la parte di Helmholtz riguardava l’interazione della luce coi recettori, mentre la parte di Hering riguardava l’elaborazione dei segnali in uno stadio successivo.

Schrödinger approvava la teoria di von Kries e nel suo ultimo lavoro sulla scienza del colore voleva illustrare la relazione formale tra le due teorie, definendo un insieme di colori base per la teoria di Hering e mostrando come lo spazio di Helmholtz poteva trasformarsi nello spazio di Hering.

Secondo Claudio Oleari [1]

… tutte le proposte di Schrödinger sono sicuramente affascinanti e importanti al punto che non possono essere ignorate, ma nessuna di queste proposte è oggi ritenuta descrivere compiutamente il fenomeno visivo a cui si riferisce … I punti forti di tutta l’analisi di Schrödinger sono altrettanti punti deboli perché sono semplificazioni troppo grandi, oggi respinte dall’evidenza sperimentale. Il fenomeno della visione a colori è più complesso di quanto ipotizzato da Schrödinger. Comunque, dobbiamo dir “grazie Schrödinger!” perché il suo lavoro ancora una volta ci scuote e soprattutto ci invita a pensare in modo semplice.

Opere di Schrödinger

1920 “Theorie der Pigmente von grösster Leuchtkraft” Annalen der Physik IV, 62 603-622

1920 “Grundlinien einer Theorie der Farbenmetrik im Tagessehen” Annalen der Physik IV, I parte 63, 397-426, II parte 63, 427-456, III parte 63, 481-520; le prime due parti sono state tradotte in inglese e pubblicate in Sources of Color Science, The MIT Press, 1970 a cura di David L. MacAdam.

1920 “Farbenmetrik” Zeitschrift für Physik 1 459-466

1923 “Ton und Farbe” Neue Zürcher Zeitung 3. Februar; articolo divulgativo per un quotidiano di Zurigo

1924 “Über den Ursprung der Empfindlichkeitskurven des Auges” Die Naturwissenschaften 12 925-9

1925 “Über die subjektiven Sternfarben und die Qualität der Dämmerungsempfindung” Die Naturwissenschaften 13 373-6

1925 “Über das Verhältnis der Vierfarben- zur Dreifarbentheorie” Sitzungsber. Kaiserl. Akad. Wiss. Wien 134, 471-490

1926 “Das Auge und die Gesichtempfindungen” voce di 104 pagine scritta per il secondo volume dell’undicesima edizione dell’enciclopedia scientifica Lehrbuch der Physik di Müller-Pouillet, pubblicata nel 1926 (la prima edizione era apparsa nel 1868); questo scritto di Schrödinger, con centinaia di riferimenti, è stato per molti anni il lavoro standard sull’argomento. La parte sulle differenze di colore è stata tradotta in inglese (Thresholds of Color Differences) e pubblicata in Sources of Color Science, The MIT Press, 1970 a cura di David L. MacAdam.

 

Opere su Schrödinger consultate

[1] Claudio Oleari, “Erwin Schrödinger e la scienza del colore” Il Nuovo Saggiatore 19 5-6 72-79 (2003) PDF

[2] Walter Moore, Schrödinger, Life and Thought Cambridge University Press 1989

[3] Jagdish Mehra, Helmut Rechenberg, Erwin Schrodinger and the Rise of Wave Mechanics, Springer 1987 Google Books contiene una sezione dedicata ai lavori di Schrödinger sul colore.

 

Banconota della Banca Nazionale Austriaca dedicata a Schrödinger, oggi fuori corso perché sostituita dall’Euro.

 

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Mauro Boscarol

17/6/2011 alle 20:21

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2 commenti

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  1. Un piccolo refuso:si dice geodetiche e non geodesiche.

    Mi fa piacere sapere che alcuni non trovino corretta la descrizione della visione dei colori descritta dallo spazio CIELAB 1976.

    Tarkowsky

    23/6/11 alle 01:18

  2. Hai ragione, grazie per la correzione.

    Mauro Boscarol

    23/6/11 alle 10:06

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